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L’Italia dal Risorgimento all’Europa, attraverso la Costituzione*

di - 24 Gennaio 2012
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Gli esempi della questione meridionale e di quella romana – come molti altri: penso alla questione femminile ed a quella del lavoro, altrettanto fondamentali – dimostrano quanto sia necessario conoscere il nostro passato per comprendere il nostro presente e progettare il nostro futuro. Conoscerlo non solo negli aspetti gloriosi e positivi, ma anche negli aspetti negativi e negli errori, perché (come ricorda l’ammonimento all’ingresso del campo di concentramento di Dachau) «chi ignora il passato è condannato a ripeterlo». Conoscerlo senza apriorismi, senza semplificazioni superficiali, laicamente e con rispetto, perché c’è molto da ricordare nel nostro percorso unitario, nel bene e nel male.
Vi è un nesso tra i vizi, i limiti, i compromessi, il centralismo e il burocraticismo, le carenze della nostra vita unitaria, nel primo come nel secondo Risorgimento. Ma v’è anche un nesso tra gli eroi dell’uno e dell’altro: dai martiri delle battaglie e dei moti risorgimentali agli eroi della Resistenza, della fedeltà militare, a quelli della quotidianità nel nostro tempo, le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, cadute nel compimento del proprio dovere.
Accanto ai momenti di crisi, si devono ricordare anche i traguardi raggiunti: nel primo Risorgimento, con l’unità nazionale e l’affermazione di un’Italia moderna fra le nazioni; nel secondo, con la ricostruzione, il miracolo economico, la democrazia, l’apertura all’Europa. I centocinquanta anni trascorsi non si possono liquidare sbrigativamente con il giudizio cinico, che «tutto deve cambiare, perché tutto rimanga come prima».
Ecco perché è giusto – nonostante la crisi; anzi, proprio di fronte alla crisi – celebrare i centocinquanta anni del processo unitario, “riappropriarci” di esso, rivolgendo “la mente al passato e lo sguardo al futuro” per affrontare “l’angoscioso presente”, come ci ricordava recentemente Giorgio Napolitano”. E celebrare quel processo guardando all’evoluzione del patriottismo, che ai valori su cui si unificò l’Italia aggiunge – non sostituisce – i valori proposti dalla Costituzione per la nostra convivenza.
Sono valori oggi, forse, più facilmente percepibili di quelli del primo Risorgimento. Rappresentano un motivo di speranza e di fiducia nel futuro del nostro paese, oltre che una ragione convincente per la celebrazione del suo passato; a condizione di saperli coniugare nel concreto e di saperli legare ad alcuni profili tipici del nostro DNA e ad alcuni punti di forza del nostro modo di essere, che sono anche essi radice del passato e garanzia del futuro: il federalismo solidale; la valorizzazione della tradizione municipale; il volontariato e la sussidiarietà orizzontale che è espressione della solidarietà; la dimensione europea.

5. Sulla dimensione europea vorrei fermarmi brevemente, a conclusione di queste riflessioni, perché – di fronte alla crisi che investe pesantemente l’Italia come l’Unione – proprio l’impegno europeo può e deve rappresentare una grande risorsa del patriottismo italiano e la logica prosecuzione di quest’ultimo e del nostro percorso unitario.
Davanti alla grave crisi – prima finanziaria, poi economica, ora anche politica e sociale; e di nuovo finanziaria per l’Italia in questi giorni drammatici in balìa dello spread – molti si chiedono se essa potrà sopravvivere, manifestano scetticismo sull’euro, prospettano vie d’uscita (giuridicamente inesistenti) dalla moneta unica.
Ma vale la pena di guardare, al cammino degli ultimi sessant’anni di vita europea anche sotto un profilo forse troppo trascurato, rispetto a quello della moneta, dell’economia e del mercato, che oggi più ci preoccupano; ma che non troverebbero adeguata soluzione senza una prospettiva più ampia e di lungo periodo (e per questo non porterò via altro tempo, desideroso di ascoltare, come voi, le riflessioni del presidente del Consiglio europeo).
Il profilo al quale mi riferisco è l’aver posto al centro della convivenza europea – anche se non sempre ce ne rendiamo conto – i diritti fondamentali e la loro tutela: prima, attraverso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la relativa Corte a Strasburgo, nell’ambito del Consiglio d’Europa; poi, attraverso l’unificazione, lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, richiamata dal Trattato di Lisbona nel 2007. Lo diamo così per scontato da temere, ora, che gli stranieri, gli esclusi, gli immigrati possano insidiarlo: nonostante la tradizione e la cultura dei diritti fondamentali rappresentino il Dna della identità europea, la prima ragion d’essere del suo impegno unitario, il monito e l’eredità vincolanti della shoah e degli orrori di due guerre sul territorio continentale, nei primi cinquanta anni del “secolo breve”.
È un impegno, quello italiano per l’Europa, già ben presente nelle visioni di Cavour, di Garibaldi e di Mazzini. È stato coltivato con generosità e passione sia dagli italiani padri dell’Europa, come De Gasperi e Spinelli, sia dai loro successori, come Ciampi, Napolitano, l’ex presidente della Commissione Romano Prodi, l’ex commissario Mario Monti. È da sempre presente nelle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa, al di là della loro proclamazione ufficiale e del rischio che possano divenire strumento di divisione più che di unione. Un impegno che mira a collegare senza soluzione di continuità l’Italia di ieri, di oggi e di domani, all’Europa; un collegamento reso possibile dalla Costituzione “presbite” del 1948, la quale – con la formulazione dell’art. 11 – ci ha consentito (a differenza di altri paesi membri) di far proprio l’ordinamento comunitario e poi dell’Unione, senza bisogno di modifiche costituzionali.
A tutto questo dobbiamo guardare con fiducia sopratutto oggi, perché l’Europa ha sempre saputo trovare nelle crisi la forza per proseguire e rinnovare lo slancio del cammino unitario. E senza perdere di vista quanto avviene sulla porta della casa comune: penso al terremoto geopolitico sull’altra sponda del Mediterraneo e agli ulteriori problemi di immigrazione che ne derivano. L’arroccamento dell’Europa e dei suoi stati membri in una inaccettabile “fortezza del benessere” (che forse neppure esiste ai nostri occhi) sarebbe il primo passo verso la fine dell’Europa, ben più di quanto non si possa temere dalla crisi economica e finanziaria. Quello europeo è un impegno senza soluzione di continuità nel passaggio dalla cittadinanza nazionale a quella europea, dai valori del patriottismo costituzionale del secondo Risorgimento a quelli del patriottismo europeo.

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