La realizzazione di infrastrutture in Italia: il ruolo del partenariato pubblico-privato
4. Alcune implicazioni di policy
Analisi recenti[13] hanno mostrato come alcune delle criticità dianzi menzionate nel ricorso al PPP per la realizzazione di infrastrutture siano, almeno in parte, mitigabili attraverso l’introduzione di opportuni presidi sul piano “regolamentare”, non solo dal punto di vista normativo, ma – più in generale – attraverso l’adozione e la diffusione di linee guida, modelli contrattuali standard e best practices. In particolare, sulla scorta dell’esperienza virtuosa di altri paesi europei (Regno Unito, Spagna, e – seppure in misura minore – Francia e Germania)[14], tali presidi dovrebbero essere tesi a: a) razionalizzare il ricorso alle operazioni di PPP; b) garantire un’adeguata predisposizione dei contenuti negoziali dei contratti; c) migliorare la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni.
a) Razionalizzare il ricorso al PPP. L’analisi delle informazioni disponibili per l’Italia ha mostrato come il ricorso al PPP sia limitato e spesso non coerente rispetto alle principali finalità a esso sottese. Ciò sembra imputabile, tra gli altri, a taluni fattori in grado di generare e aumentare il rischio amministrativo connesso all’iter di affidamento dei contratti: in particolare, all’inidoneità tecnica delle analisi propedeutiche all’inserimento degli interventi negli strumenti di programmazione.
A differenza di quanto verificatosi in alcune esperienze europee più virtuose (ad esempio, Regno Unito e Spagna), sinora le amministrazioni italiane hanno di fatto affidato i contratti di PPP in assenza di adeguate valutazioni preliminari circa la convenienza effettiva di ricorrere a tali strumenti. In particolare, sono mancate talune fondamentali valutazioni ex ante volte a rilevare la presenza delle condizioni per intraprendere un’operazione di PPP e a valutarne il Value for Money per l’amministrazione, inteso come margine di convenienza di un’operazione in PPP rispetto a un appalto tradizionale[15]. Più in generale, risulta inadeguata la predisposizione dei documenti tecnici a supporto dei processi decisionali della PA, con particolare riferimento allo studio di fattibilità degli interventi da realizzare in PPP, come confermato dalla variabilità nelle loro modalità di redazione (e nella relativa accuratezza)[16].
L’esperienza dei paesi europei più virtuosi mostra che i risultati migliori in materia di PPP vanno di pari passo a una crescente attenzione per il montaggio degli interventi, attraverso il supporto di una normativa ben strutturata anche per quanto riguarda i profili tecnici, e alla conseguente maggiore discrezionalità che viene riconosciuta a una PA in grado di gestirla. In proposito vale la pena segnalare come, nonostante i progressi recati dal Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), che ha – tra l’altro – prescritto un contenuto minimo dello studio di fattibilità, tenendo conto anche della verifica della possibilità di realizzazione di un’opera mediante i contratti di PPP indicati dal Codice dei contratti pubblici[17], tra le valutazioni richieste alla PA non sia stata esplicitata, nemmeno da tale disposizione, quella relativa al Value for Money, né quella concernente l’analisi dei rischi. Anche la recente modifica recata dall’art. 42, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha ampliato le possibilità accordate alle amministrazioni aggiudicatrici di cedere al concessionario, a titolo di prezzo, in proprietà o in diritto di godimento beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati, benché non strettamente connessi o strumentali all’opera da affidare in concessione[18], pur facendo riferimento a una “previa valutazione di convenienza economica”, non ne esplicita a sufficienza i criteri, con evidenti rischi di abuso. Numerose sono, quindi, le perplessità circa l’effettivo e migliore perseguimento dell’interesse pubblico.
b) Garantire un’adeguata predisposizione dei contratti. In Italia, a differenza di altri paesi europei, l’impegno regolatorio si è prevalentemente concentrato sugli aspetti procedurali del PPP, dedicando una limitata attenzione ad altri pur rilevanti profili, specie per quel che concerne la disciplina civilistica dei rapporti tra i vari attori coinvolti in tali operazioni. Nel nostro Paese vi è, inoltre, un limitato ricorso a strumenti di soft law (come linee guida e documenti standard) – solo di recente valorizzato limitatamente ai progetti relativi al settore ospedaliero[19] – che possano chiarire il complesso quadro regolatorio di riferimento e orientare gli operatori (in particolare le amministrazioni concedenti) nella predisposizione dei contratti.
Uno studio recente, che ha esaminato le convenzioni inviate all’Unità Tecnica Finanza di Progetto (UTFP) per realizzare il monitoraggio dei contratti di partenariato pubblico-privato, ha mostrato come sia ancora limitata l’attenzione dedicata alla predisposizione dei contratti di concessione di lavori pubblici, che – invece – dovrebbero rappresentare il luogo naturale per disciplinare i rapporti tra le parti, nonché per realizzare l’ottimale allocazione dei rischi in operazioni complesse e di lunga durata quali sono quelle di PPP[20].
Note
13. Cfr. Giorgiantonio e Giovanniello (2009); Cori, Giorgiantonio e Paradisi (2010).↑
14. Una disamina delle quali è fornita in Giorgiantonio e Giovanniello (2009).↑
15. Negli ultimi anni si sono sviluppate diverse metodologie che possono essere utilizzate dalla PA per verificare il requisito del Value for Money. Nei modelli di valutazione di matrice anglosassone, la stima del Value for Money è fondata sulla costruzione del Public Sector Comparator, strumento basato sulla valorizzazione finanziaria dei rischi trasferiti al privato. Su questi temi si rinvia a HM Treasury (2006); Martiniello e Samoggia (2008); EPEC – UTFP (2011).↑
16. Cfr. Amatucci e Vecchi (2009).↑
17. Cfr. l’art. 14 del Regolamento.↑
18. Cfr. il nuovo comma 5 dell’art. 143 del Codice dei contratti pubblici.↑
19. Il riferimento è allo schema di contratto di concessione di costruzione e gestione redatto da Finlombarda (cfr. Finlombarda (2007)) e al modello di convenzione di concessione di lavori predisposto dall’Unità Tecnica Finanza di Progetto – UTFP (cfr. UTFP (2008)) per la realizzazione di strutture ospedaliere. Si consideri che in altri paesi europei il ricorso alla soft law è stato molto più marcato. Nel Regno Unito, in particolare, per promuovere il ricorso al PPP il Governo ha puntato su circolari dettagliate seppure non vincolanti, recanti best practices, clausole contrattuali e sussidi tecnici (guide, note pratiche, raccomandazioni). Cfr. Giorgiantonio e Giovanniello (2009).↑
20. Cfr. Cori, Giorgiantonio e Paradisi (2010), che analizzano i contratti di concessione di lavori pubblici inviati dalle amministrazioni concedenti all’UTFP in adempimento al dettato dell’art. 44, comma 1-bis, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della l. 28 febbraio 2008, n. 31, e della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2007, attuativa della predetta norma, che definisce termini e modalità di trasmissione all’UTFP delle informazioni relative alle operazioni di PPP, al fine di permetterne la corretta classificazione nel bilancio delle amministrazioni aggiudicatrici, secondo i criteri indicati dalla decisione Eurostat dell’11 febbraio 2004.↑