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La realizzazione di infrastrutture in Italia: il ruolo del partenariato pubblico-privato

di - 9 Febbraio 2012
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3. L’esperienza italiana
Nel corso degli ultimi anni tutti i principali paesi europei hanno cercato di incentivare il ricorso a formule di PPP per la realizzazione di infrastrutture. Particolarmente significativa è l’esperienza del Regno Unito, che – oltre a costituire l’ordinamento europeo in cui il PPP ha trovato, a partire dagli anni ‘90, la sua prima applicazione – rappresenta anche il paese ove esso ha raggiunto la sua massima diffusione, soprattutto per le opere di maggiore complessità. Rilevante è anche il caso della Spagna, paese ha registrato negli ultimi anni un incremento esponenziale nel ricorso a formule di public-private partnership, diventando il secondo mercato nell’Unione Europea dopo il Regno Unito[7]. Il ricorso al PPP è stato a più riprese raccomandato dalla stessa Commissione Europea, che ha enfatizzato il coinvolgimento del settore privato nella realizzazione delle opere pubbliche, allo scopo di sfruttarne le risorse finanziarie e utilizzarne know how e capacità progettuali[8].
Anche nel nostro Paese è stata dedicata una specifica attenzione al coinvolgimento di capitali privati per la realizzazione di infrastrutture. Infatti, sin dalla fine degli anni ‘90, il legislatore italiano è intervenuto sulla disciplina della concessione di costruzione e gestione, al fine di consentire con più facilità l’affidamento a privati della realizzazione e della gestione di opere pubbliche[9]. Nel corso degli ultimi dieci anni, l’istituto è stato oggetto di numerosi interventi di modifica (l’ultimo dei quali recentissimo, recato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 – Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, non ancora convertito), tesi – da un lato – ad ampliare l’ambito di applicazione dell’istituto; dall’altro, a incentivare la presentazione di proposte da parte di promotori privati, incidendo soprattutto sull’iter procedurale di selezione[10].
Agli sforzi profusi a livello legislativo è corrisposto un sostanziale trend di crescita nel ricorso allo strumento. Secondo le informazioni raccolte dall’Osservatorio nazionale sul project financing[11], tra il 2002 e il 2010 il numero complessivo delle gare è passato da 187 a 765, il loro valore da 1,3 a 6,7 miliardi di euro (passando dallo 0,9 al 4,1 per cento del numero totale di gare per opere pubbliche; dal 5 al 20 per cento in termini di valore).
Nonostante ciò, l’impiego del PPP in Italia – nel confronto con altri paesi europei – rimane ancora piuttosto limitato. Si consideri, infatti, che nel periodo tra il 1990 e il 2009, in Europa sono stati realizzati con formule riconducibili al partenariato pubblico-privato contrattuale 1.340 progetti, per un valore complessivo di 253.745 milioni di euro. Di questi il 67 per cento è stato realizzato nel Regno Unito (53 per cento del valore); il 10 per cento in Spagna (12 per cento del valore); il 6 e il 5 per cento rispettivamente in Francia e in Germania (corrispondenti al 5 e al 4 per cento del valore totale); in Italia solo il 2 per cento (3 per cento del valore)[12].
Inoltre, a parte alcune eccezioni (perlopiù relative ai trasporti e alla sanità), i progetti hanno dimensioni relativamente contenute: il valore medio delle gare tra il 2002 e il 2010 è stato pari a 16,8 milioni di euro, contro i 123,3 del Regno Unito. Oltre il 95 per cento delle gare (al netto di quelle con importo non segnalato), non supera i 50 milioni di euro; prevalgono quelle entro i 5 milioni di euro, che rappresentano il 70 per cento del totale.
Tra il 2002 e il 2010 i principali settori interessati dal PPP sono stati quelli tipici dei servizi pubblici locali: a parte pochi grandi interventi nelle infrastrutture di trasporto (autostrade, metropolitane: 1 per cento sul numero totale di gare, ma ben il 54 per cento come valore) e negli ospedali, la gran parte delle opere ha riguardato investimenti locali per la realizzazione di parcheggi (11 per cento del totale delle gare come numero; 5 per cento come valore), impianti sportivi (12 per cento del totale delle gare come numero; 3 per cento come valore), cimiteri (9 per cento del totale delle gare come numero; 3 per cento come valore), in generale casi in cui il tipo di opera da realizzare non è molto complesso, il flusso di cassa è facilmente prevedibile e il rischio di mercato è presumibilmente contenuto.
Infine, i dati mostrano un’elevata mortalità delle iniziative: nel periodo 2002-2010 solo il 46,3 per cento delle gare è giunta all’aggiudicazione. La distribuzione dei tassi di aggiudicazione per importo sembra premiare gli interventi di valore più elevato: il rapporto tra gare bandite e aggiudicazioni effettive è pari al 73,7 per cento per le opere comprese tra i 5 e i 50 milioni di euro e al 67,8 per cento per quelle di ammontare superiore, contro il 36,7 per cento di quelle al di sotto del milione di euro.
In sintesi, le dimensioni relativamente contenute, i settori e la natura delle opere – spesso interventi poco complessi oppure opere fredde e con canoni predeterminati e non legati alla qualità del relativo servizio – segnalano come il PPP sia scarsamente adoperato, in confronto con altri paesi e usato spesso con finalità spurie rispetto a quelle proprie dello strumento. Vi è il timore che spesso, più che un complesso repackaging dei rischi (troppo costoso da definire per interventi di importo ridotto) e rafforzamento degli incentivi al miglioramento di costi e qualità (sia nella costruzione, sia nella gestione dell’opera), si finisca per ottenere dal privato soltanto l’anticipo delle spese di costruzione a fronte dell’assunzione di impegni futuri di spesa da parte della PA, con l’obiettivo di aggirare i limiti posti dall’ordinamento all’indebitamento degli enti pubblici.

Note

7.  Cfr. OICE (2007).

8.  Cfr. Commissione Europea (2004), (2005) e (2009).

9.  Cfr. gli artt. da 37-bis al 37-nonies della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (legge quadro sui lavori pubblici – c.d. Merloni), introdotti dalla l. 11 novembre 1998, n. 415 (c.d. Merloni-ter), poi confluiti negli artt. 153-160 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice dei contratti pubblici). Come già rilevato, la dizione della legge Merloni, e poi del Codice, che si riferisce al project financing, non appare del tutto appropriata, in quanto sembra identificare la finanza di progetto con le peculiari procedure di cui alle disposizioni in parola, finalizzate all’affidamento di un contratto di concessione di lavori pubblici, che non è detto sia necessariamente finanziato con modalità di tipo project.

10.  Tra i più significativi si segnalano: i) il d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, in attuazione della c.d. legge obiettivo (l. 21 dicembre 2001, n. 443); ii) la l. 1o agosto 2002, n. 166 (c.d. Merloni-quater); iii) il d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113 (c.d. Secondo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici); iv) il d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (c.d. Terzo decreto correttivo Codice dei contratti pubblici); v) il d.l 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. Decreto Sviluppo); vi) il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214. Per l’evoluzione normativa che ha caratterizzato l’istituto negli ultimi anni si rinvia a Giorgiantonio e Giovanniello (2009).

11.  Che rappresenta allo stato attuale la principale base informativa relativa alle operazioni di PPP in Italia. Si consideri, tuttavia, che le informazioni disponibili sono ancora piuttosto limitate, arrestandosi alla fase di aggiudicazione dei lavori. L’Osservatorio, infatti, non censisce la stipula effettiva dei contratti, il relativo closing finanziario, gli aspetti attinenti la fase di gestione delle opere.

12.  Cfr. Kappeler e Nemoz (2010). Vengono inclusi progetti con orizzonte temporale lungo, in cui il rischio è condiviso tra pubblico e privati, che comportano la progettazione, la costruzione, la gestione e vedono il coinvolgimento di finanza privata. In particolare, sono escluse operazioni che si ritiene siano volte unicamente a non far apparire nel bilancio pubblico gli investimenti. La banca dati utilizzata non include i progetti di valore inferiore ai 5 milioni di euro.

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