La realizzazione di infrastrutture in Italia: il ruolo del partenariato pubblico-privato

1. Introduzione
Il tema del finanziamento delle infrastrutture viene ormai affrontato dai governi affiancando al modello tradizionale di assegnazione annuale dei fondi a carico dei bilanci pubblici, modelli finanziari alternativi studiati sotto le diverse forme del partenariato pubblico-privato (PPP), capaci di far gravare il costo dell’infrastruttura e dei suoi servizi solo, o prevalentemente, sugli utenti effettivi; ovvero, nel caso delle opere c.d. fredde, vale a dire destinate all’utilizzazione diretta della pubblica amministrazione (PA), assicurando – attraverso un’attenta allocazione dei rischi di progetto tra le parti – la classificazione dell’opera al di fuori dei conti pubblici, limitandone l’impatto sul debito e sul deficit.
Più in dettaglio, nella realizzazione di infrastrutture con il termine PPP ci si riferisce a tutte quelle forme di cooperazione tra pubblico e privato finalizzate alla progettazione, costruzione, finanziamento, gestione e manutenzione di opere pubbliche o di pubblica utilità[1]. Ricorrendone i presupposti, gli interventi di PPP possono essere realizzati in project financing (PF), che rappresenta una tecnica di finanziamento strutturato rivolto a una specifica unità economica, mediante un’operazione in cui il finanziatore considera il flusso di cassa e gli utili di progetto come garanzia per il rimborso del debito e le attività dell’unità economica come garanzia collaterale[2].
Il presente contributo si propone di fornire una breve disamina del ricorso ai contratti di PPP in Italia nella realizzazione delle infrastrutture pubbliche o di pubblica utilità e nella gestione dei servizi connessi, individuandone eventuali criticità e prospettando possibili misure correttive, con particolare attenzione ai profili “regolamentari”[3]. L’indagine è così articolata: il secondo paragrafo analizza le principali caratteristiche dei contratti di PPP e delle funzioni a essi sottese; il terzo fornisce una sintetica descrizione dell’esperienza italiana, soffermandosi sulla consistenza delle operazioni di PPP nel nostro Paese e analizzandone le caratteristiche qualitative; il quarto individua i principali limiti esistenti nella disciplina italiana e indica alcune misure correttive.

2. Potenziali vantaggi e criticità del ricorso a formule di PPP
La letteratura economica[4]ha da tempo posto in luce come, rispetto al governo separato della costruzione e gestione di un’opera pubblica, i contratti di PPP presentino potenziali vantaggi, ma anche alcune possibili criticità. I primi sono legati alla possibilità di allocare e riallocare opportunamente i diversi rischi in capo ai soggetti coinvolti nell’operazione e di superare i problemi che derivano da conflitti di interesse (tra chi finanzia e chi costruisce, tra chi costruisce e chi gestisce, e in generale tra i diversi interessati), da asimmetrie informative o da incompletezza dei contratti singolarmente riferiti alla costruzione e alla gestione dell’opera. Le criticità, invece, dipendono prevalentemente dal rischio di aggirare i limiti posti dall’ordinamento all’indebitamento degli enti pubblici e di indebolire gli stimoli all’efficienza insiti nei meccanismi concorrenziali, soprattutto per quanto attiene la gestione successiva dell’infrastruttura, che rimane “congelata” in capo al contraente privato (in genere, una società costituita ad hoc: c.d. società di progetto – SP) per lunghi periodi di tempo.

a) I potenziali vantaggi. Più in dettaglio, i vantaggi tendono a essere rilevanti nel caso di infrastrutture di grandi dimensioni, la cui costruzione e successiva gestione siano intrinsecamente interrelate e siano caratterizzate da un certo grado di incertezza (non tanto con riferimento al settore – innovativo o maturo – quanto alla necessità di prendere decisioni su aspetti non prevedibili e concordabili in origine e che possono avere ripercussioni a valle). In questi casi è, infatti, preferibile che gli effetti delle decisioni siano posti a carico della SP (e dei suoi partecipanti in qualità di residual claimants), in modo da incentivare l’adozione di comportamenti efficienti, ad esempio rispetto al contenimento dei tempi e dei costi di costruzione. Similmente il legame tra costruzione e gestione dell’opera può discendere dal fatto che una riduzione dei costi di costruzione potrebbe portare a un aumento dei costi nella fase di gestione, e viceversa. In questi casi, l’assegnazione congiunta di costruzione e gestione serve a indurre il soggetto incaricato della costruzione a valutare tutte le conseguenze delle proprie scelte (ad esempio, incorporare o meno nel progetto alcune innovazioni), anche quelle relative alla successiva fase di gestione dell’opera.

Sia rispetto all’incertezza, sia rispetto all’interazione tecnologica di costruzione e gestione dell’opera, la letteratura economica e finanziaria[5] segnala come i vantaggi del PPP siano di solito più marcati laddove comunque la qualità dei servizi discendenti dall’opera sia più facilmente specificabile ex ante e verificabile ex post. In questo modo, infatti, si potranno condizionare alla qualità dei servizi discendenti dall’opera realizzata, non alla sua mera costruzione, i ricavi della SP. Specularmente, ha poco senso ricorrere al PPP per le opere c.d. fredde, la cui gestione non determina direttamente ricavi di mercato, laddove si preveda che i ricavi della SP derivino da un canone fisso indipendente dalla qualità dei servizi connessi all’opera stessa.

Cristina Giorgiantonio*
*Banca d’Italia, Area Ricerca economica e relazioni internazionali. Le opinioni espresse rimangono, in ogni caso, di esclusiva responsabilità dell’autrice e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza. L’analisi della normativa è aggiornata alla data del 6 febbraio 2012.

Altro aspetto di rilevanza cruciale è la possibilità di allocare in maniera ottimale i vari rischi tra i diversi soggetti coinvolti nel progetto (pubblica amministrazione, promotori, finanziatori esterni, clienti e fornitori, società di assicurazione, ecc.). Infatti, la costruzione e la gestione di un’infrastruttura, specie se di grandi dimensioni, comportano rischi elevati e aventi natura eterogenea: ai rischi tecnici e di mercato, normalmente affrontati da qualsivoglia impresa privata, si aggiungono i rischi regolamentari, legati a possibili modifiche definite dalla PA o a scelte politiche più generali (ad esempio, in termini di politica dei trasporti) con un impatto sulla propensione all’uso di una determinata opera. Nei rischi di mercato vi sono, poi, componenti microeconomiche (in parte legate all’efficiente costruzione e gestione dell’opera) e componenti macroeconomiche (legate agli andamenti complessivi dell’economia). L’allocazione ottimale prevede che ognuno degli operatori coinvolti si faccia carico dei rischi che meglio riesce a gestire, avendo le competenze tecniche e manageriali per minimizzare l’impatto economico di eventi sfavorevoli. Per alcuni rischi l’individuazione del soggetto che meglio riesce a gestirli è piuttosto semplice. La pubblica amministrazione, ad esempio, dovrebbe in genere assumersi il rischio derivante da variazioni del quadro regolamentare che possono avere riflessi negativi sulla profittabilità del progetto; le società private, d’altro canto, sono maggiormente in grado di gestire (e prevenire) i rischi tecnici legati alla costruzione dell’opera. In altri casi l’allocazione dei rischi è meno immediata: ad esempio, il rischio di mercato potrebbe essere sopportato sia dalla PA (che potrebbe avere migliori informazioni su quantità e variabilità della domanda, oltre a possedere strumenti per influenzarla), sia dai privati (che sarebbero maggiormente incentivati a offrire una migliore qualità dei servizi). In generale, la prima dovrebbe farsi carico dei rischi di mercato di ordine più macro, mentre i privati di quelli più legati ai comportamenti microeconomici della stessa SP.

b) Le possibili criticità. L’effettiva allocazione dei rischi tra soci privati e PA rileva anche ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito pubblico, risultando essenziale per prevenire il rischio che i contratti di PPP siano usati al fine di aggirare i limiti posti dall’ordinamento all’indebitamento degli enti pubblici. A tal proposito nel febbraio del 2004 Eurostat ha chiarito i criteri da adoperare. L’analisi dell’effettivo trasferimento del rischio in capo ai soggetti privati deve essere effettuata distinguendo tre principali tipologie di rischi: i) quelli connessi con la costruzione dell’opera (a fronte di eventi quali ritardi nella realizzazione, costi più elevati di quanto preventivato, problemi tecnici e mancato rispetto di standard); ii) quelli relativi alla disponibilità del servizio (a fronte, ad esempio, di una qualità inadeguata del servizio o di una capacità di produzione inferiore agli standard prefissati); iii) quelli derivanti dalla variabilità del livello della domanda. L’opera va classificata nell’attivo del settore privato se quest’ultimo sostiene i rischi connessi con la costruzione e quelli connessi o con la disponibilità o con la domanda. In tal caso, gli eventuali pagamenti periodici da parte della PA a favore delle controparti private sono considerati come una contropartita dei servizi erogati e quindi nel conto economico della PA sono registrati come una maggiore spesa corrente. In caso contrario, l’operazione dovrà essere classificata nell’ambito pubblico e i costi di realizzazione delle opere andranno considerati come spese in conto capitale della PA, le connesse operazioni di finanziamento dovendo essere incluse nel debito pubblico[6].
Indipendentemente dai criteri statistico-contabili ora richiamati, essenziali per il monitoraggio dei conti pubblici, un’attenta identificazione dei rischi rilevanti e della loro natura è essenziale al fine della loro migliore riallocazione. Precisare e redistribuire adeguatamente tali rischi è operazione complessa e costosa, nonché foriera di aggravi in termini di tempistica nel montaggio delle operazioni. Il ricorso al PPP è, perciò, di solito vantaggioso solo per progetti di dimensioni tali da giustificare gli elevati costi di transazione connessi con lo stesso. Vi è, inoltre, da tenere conto del fatto che il rischio regolatorio in quanto tale andrebbe, ancor prima che esplicitato come a carico dell’amministrazione, precisato e delimitato, prevedendo modalità di regolamentazione dotate di sufficiente terzietà, col ricorso ad Autorità indipendenti dotate del sufficiente spessore tecnico, anziché ad atti unilaterali. Una problematica ulteriore attiene, inoltre, alla necessità che la PA si doti delle competenze specialistiche necessarie, data la complessità delle operazioni di PPP, evitando, specie nel caso di enti di ridotte dimensioni, la “cattura” da parte dei soci privati o del sistema finanziario.
Il bundling di costruzione e gestione dell’opera insito nel PPP può, poi, ridurre il grado di contendibilità del mercato, sia in fase di costruzione, sia soprattutto nella successiva gestione, dovendo quest’ultima essere normalmente garantita in capo alla SP su un orizzonte temporale piuttosto lungo. La concorrenza potrebbe risultarne intaccata non solo nell’uso della singola infrastruttura, ma anche rispetto alla possibile competizione tra questa e altre nuove infrastrutture, la cui costruzione potrebbe venire ipotizzata successivamente: la necessità di dover garantire ritorni alla SP di una data infrastruttura su un orizzonte di tempo sufficientemente lungo potrebbe, infatti, condizionare i piani di investimento anche nel futuro.
Complessivamente, il PPP appare quindi un istituto potenzialmente utile, ma non privo di problematiche. In particolare esso non va semplicisticamente ritenuto uno strumento di provvista finanziaria a basso costo e privo di oneri per i conti pubblici: l’indebitamento diretto da parte della PA è in genere meno costoso e gli eventuali impegni assunti da quest’ultima nei confronti di una SP devono essere opportunamente evidenziati. Elevati sono, inoltre, i costi di transazione insiti nel ricorso al PPP, che appaiono in genere giustificabili solo nel caso di operazioni di una certa consistenza e col fine di consentire un repackaging ottimale dei diversi rischi. Rilevanti sono poi i possibili condizionamenti che dal PPP possono derivare agli assetti competitivi dei mercati: condizionamenti da tenere in conto sia nel circoscrivere il ricorso allo strumento ai casi nei quali il bundling di costruzione e gestione, su orizzonti lunghi, fornisca vantaggi intrinseci; sia assicurando una sana competizione nella fase di selezione del contraente privato.

3. L’esperienza italiana
Nel corso degli ultimi anni tutti i principali paesi europei hanno cercato di incentivare il ricorso a formule di PPP per la realizzazione di infrastrutture. Particolarmente significativa è l’esperienza del Regno Unito, che – oltre a costituire l’ordinamento europeo in cui il PPP ha trovato, a partire dagli anni ‘90, la sua prima applicazione – rappresenta anche il paese ove esso ha raggiunto la sua massima diffusione, soprattutto per le opere di maggiore complessità. Rilevante è anche il caso della Spagna, paese ha registrato negli ultimi anni un incremento esponenziale nel ricorso a formule di public-private partnership, diventando il secondo mercato nell’Unione Europea dopo il Regno Unito[7]. Il ricorso al PPP è stato a più riprese raccomandato dalla stessa Commissione Europea, che ha enfatizzato il coinvolgimento del settore privato nella realizzazione delle opere pubbliche, allo scopo di sfruttarne le risorse finanziarie e utilizzarne know how e capacità progettuali[8].
Anche nel nostro Paese è stata dedicata una specifica attenzione al coinvolgimento di capitali privati per la realizzazione di infrastrutture. Infatti, sin dalla fine degli anni ‘90, il legislatore italiano è intervenuto sulla disciplina della concessione di costruzione e gestione, al fine di consentire con più facilità l’affidamento a privati della realizzazione e della gestione di opere pubbliche[9]. Nel corso degli ultimi dieci anni, l’istituto è stato oggetto di numerosi interventi di modifica (l’ultimo dei quali recentissimo, recato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 – Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, non ancora convertito), tesi – da un lato – ad ampliare l’ambito di applicazione dell’istituto; dall’altro, a incentivare la presentazione di proposte da parte di promotori privati, incidendo soprattutto sull’iter procedurale di selezione[10].
Agli sforzi profusi a livello legislativo è corrisposto un sostanziale trend di crescita nel ricorso allo strumento. Secondo le informazioni raccolte dall’Osservatorio nazionale sul project financing[11], tra il 2002 e il 2010 il numero complessivo delle gare è passato da 187 a 765, il loro valore da 1,3 a 6,7 miliardi di euro (passando dallo 0,9 al 4,1 per cento del numero totale di gare per opere pubbliche; dal 5 al 20 per cento in termini di valore).
Nonostante ciò, l’impiego del PPP in Italia – nel confronto con altri paesi europei – rimane ancora piuttosto limitato. Si consideri, infatti, che nel periodo tra il 1990 e il 2009, in Europa sono stati realizzati con formule riconducibili al partenariato pubblico-privato contrattuale 1.340 progetti, per un valore complessivo di 253.745 milioni di euro. Di questi il 67 per cento è stato realizzato nel Regno Unito (53 per cento del valore); il 10 per cento in Spagna (12 per cento del valore); il 6 e il 5 per cento rispettivamente in Francia e in Germania (corrispondenti al 5 e al 4 per cento del valore totale); in Italia solo il 2 per cento (3 per cento del valore)[12].
Inoltre, a parte alcune eccezioni (perlopiù relative ai trasporti e alla sanità), i progetti hanno dimensioni relativamente contenute: il valore medio delle gare tra il 2002 e il 2010 è stato pari a 16,8 milioni di euro, contro i 123,3 del Regno Unito. Oltre il 95 per cento delle gare (al netto di quelle con importo non segnalato), non supera i 50 milioni di euro; prevalgono quelle entro i 5 milioni di euro, che rappresentano il 70 per cento del totale.
Tra il 2002 e il 2010 i principali settori interessati dal PPP sono stati quelli tipici dei servizi pubblici locali: a parte pochi grandi interventi nelle infrastrutture di trasporto (autostrade, metropolitane: 1 per cento sul numero totale di gare, ma ben il 54 per cento come valore) e negli ospedali, la gran parte delle opere ha riguardato investimenti locali per la realizzazione di parcheggi (11 per cento del totale delle gare come numero; 5 per cento come valore), impianti sportivi (12 per cento del totale delle gare come numero; 3 per cento come valore), cimiteri (9 per cento del totale delle gare come numero; 3 per cento come valore), in generale casi in cui il tipo di opera da realizzare non è molto complesso, il flusso di cassa è facilmente prevedibile e il rischio di mercato è presumibilmente contenuto.
Infine, i dati mostrano un’elevata mortalità delle iniziative: nel periodo 2002-2010 solo il 46,3 per cento delle gare è giunta all’aggiudicazione. La distribuzione dei tassi di aggiudicazione per importo sembra premiare gli interventi di valore più elevato: il rapporto tra gare bandite e aggiudicazioni effettive è pari al 73,7 per cento per le opere comprese tra i 5 e i 50 milioni di euro e al 67,8 per cento per quelle di ammontare superiore, contro il 36,7 per cento di quelle al di sotto del milione di euro.
In sintesi, le dimensioni relativamente contenute, i settori e la natura delle opere – spesso interventi poco complessi oppure opere fredde e con canoni predeterminati e non legati alla qualità del relativo servizio – segnalano come il PPP sia scarsamente adoperato, in confronto con altri paesi e usato spesso con finalità spurie rispetto a quelle proprie dello strumento. Vi è il timore che spesso, più che un complesso repackaging dei rischi (troppo costoso da definire per interventi di importo ridotto) e rafforzamento degli incentivi al miglioramento di costi e qualità (sia nella costruzione, sia nella gestione dell’opera), si finisca per ottenere dal privato soltanto l’anticipo delle spese di costruzione a fronte dell’assunzione di impegni futuri di spesa da parte della PA, con l’obiettivo di aggirare i limiti posti dall’ordinamento all’indebitamento degli enti pubblici.

4. Alcune implicazioni di policy
Analisi recenti[13] hanno mostrato come alcune delle criticità dianzi menzionate nel ricorso al PPP per la realizzazione di infrastrutture siano, almeno in parte, mitigabili attraverso l’introduzione di opportuni presidi sul piano “regolamentare”, non solo dal punto di vista normativo, ma – più in generale – attraverso l’adozione e la diffusione di linee guida, modelli contrattuali standard e best practices. In particolare, sulla scorta dell’esperienza virtuosa di altri paesi europei (Regno Unito, Spagna, e – seppure in misura minore – Francia e Germania)[14], tali presidi dovrebbero essere tesi a: a) razionalizzare il ricorso alle operazioni di PPP; b) garantire un’adeguata predisposizione dei contenuti negoziali dei contratti; c) migliorare la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni.

a) Razionalizzare il ricorso al PPP
. L’analisi delle informazioni disponibili per l’Italia ha mostrato come il ricorso al PPP sia limitato e spesso non coerente rispetto alle principali finalità a esso sottese. Ciò sembra imputabile, tra gli altri, a taluni fattori in grado di generare e aumentare il rischio amministrativo connesso all’iter di affidamento dei contratti: in particolare, all’inidoneità tecnica delle analisi propedeutiche all’inserimento degli interventi negli strumenti di programmazione.

A differenza di quanto verificatosi in alcune esperienze europee più virtuose (ad esempio, Regno Unito e Spagna), sinora le amministrazioni italiane hanno di fatto affidato i contratti di PPP in assenza di adeguate valutazioni preliminari circa la convenienza effettiva di ricorrere a tali strumenti. In particolare, sono mancate talune fondamentali valutazioni ex ante volte a rilevare la presenza delle condizioni per intraprendere un’operazione di PPP e a valutarne il Value for Money per l’amministrazione, inteso come margine di convenienza di un’operazione in PPP rispetto a un appalto tradizionale[15]. Più in generale, risulta inadeguata la predisposizione dei documenti tecnici a supporto dei processi decisionali della PA, con particolare riferimento allo studio di fattibilità degli interventi da realizzare in PPP, come confermato dalla variabilità nelle loro modalità di redazione (e nella relativa accuratezza)[16].
L’esperienza dei paesi europei più virtuosi mostra che i risultati migliori in materia di PPP vanno di pari passo a una crescente attenzione per il montaggio degli interventi, attraverso il supporto di una normativa ben strutturata anche per quanto riguarda i profili tecnici, e alla conseguente maggiore discrezionalità che viene riconosciuta a una PA in grado di gestirla. In proposito vale la pena segnalare come, nonostante i progressi recati dal Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), che ha – tra l’altro – prescritto un contenuto minimo dello studio di fattibilità, tenendo conto anche della verifica della possibilità di realizzazione di un’opera mediante i contratti di PPP indicati dal Codice dei contratti pubblici[17], tra le valutazioni richieste alla PA non sia stata esplicitata, nemmeno da tale disposizione, quella relativa al Value for Money, né quella concernente l’analisi dei rischi. Anche la recente modifica recata dall’art. 42, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha ampliato le possibilità accordate alle amministrazioni aggiudicatrici di cedere al concessionario, a titolo di prezzo, in proprietà o in diritto di godimento beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati, benché non strettamente connessi o strumentali all’opera da affidare in concessione[18], pur facendo riferimento a una “previa valutazione di convenienza economica”, non ne esplicita a sufficienza i criteri, con evidenti rischi di abuso. Numerose sono, quindi, le perplessità circa l’effettivo e migliore perseguimento dell’interesse pubblico.

b) Garantire un’adeguata predisposizione dei contratti.
In Italia, a differenza di altri paesi europei, l’impegno regolatorio si è prevalentemente concentrato sugli aspetti procedurali del PPP, dedicando una limitata attenzione ad altri pur rilevanti profili, specie per quel che concerne la disciplina civilistica dei rapporti tra i vari attori coinvolti in tali operazioni. Nel nostro Paese vi è, inoltre, un limitato ricorso a strumenti di soft law (come linee guida e documenti standard) – solo di recente valorizzato limitatamente ai progetti relativi al settore ospedaliero[19] – che possano chiarire il complesso quadro regolatorio di riferimento e orientare gli operatori (in particolare le amministrazioni concedenti) nella predisposizione dei contratti.

Uno studio recente, che ha esaminato le convenzioni inviate all’Unità Tecnica Finanza di Progetto (UTFP) per realizzare il monitoraggio dei contratti di partenariato pubblico-privato, ha mostrato come sia ancora limitata l’attenzione dedicata alla predisposizione dei contratti di concessione di lavori pubblici, che – invece – dovrebbero rappresentare il luogo naturale per disciplinare i rapporti tra le parti, nonché per realizzare l’ottimale allocazione dei rischi in operazioni complesse e di lunga durata quali sono quelle di PPP[20].

In particolare, l’analisi ha rivelato come il livello di standardizzazione contrattuale sia molto carente: con l’eccezione del settore ospedaliero (unico, peraltro, per il quale sono stati predisposti modelli contrattuali standard), esiste una significativa disomogeneità fra le convenzioni, sia in relazione alla struttura, sia per quel che concerne le previsioni delle singole clausole, anche nell’ambito dei singoli comparti. Più nel dettaglio, sono risultati critici i profili relativi alla predisposizione di penali e di meccanismi premiali, nonché di clausole di riequilibrio in costanza di contratto: infatti, è di regola inadeguato l’apparato sanzionatorio previsto per i casi di inadempimento contrattuale[21], mentre non sono mai previsti meccanismi premiali per il concessionario. Anche la disciplina relativa alle ipotesi di riequilibrio del contratto si è dimostrata piuttosto carente, risolvendosi in molti casi nel richiamo alle disposizioni di legge. Valutazioni più positive, seppure ancora insoddisfacenti, hanno riportato gli aspetti concernenti la chiarezza nell’allocazione dei rischi e la disciplina della fase di gestione (quest’ultima con particolare riferimento alla presenza di capitolati prestazionali volti a disciplinare l’erogazione dei servizi dedotti in concessione e le modalità di esercizio del potere di vigilanza sull’esecuzione della contratto da parte dell’amministrazione concedente).
Gli esiti dello studio e l’esperienza dei paesi nei quali l’istituto del PPP appare più maturo, segnalano l’opportunità di avviare nel nostro Paese un’appropriata standardizzazione dei contratti di concessione di costruzione e gestione, diversificata per settore. Una tale attività di soft codification delle best practices in Italia – anche per l’effetto di moral suasion che ne conseguirebbe – potrebbe contribuire a ridurre il contenzioso o, comunque, il rischio legale in capo alla PA: ciò soprattutto se alla conformità del contratto ai modelli predefiniti si riconoscesse valore di presunzione relativa di legittimità della clausola/congruità della motivazione[22]. Tale processo di standardizzazione dovrebbe essere teso, in particolare, ad assicurare:

i) la previsione di più appropriati meccanismi di applicazione delle penali per inadempimenti contrattuali del concessionario, soprattutto in fase di gestione, e – specularmente – la previsione di meccanismi premiali;
ii) l’inserimento di clausole relative alla condivisione dei documenti di finanziamento, che riguardino anche i meccanismi di rimborso, compensazione e riequilibrio tra concessionario e istituti finanziatori, da parte della amministrazioni aggiudicatrici;
iii) l’adeguato richiamo agli elementi quantitativi del piano economico-finanziario, allegato principale della convenzione, i cui elementi costituiscono i presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione[23], e sulla cui base si procede all’eventuale riequilibrio del piano stesso e ai relativi aggiornamenti della convenzione;
iv) il rafforzamento dell’attività di controllo da parte della PA nel corso delle varie fasi del contratto.


c) Migliorare la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni.
Come già segnalato[24], allo stato, le informazioni disponibili in relazione alle operazioni di PPP si fermano alla fase di aggiudicazione, non coprendo le successive fasi della stipula del contratto, del financial closing e della gestione delle opere. Al fine di verificare l’effettivo numero di progetti in fase di gestione e l’andamento delle gestioni stesse, possono costituire un ausilio i dati raccolti dall’UTFP in attuazione della già menzionata circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2009, ai fini della corretta contabilizzazione delle operazioni di PPP aventi ad oggetto le c.d. opere fredde. Tuttavia, i contratti trasmessi sinora sono pochi in rapporto al campione stimato di riferimento[25]. Probabilmente tale carenza è imputabile all’assenza di sanzione in relazione alla omessa comunicazione dei dati. Si prevede, pertanto, un possibile miglioramento del monitoraggio attraverso l’inserimento dello stesso nell’ambito delle rilevazioni del programma nazionale di statistica nazionale a partire dall’anno corrente. In ogni caso le informazioni così raccolte, ove pure fossero complete, sarebbero rappresentative soltanto di una parte delle operazioni di PPP effettivamente in fase operativa, rimanendo escluse dall’obbligo di comunicazione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici tutte le c.d. opere calde affidate in concessione.

Per ovviare a queste problematiche sarebbe opportuna, in primo luogo, l’istituzione di un adeguato sistema di monitoraggio di tutti i contratti di PPP a livello centrale, che contempli la raccolta anche delle informazioni relative alla stipula dei contratti, al loro closing finanziario e alla gestione delle opere. Ciò consentirebbe non solo di avere un quadro completo delle operazioni che effettivamente hanno raggiunto la fase di gestione, ma anche di garantire il costante controllo della performance operativa del partner privato, verificandone l’idoneità a soddisfare le esigenze pubbliche connesse alla realizzazione dell’opera durante tutto il corso di durata del contratto.
A tal fine sarebbe, inoltre, auspicabile l’ampliamento degli obblighi di informazione posti in capo alle amministrazioni aggiudicatrici in relazione alle operazioni affidate, che si accompagni a un rafforzamento dell’attività di controllo della PA in tutte le fasi del contratto, non solo sul piano negoziale, ma anche assicurando un coordinamento tra livello centrale e locale, al fine di stabilire un processo di comunicazione fra i vari livelli di governo volto a individuare e diffondere best practices di settore.

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Note

1.  In particolare, il legislatore italiano (cfr. l’art. 3, comma 15-ter, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 – c.d. Codice dei contratti pubblici) definisce i contratti di PPP come “contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico dei privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”. Elenca, poi, a mero titolo esemplificativo, una serie di contratti di PPP quali: la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste e, laddove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi, anche l’affidamento a contraente generale. La presente analisi si concentra sulla realizzazione in PPP di opere pubbliche o di pubblica utilità attraverso le concessioni di lavori, che in Italia rappresentano la modalità più significativa di ricorso a tale strumento, sia per numero sia per valore degli interventi.

2.  Cfr. Nevitt (1987). Sulle definizioni e differenze tra PPP e PF cfr., tra gli altri, UTFP (2009); Cori (2009). Va precisato che l’art. 3, comma 15-ter, in precedenza menzionato include erroneamente, nell’elencazione dei contratti di PPP, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, di cui all’art. 153 del Codice dei contratti pubblici relativo alle varie procedure di gara per l’affidamento di un contratto di concessione di lavori pubblici: con ciò confondendo tipologie contrattuali e modalità di affidamento dei contratti e utilizzando impropriamente la locuzione finanza di progetto.

3.  Intendendosi per tali non solo la disciplina normativa – sia essa di rango primario o secondario – ma, più in generale, l’adozione e la diffusione di best practices, specie per quanto attiene l’inserimento di adeguate clausole sul piano negoziale.

4.  Cfr., tra gli altri, Nevitt (1987); Esty (2003); Iossa e Martimort (2008).

5.  Cfr., ad esempio, Iossa e Russo (2008).

6.  I rimborsi andranno imputati ad ammortamento dei prestiti per la quota capitale, al conto economico per la quota interessi. Se l’analisi basata sulle tre categorie di rischio menzionate non fornisce conclusioni univoche, possono essere presi in considerazione altri aspetti quali, ad esempio, gli accordi riguardanti l’assegnazione della proprietà delle opere alla scadenza del contratto e la presenza di garanzie da parte del soggetto pubblico. Si segnala come siano attualmente in corso – a livello europeo – nuovi approfondimenti sulla materia, che potrebbero portare ad ulteriori specificazioni delle regole da applicare a fini contabili rispetto a quanto stabilito dalla decisione Eurostat dell’11 febbraio 2004 (“Treatment of Public Private Partnerships” 2004, News Release No. 18, February 11).

7.  Cfr. OICE (2007).

8.  Cfr. Commissione Europea (2004), (2005) e (2009).

9.  Cfr. gli artt. da 37-bis al 37-nonies della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (legge quadro sui lavori pubblici – c.d. Merloni), introdotti dalla l. 11 novembre 1998, n. 415 (c.d. Merloni-ter), poi confluiti negli artt. 153-160 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice dei contratti pubblici). Come già rilevato, la dizione della legge Merloni, e poi del Codice, che si riferisce al project financing, non appare del tutto appropriata, in quanto sembra identificare la finanza di progetto con le peculiari procedure di cui alle disposizioni in parola, finalizzate all’affidamento di un contratto di concessione di lavori pubblici, che non è detto sia necessariamente finanziato con modalità di tipo project.

10.  Tra i più significativi si segnalano: i) il d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, in attuazione della c.d. legge obiettivo (l. 21 dicembre 2001, n. 443); ii) la l. 1o agosto 2002, n. 166 (c.d. Merloni-quater); iii) il d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113 (c.d. Secondo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici); iv) il d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (c.d. Terzo decreto correttivo Codice dei contratti pubblici); v) il d.l 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. Decreto Sviluppo); vi) il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214. Per l’evoluzione normativa che ha caratterizzato l’istituto negli ultimi anni si rinvia a Giorgiantonio e Giovanniello (2009).

11.  Che rappresenta allo stato attuale la principale base informativa relativa alle operazioni di PPP in Italia. Si consideri, tuttavia, che le informazioni disponibili sono ancora piuttosto limitate, arrestandosi alla fase di aggiudicazione dei lavori. L’Osservatorio, infatti, non censisce la stipula effettiva dei contratti, il relativo closing finanziario, gli aspetti attinenti la fase di gestione delle opere.

12.  Cfr. Kappeler e Nemoz (2010). Vengono inclusi progetti con orizzonte temporale lungo, in cui il rischio è condiviso tra pubblico e privati, che comportano la progettazione, la costruzione, la gestione e vedono il coinvolgimento di finanza privata. In particolare, sono escluse operazioni che si ritiene siano volte unicamente a non far apparire nel bilancio pubblico gli investimenti. La banca dati utilizzata non include i progetti di valore inferiore ai 5 milioni di euro.

13.  Cfr. Giorgiantonio e Giovanniello (2009); Cori, Giorgiantonio e Paradisi (2010).

14.  Una disamina delle quali è fornita in Giorgiantonio e Giovanniello (2009).

15.  Negli ultimi anni si sono sviluppate diverse metodologie che possono essere utilizzate dalla PA per verificare il requisito del Value for Money. Nei modelli di valutazione di matrice anglosassone, la stima del Value for Money è fondata sulla costruzione del Public Sector Comparator, strumento basato sulla valorizzazione finanziaria dei rischi trasferiti al privato. Su questi temi si rinvia a HM Treasury (2006); Martiniello e Samoggia (2008); EPEC – UTFP (2011).

16.  Cfr. Amatucci e Vecchi (2009).

17.  Cfr. l’art. 14 del Regolamento.

18.  Cfr. il nuovo comma 5 dell’art. 143 del Codice dei contratti pubblici.

19.  Il riferimento è allo schema di contratto di concessione di costruzione e gestione redatto da Finlombarda (cfr. Finlombarda (2007)) e al modello di convenzione di concessione di lavori predisposto dall’Unità Tecnica Finanza di Progetto – UTFP (cfr. UTFP (2008)) per la realizzazione di strutture ospedaliere. Si consideri che in altri paesi europei il ricorso alla soft law è stato molto più marcato. Nel Regno Unito, in particolare, per promuovere il ricorso al PPP il Governo ha puntato su circolari dettagliate seppure non vincolanti, recanti best practices, clausole contrattuali e sussidi tecnici (guide, note pratiche, raccomandazioni). Cfr. Giorgiantonio e Giovanniello (2009).

20.  Cfr. Cori, Giorgiantonio e Paradisi (2010), che analizzano i contratti di concessione di lavori pubblici inviati dalle amministrazioni concedenti all’UTFP in adempimento al dettato dell’art. 44, comma 1-bis, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della l. 28 febbraio 2008, n. 31, e della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2007, attuativa della predetta norma, che definisce termini e modalità di trasmissione all’UTFP delle informazioni relative alle operazioni di PPP, al fine di permetterne la corretta classificazione nel bilancio delle amministrazioni aggiudicatrici, secondo i criteri indicati dalla decisione Eurostat dell’11 febbraio 2004.

21.  In alcuni casi le penali in fase di gestione non sono previste.

22.  Con conseguente inversione dell’onere della prova, che in tal caso ricadrebbe sul concessionario.

23.  Cfr. art. 143, comma 8, del Codice dei contratti pubblici.

24.  Cfr. par. 3, nota 11.

25.  Sul punto si rinvia a Cori, Giorgiantonio e Paradisi (2010).