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L’Italia dal Risorgimento all’Europa, attraverso la Costituzione*

di - 24 Gennaio 2012
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Un “terzo Risorgimento”, insomma, nel quale dobbiamo guardare concretamente non più e non soltanto ai diritti particolari del cittadino, ma ai diritti universali dell’uomo: la dignità, la solidarietà, l’eguaglianza e la libertà, in cui si sviluppa la Carta europea dei diritti fondamentali, si legano alla dignità e alla laicità, in cui si riassume la nostra Costituzione. Il passaggio da una comunità dell’appartenenza (che può risolversi nell’esclusione) ad una comunità della partecipazione (che mira all’inclusione) si afferma ulteriormente e concretamente, in una prospettiva sovranazionale e globale.
Possono sembrare considerazioni lontane dalla realtà, oggi che l’Europa ci appare come la salvatrice che ci prescrive la ricetta per superare la crisi interna (oppure si protegge dal contagio temuto dai partner); oppure come l’invadente badante che ci impone la cura dopo aver amplificato la malattia. Credevamo di avere l’influenza, e diamo la colpa alle correnti globali se scopriamo di avere la polmonite.
Bastava chiudere la porta! – restando il dubbio che tale semplicistica soluzione sia ispirata più dalla miopia o dall’egoismo -. Resta ciò di cui sono convinto più che mai: l’unità europea da raggiungere non è meno importante dell’unità italiana da conservare. Rappresenta la nuova dimensione dell’eguaglianza, delle diversità, della solidarietà, della dignità, della laicità, con cui siamo chiamati a confrontarci in un mondo globale, segnato dalle migrazioni di massa, dal terrorismo globale e glocale, dalle patologie dell’economia e del mercato, dall’evoluzione e dalle insidie della tecnologia, dai problemi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile: un mondo nel quale possiamo e dobbiamo essere ancora capaci di proporre una testimonianza, come italiani e come europei.
Certo, un problema di sovranità esiste; ma non è quello della sovranità perduta dagli Stati nazionali e conferita all’Europa; è quella ceduta dagli stati nazionali e dall’Europa insieme a chi opera al di fuori dei meccanismi della legittimazione democratica e della responsabilità; in pratica perduto dalla politica e dalle istituzioni, nazionali e sovranazionali, momentaneamente timorose di completare un cammino necessario e ineludibile. Nella dimensione globale dell’economia e della finanza troppo poco regolate (non già il contrario) paesi e istituzioni agiscono come fossero privati sui mercati. Ben ce lo aveva spiegato Tommaso Padoa Schioppa, scomparso undici mesi fa e proprio ieri ricordato a Milano (e che vorrei a pieno titolo inserire tra gli italiani che più hanno contribuito all’euro e all’Europa, della quale fu civil servant a Bruxelles, prima ancora di esserlo nel suo Paese): «Per vent’anni lo spazio tra moneta e Stato europeo è rimasto aperto, anzi si è allargato. Ma quando la crisi, invece di un’impresa o una banca, ha colpito un paese e minacciano l’euro, si è cominciato a capire che non si poteva più fare a meno dello Stato dell’euro. (…) La storia si muove zoppicando nelle contraddizioni, ma alla lunga deve ricongiungere moneta e Stato». Confido che il presidente Van Rompuy condivida e possa aiutarci a intravvedere il sentiero da percorrere.

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