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Un moderno oracolo di Delfi per i beni culturali: tempo di bilanci

di - 25 Luglio 2011
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Tornando all’oggi, non bisogna sottovalutare il fattore trasparenza. Lo stimolo alla cultura della donazione proviene anche da minore opacità e maggiore accuratezza contabile da parte dei musei, segnatamente quelli pubblici. Attualmente la mancanza di una contabilità autonoma e specifica per ogni struttura museale si traduce nella mancanza di valori complessivi, sintetici e chiari. Non vi è contabilità perché il museo è parte di “altre” amministrazioni, quindi non sempre ha una sua forma di controllo essendo inserito in altre e più complesse gestioni. Per giunta il museo è considerato alla stregua di un bene patrimoniale e non un capitale economico. Non è di conseguenza facile rilevare la misura della dimensione dei costi, del deficit e della dimensione dei flussi finanziari positivi. Né è semplice operare una riclassificazione di conti già esistenti. Inoltre è consolidata l’opinione che per i beni artistici sia sufficiente produrre ricchezza indiretta in termini di benefici, quali l’aumento dei flussi turistici. A ciò si aggiunga la mancanza di dati sul valore economico delle opere d’arte e delle strutture che le ospitano. Mentre per un’analisi di tipo aziendale e la trasparenza informativa il principale documento è il bilancio.
Si richiama quindi l’attenzione su un punto: il bisogno non più rinviabile di attivare strumenti contabili specifici che permettano di monitorare “dall’esterno” l’attività dei musei e i processi di allocazione delle risorse elargite. Tuttavia, il passaggio da un tipo di contabilità pubblica a una rilevazione che permetta di osservare, rappresentare e confrontare le variazioni economiche prodotte in seguito alla specifica attività museale svolta, richiede naturalmente anche il superamento di altre tipologie di ostacoli. Come quelli derivanti dalla trasformazione di dati che sono stati rilevati in origine con finalità completamente differenti. Purtroppo nell’amministrazione pubblica il sistema di rilevazione nasce e si sviluppa come strumento “autorizzativo”, con la finalità primaria di predefinire gli spazi operativi entro cui può svolgersi l’azione degli organi amministrati. Finalità talmente rilevante da porre in secondo piano l’esigenza della corretta rappresentazione della gestione, come avviene nei tradizionali filoni giuridico-contabili.
Sarebbe viceversa necessario costruire un modello di cash flow che permetta di individuare i flussi delle entrate e delle uscite monetarie originate dal ciclo tipico della gestione per rapportare musei di dimensioni differenti e con logiche gestionali differenti attraverso un’analisi basata su modelli finanziari tali da rendere più omogenea la comparazione. Però obiettivi di questo tipo implicano uno shift ancora più a monte, tale da permettere di arrivare a considerare i musei non più uffici degli organi periferici del Ministero, bensì strutture dinamiche che oltre alla tutela dei beni, hanno compiti più strettamente economici. E in questa mutata ottica non sarà più sufficiente una concezione patrimonialistica del museo.

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