Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Piani urbanistici e mercato dei diritti edificatori

di - 20 Dicembre 2011
      Stampa Stampa      

Il mercato dei diritti come strumento di regolamentazione
Il tratto caratterizzante della perequazione urbanistica è quello di creare titoli edificatori, trasferibili a titolo oneroso, al fine di favorire l’emergenza di uno specifico mercato, che serva di fatto gli obiettivi di natura regolatoria. La teoria sottostante, ispirata al lavoro del premio Nobel Ronald Coase (1960), avvalora la tesi che il mercato, oltre a essere una tecnologia di scambio, possa essere inteso come un sistema di contenimento di effetti dannosi o di conseguenze indesiderate – quelle, che gli economisti chiamano “esternalità negative” – attraverso la creazione di diritti ben definiti in grado di incorporarle (Ramello, 2011).
In questo senso, dunque, il concetto “diritto di proprietà” si estende ben oltre le tradizionali categorie giuridiche per definire più in generale un titolo esclusivo su una data risorsa, trasferibile in modo volontario e tramite l’esazione di un prezzo in un mercato specifico.
L’archetipo di un mercato di titoli trasferibili diretto a finalità regolatorie è quello dei diritti di emissione di gas nocivi. Qui il principio ispiratore rimanda all’idea che l’eccessiva produzione di inquinamento dipenda dal fatto che chi inquina non ne paga il costo, che viene quindi “socializzato” (non a caso Coase intitola il suo celebre contributo “Il problema del costo sociale”). Ciò si verifica proprio perché l’inquinamento non viene incluso nei prezzi dei beni scambiati e, quindi, viene prodotto senza limiti, benché la società nel suo complesso ne paghi il costo.
La creazione di diritti che attribuiscono ad alcuni titolari, quali imprese o Stati, quote di emissione per un totale ben definito serve a riportare nel mercato tali costi, con la duplice virtù di definire una soglia massima di inquinamento (il limite complessivo dato dalla somma delle quote individuali appunto) e la sua allocazione, tramite la negoziazione spontanea, a chi lo valuta di più.
Quest’ultimo criterio è principalmente diretto all’efficienza, giacché limita la possibilità di inquinare alle produzioni che generano un beneficio superiore al costo delle emissioni (e possono dunque permettersi di acquistare le quote).
Il primo criterio produce, invece, incentivi alla riduzione di emissioni inqui­nanti perché coloro per i quali è più economico usare tecnologie di depurazione saranno incentivati a percorrere tale strada, mentre coloro che non possono pagare il prezzo né dei diritti né della depurazione perché il valore della produzione è più basso del costo dì entrambi sceglieranno di non produrre e, quindi, di non inquinare. Anche in questo caso si promuove in definitiva l’efficienza, evitando le distorsioni di un eccesso di attività determinato dal trasferimento di parte dei costi alla società.
La pratica descritta trova oggi concreta applicazione in diversi ambiti: per esempio, per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, anidride solforosa e altro, dall’Environmental protection agency (Epa) statunitense. Inoltre, a essa si ispira il modello dell’European emission trading system (Eu Ets) avviato nel 2005 dalla Commissione europea.
Il vantaggio del mercato dei permessi rispetto alla regolamentazione tradizionale, che impone limiti individuali con o senza il pagamento di tasse specifiche, è quello di permettere la definizione rigida di una soglia: l’insieme dei diritti assegnati raggiunge un limite conforme alle necessità della regolamentazione. Nel contempo, l’obiettivo prefissato non viene perseguito attraverso l’imposizione dall’alto, mediante gli strumenti imperativi della regolamentazione tradizionale, e diventa, dunque, più accettabile per gli attori del mercato (Ellerman, 2005).
Infine, la negoziazione è più idonea a far emergere il valore reale dei dirit­ti (e, quindi, il costo dell’inquinamento) rispetto alla decisione unilaterale di un’autorità centrale, che deve definire il prelievo fiscale con scarse cognizioni e, quindi, con maggiori probabilità di sbagliare la valutazione. È bene però precisare che la soluzione prospettata attribuisce al mercato un ruolo cruciale, ma non elimina la necessità del regolatore che da un lato definisce la dimensione massima di inquinamento e dall’altro verifica il rispetto delle regole.
Se si prova ora a intendere lo sviluppo urbanistico come un’attività produttrice di esternalità negative (per esempio, l’impatto ambientale di nuove costruzioni), il sistema descritto si applica facilmente all’ambito edilizio con un caveat. Lo sviluppo di volumetrie produce, infatti, due effetti disgiunti: da un lato, determina effetti simili all’inquinamento nella misura in cui altera la destinazione originale dell’area, che cambia la propria natura fisica e aumenta la densità edilizia; dall’altro, induce una sorta di “inquinamento positivo” per i proprietari fortunati, che vedono aumentare il valore dei propri fondi senza averne alcun merito. Quest’ultimo aspetto, si scriveva, è quello che genera l’iniquità determinata dalla lotteria dei piani regolatori.
La distribuzione di titoli a tutti i proprietari del comparto perequato – anche a quelli di terreni soggetti a vincolo – è invece volta ad allargare la rosa dei beneficiari, perseguendo quindi tramite il mercato l’obiettivo aggiuntivo dell’equità. Questo aspetto anzi è quello che nel nostro Paese giustifica l’uso del termine perequazione.
Efficienza ed equità diventano, quindi, i due pilastri dei provvedimenti perequativi italiani e sono strumenti per gli amministratori locali per la ricerca del consenso rispetto ai piani di governo del territorio. Nondimeno efficienza ed equità rappresentano criteri distributivi discrepanti, che meritano un approfondimento per valutare appieno quali possano essere gli esiti reali della perequazione.

Pagine: 1 2 3 4 5


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy