Stato e Mercato in Sanità: la nuova configurazione del National Health Service alla luce della proposta di riforma Cameron

Traccia della Lecture allo Study Tour di AIOP Giovani dal titolo “L’evoluzione del Sistema Sanitario inglese”
Londra, 31 marzo – 1 aprile 2011.

Se nel 2005, Rothgang et al., in un articolo pubblicato su European Review, avevano colto i primi segnali di un processo di graduale attenuazione della rigida separazione tra i tre paradigmi sanitari (sistema sanitario nazionale, assicurazione sociale di malattia, schema privato), oggi, gli stessi autori confermano l’esistenza di una chiara e inequivocabile tensione dei sistemi sanitari dei paesi sviluppati a convergere verso un mix pubblico-privato sempre meno eterogeneo.
Nel nostro paese, dove il così detto modello lombardo viene eretto a emblema di un paradigma vincente di sanità, mai come ora, si avvertono forti le spinte del mondo assicurativo privato per un ridimensionamento del Servizio Sanitario Nazionale e per un ripensamento dell’intera architettura del sistema: l’obiettivo è quello di scardinare il monopolio pubblico della tutela e di ritagliarsi uno spazio nel finanziamento dei servizi alla salute. D’altra parte la macchina sanitaria pubblica ha davanti a sé importanti sfide. Il quadro demografico sta cambiando, con esso quello epidemiologico, e i consumatori contribuenti si aspettano che l’offerta si adegui alle nuove esigenze.
All’estremo opposto di un continuum virtuale che si snoda a partire da un’opzione organizzativa pubblica verticalmente integrata per abbracciare progressivamente configurazioni di impronta sempre più marcatamente concorrenziale, troviamo gli Stati Uniti, dove, un anno fa, è stata approvata una riforma definita da più parti epocale: essa rappresenta il primo tentativo riuscito di regolazione del mercato della sanità. La ristrutturazione del sistema sanitario statunitense è stata presentata dall’amministrazione Obama come necessaria e indispensabile alla correzione di uno schema che si è dimostrato per più aspetti fallimentare. Non c’è stata una trasformazione radicale: il sistema è rimasto eminentemente privatistico. Tuttavia, si è cercato di mettere mano a molte delle degenerazioni che un modello di libero mercato ha dato prova di produrre in sanità.
Pochi mesi dopo, nell’estate del 2010, la proposta di riforma del National Health Service (NHS), elaborata dal nuovo governo conservatore inglese, ha posto nuovamente in primo piano quelli che sono, a mio parere, gli interrogativi fondamentali della nuova riflessione teorica intorno alle possibili direttrici di sviluppo dei paradigmi nazionali di welfare: quale è la giusta direzione? Più o meno mercato in Sanità? E’possibile identificare un trade off ottimale tra efficienza, efficacia, equità e libertà di concorrenza e di scelta?
Cercheremo di analizzare il disegno riformatore inglese alla luce di quest’ipotesi di convergenza, evidenziando, tra i numerosi elementi di discontinuità, quelli che preannunciano per il NHS il definitivo abbandono dell’approccio pubblicistico e centralizzato, se non riguardo all’aspetto del finanziamento (destinato, al momento, a rimanere nello schema universalistico), nell’organizzazione della rete di committenza e di produzione.

Una volta fornito il quadro sintetico e identificati i possibili elementi di criticità sarà anche più agevole individuare i canali attraverso i quali, nei sistemi originariamente connaturati da una massiccia presenza pubblica, si sta delineando un (nuovo) ruolo del privato in sanità e comprendere la posizione strategica che, all’interno dei modelli ibridi, si vuole riservare al cittadino consumatore.
Siamo dinnanzi a una profonda rivisitazione dell’architettura del NHS: nel nuovo disegno, molte strutture sono destinate a scomparire, altre verrebbero riconvertite nelle funzioni fondamentali, altre ancora prenderebbero vita per assolvere a esigenze di razionalizzazione e di funzionalità sistemica. Ma al di là della configurazione che assumerebbe il NHS nella sua nuova articolazione funzionale, è importante focalizzare la nostra attenzione sull’opzione di fondo, sugli elementi portanti di quella riforma che da più parti è stata accolta (in alcuni casi, con entusiasmo, più spesso con timori e resistenze) come rivoluzionaria.
Innanzitutto, nel nuovo NHS, si assiste al definitivo abbandono del modello integrato e alla piena emancipazione della funzione di acquisto da quella di produzione, operazione, questa, inaugurata dal precedente governo laburista: due terzi delle strutture ospedaliere del NHS sono, infatti, già state trasformate in fondazioni. La funzione di committenza, tuttavia, non compete più ai Primary Care Trust (PCTs), strutture organizzative pubbliche assimilabili alle nostre Asl, ma ad associazioni private di medici di medicina generale. I PCTs saranno, dunque, aboliti. Al loro posto, 300-500 GPs Consortia gestiranno complessivamente l’80% del budget del NHS, che servirà a finanziare, al di là di quelle attività di primary care da sempre garantite dal medico di base, anche l’assistenza specialistica, diagnostica e ospedaliera.

Tra gli obiettivi dichiarati della riorganizzazione, vi è quello di snellire l’apparato burocratico sanitario che, nelle previsioni, dovrebbe contribuire all’abbattimento dei costi amministrativi e gestionali nella misura, rispettivamente, di un terzo e del 45% (assieme ai 151 PTCs saranno eliminate le relative strutture di controllo, le Strategic Health Authorities). La cancellazione di questi soggetti dovrebbe rappresentare la principale fonte di risparmio per il NHS: si consideri che nel disegno di legge si prevede una riduzione della spesa sanitaria di quattro punti percentuali ogni anno per un totale di quattro anni. La stessa sostituzione dei PCTs con gruppi organizzati di medici di medicina generale, viene giustificata, tra le altre cose, con un esigenza di razionalizzazione della spesa per prestazioni sanitarie: i medici di famiglia, sia per l’impatto che la qualità dell’assistenza medica primaria produce in termini di appropriatezza nel ricorso ai servizi in emergenza (pensiamo ai numerosi codici bianchi attribuiti nei centri di pronto soccorso) sia per il loro ruolo di gatekeeper (veicolo della domanda verso la medicina specialistica e, in generale, verso step di cura o diagnosi successivi), rappresentano una leva fondamentale di controllo e contenimento delle risorse destinate alla salute. Rendere contestuali i momenti di decisione terapeutica e di finanziamento della stessa, in un regime di budget fissi, ha chiaramente un effetto accountability.
Il perfezionamento del processo di separazione tra acquirente e offerente e tra controllato e controllore, introducendo quel contrasto di interessi che costituisce la necessaria premessa per l’attivazione di meccanismi pro-competitivi, rappresenta anche la precondizione per una piena trasformazione dell’accreditamento (da un riconoscimento di idoneità overall) in un’abilitazione all’erogazione per conto del NHS di alcune determinate prestazioni, selezionate, di volta in volta, sulla base di una pianificazione del servizio locale, coerente con i bisogni di salute della popolazione, i costi di erogazione e gli standard di cura offerti. Consegnando alla medicina di base (il livello di assistenza più prossimo al cittadino) il potere di ridisegnare il panorama dell’offerta secondo criteri clinically-led e patient-centred, si persegue, parallelamente, un obiettivo di democratizzazione del sistema e di miglioramento generalizzato delle performance.
Nel disegno di legge, le risorse da assegnare a ciascun consorzio, secondo un modello a capitalizzazione aggiustato in base a parametri qualitativi, sono stabilite da un organo indipendente, il NHS Commissioning Board. Sono, quindi, previsti meccanismi di Pay For Performance, dove il rendimento è misurato sia in termini di outcomes sia in termini di gestione finanziaria. Al di là delle funzioni allocative, il Board è chiamato ad assistere e valutare i consorzi nell’esercizio della loro attività di committenza, attraverso la predisposizione di linee guida, la definizione dei modelli contrattuali, la determinazione degli standard di performance ecc.
Tra gli aspetti, secondo il nostro punto di vista, maggiormente interessanti, vi è la circostanza che l’offerta di beni e servizi sanitari viene a essere permeata da una rigida logica concorrenziale: non solo la committenza è chiamata a negoziare volume, prezzo e qualità delle prestazioni con “any willing providers”, indipendentemente dalla natura giuridica della proprietà/gestione, ma si prevede che gli stessi assistiti siano liberi di selezionare il proprio consorzio, orientando le proprie preferenze sulla base della qualità delle opzioni disponibili. Le risorse, chiaramente, seguono i pazienti. Ecco che si assiste all’ingresso del privato (e del terzo settore) nel mercato della salute in condizioni di perfetta parità con le foundation trust e, parallelamente, viene sancito in maniera chiara e inequivocabile il principio di responsabilità economico-finanziaria. E’ la prima volta che un sistema sanitario europeo si dimostra disposto ad accettare le conseguenze e i rischi dell’applicazione del modello di competizione controllata, primo fra tutti il fallimento degli ospedali pubblici. In altre parole, lo Stato si astiene da interventi di integrazione o di ripiano dei disavanzi generati dalla gestione, non solo dei providers ma anche degli stessi GPs consortia.
Corollari di una chiara opzione per un sistema di confronto diretto possono considerarsi la rimozione, per le foundation trust, dei tetti previsti per le entrate private (ovvero dei ricavi generati dalla fornitura di servizi non finanziati dal NHS, ma attraverso forme di pay as you go e/o polizze assicurative private); il reinvestimento dei proventi e dei surplus all’interno della struttura, anziché ridistribuirli esternamente a copertura dei deficit; la liberalizzazione delle tariffe e l’introduzione di incentivi/disincentivi economici (si prevede che in futuro i consorzi possano essere in grado di definire contrattualmente le modalità di remunerazione delle prestazioni alla luce degli outcomes).
Questi ultimi due punti (e in generale i sistemi di pagamento individuati per il nuovo schema) meritano un approfondimento. Una delle motivazioni addotte per una rivisitazione tanto radicale del modello inglese di sanità è la bassa resa del NHS in termini di esiti sanitari. Tralasciando ogni considerazione in merito alla fondatezza di questo dato e alle sue eventuali implicazioni (bisognerebbe, innanzitutto, interrogarsi sull’esistenza di un nesso tra performance del sistema, misurata, ad esempio, in termini di mortalità standardizzata a seguito di determinate patologie, e opzioni organizzative), ci soffermeremo sulle modalità proposte dai Conservatori per realizzare gli obiettivi di improvement.

Nel Libro Bianco e nei successivi documenti pubblicati dal Department of Health si dà voce alla necessità di improntare, a tutti i livelli, meccanismi di remunerazione in grado di associare l’entità del pagamento a un’analisi costi-benefici. Dal Board agli ospedali, è stato concepito un sistema di valutazione delle performance che si scompone in obiettivi di risultato caratterizzati da un livello di astrazione via via minore a mano a mano che si scende lungo la catena di fornitura dei servizi sanitari.

Nel NHS Outcomes Framework, il Ministro della Salute individua cinque dimensioni qualitative[1] sulla base delle quali il Board è chiamato a rispondere del suo operato. A partire dalle aree di improvement identificate a livello centrale, il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE), individua gli standard qualitativi relativi a ogni percorso di cura, formulando definizioni evidence based dei trattamenti/interventi high quality. Tali standard rappresentano il punto di partenza per l’individuazione delle best practice e per l’applicazione di leve e incentivi nel sistema: è sulla base di questi che il Board definisce le linee guida per i GPs consortia e elabora quegli obiettivi di risultato, significativi a livello locale, che costituiranno, insieme a parametri di efficienza economica, il terreno di valutazione dell’attività delle associazioni dei GPs (il Commissioning Outcomes Framework), ed è sulla base di questi che i GPs consortia possono introdurre nei contratti con i providers modulazioni dei pagamenti (comprese sanzioni economiche nei casi di never events).
Per quanto riguarda la committenza, si prevede che i premi attribuiti al consorzio (secondo criteri di efficacia/qualità e di efficienza economica) vengano in parte ridistribuiti tra i medici di medicina generale, così che una quota della retribuzione di quest’ultimi possa risultare legata alla performance complessiva del team. Il mancato raggiungimento dei livelli di performance identificati come minimi, determina l’intervento del Board, il quale nei casi più gravi, può decretare lo scioglimento dell’associazione.
Per quanto, invece, riguarda i providers occorre un’ulteriore precisazione. Nel nuovo disegno, la definizione delle tariffe spetta congiuntamente al Commissioning Board e a Monitor (l’ente preposto, come vedremo meglio in seguito, alla regolazione del mercato sanitario): alla luce del Bill, oggi in discussione al Parlamento, identificati a monte i prezzi standard o i prezzi massimi, è riconosciuta la possibilità di produttori e acquirenti dei servizi di definire contrattualmente importi minori. Dal momento che il nuovo schema tariffario e le nuove regole di determinazione dei prezzi, entreranno in vigore non prima del 2014, si prevede una disciplina transitoria che consenta al Department di rivedere, in chiave correttiva, le attuali tariffe (ad esempio, estendendo ad altre prestazioni l’applicazione delle best practice tariffs[2]) e di introdurre meccanismi di incentivazione economica che consentano di canalizzare i flussi maggiori verso i providers high quality. Dopo il 2014, quindi, gli ospedali pubblici e privati potranno competere sui prezzi. Certamente, committenti e produttori potranno stabilire contrattualmente penalità e premi, in relazione alla rispondenza dell’offerta alle priorità anche qualitative dei consorzi, ma, in armonia con l’impronta thatcheriana che si vuole dare al modello, il sistema delle tariffe fisse viene abbandonato e il NHS opta per un regime meno regolamentato. E’ chiaro che un sistema così concepito si regge sulla capacità/volontà del soggetto controllore (dotato del potere di attribuire premi) di portare avanti una valutazione che tenga conto anche di elementi diversi dall’attitudine al risparmio.

Fiducia cieca nei magici meccanismi allocativi del mercato (per cui i soldi seguono i pazienti, i quali seguono la qualità) o sopravvalutazione delle abilità contrattuali dei medici di famiglia?
A monte dell’edificazione di un modello centralizzato, il cittadino contribuente acconsente a delegare all’entità pubblica la responsabilità della propria integrità psicofisica e a rinunciare alla propria libertà di scelta: fa questo in considerazione della condizione di ignoranza e di impotenza in cui versa (asimmetria informativa) e nella convinzione che chi si sostituisce a esso nell’assumere le decisioni che lo riguardano agisce come agirebbe egli stesso qualora fosse nella piena disponibilità delle informazioni rilevanti e potesse vantare un maggiore potere contrattuale. Lo Stato, nella proposta di riforma Cameron, non subentra più al cittadino nella determinazione (e quindi nel controllo) della domanda e dell’offerta. La scommessa più grande di questo progetto riformatore consiste proprio nell’aver identificato nel paziente-consumatore e nella sua capacità valutativa il perno dell’intero sistema. In una catena di responsabilità che lega i providers ai GPs consortia e questi ultimi ai cittadini, i consumatori finali sono chiamati a fare da impulso al miglioramento qualitativo dell’intera filiera della salute, premiando i comportamenti virtuosi e sanzionando i servizi low quality, non solo nella decisione di rivolgersi a una struttura piuttosto che a un’altra, ma anche attraverso il giudizio espresso in merito alla qualità dell’assistenza ricevuta. In proposito si consideri che gli indicatori di patient satisfaction sono parte fondamentale del NHS Outcomes Framework e dei Commissioning Outcomes Framework, le cartine di tornasole della qualità della tutela e parametro di riferimento per l’attribuzione ai GPs consortia dei premi legati alla performance.
L’edificazione di un modello concorrenziale, orientato dalle preferenze di consumo del cittadino-paziente vuole, però, secondo i principi basilari dell’economia sanitaria, da una parte una regolazione forte (alla quale si è già in parte rinunciato con l’allontanamento dallo schema a tariffe fisse), dall’altra un’attenzione particolare alla valutazione comparativa tra offerenti e alla trasparenza sui risultati. In un settore economico come quello sanitario, il quale conosce il fallimento del mercato in tutte le sue diverse manifestazioni, se la mano visibile pubblica fa un passo indietro (rinunciando a un modello integrato di sanità) devono essere comunque previste tipologie di intervento, sia pur più timido, a correzione delle inefficienze che si producono dalla libera interazione tra domanda e offerta e meccanismi altri di tutela del consumatore, quale parte debole dello scambio. Nel nuovo disegno, se è vero che si abbassano le barriere all’uscita, è vero anche che si alzano quelle all’entrata. I soggetti che vogliono erogare prestazioni per conto del NHS (ovvero con fondi pubblici) sono soggetti a un doppio regime di autorizzazione, a garanzia della qualità e della continuità del servizio. Nell’istruttoria tecnica per la valutazione del possesso dei requisiti, la Care Quality Commission, CQC (una sorta di ispettorato sanitario già oggi chiamato a monitorare i livelli qualitativi presenti nel mercato della salute), prenderà in considerazione parametri di sicurezza e di qualità, Monitor (l’organo che sarà preposto alla regolazione economica del settore, e, di concerto con l’autorità antitrust inglese, alla promozione e alla tutela della concorrenza) dovrà verificare la situazione economico-finanziaria delle strutture candidate. Chiaramente, la disciplina del potere di autorizzazione è affiancata dalla previsione di una serie di leve coercitive che consentono alla CQC e a Monitor di intervenire autoritativamente nelle ipotesi di mancato rispetto degli standard qualitativi minimi e nei casi in cui vengano meno le condizioni di salute economico-finanziaria dell’azienda: tali poteri possono riguardare la semplice comminazione di sanzioni pecuniarie o, nei casi più gravi, la sospensione o la revoca dell’autorizzazione.
Le funzioni di regolazione economica di Monitor non si esauriscono nella supervisione all’accesso, ma si estendono al controllo sui prezzi (come, in parte, abbiamo avuto modo di vedere) e alla garanzia di continuità dell’assistenza. Se da una parte il sistema vuole beneficiare della selettività intrinseca a ogni schema competitivo, dall’altra ci si rende conto delle conseguenze disastrose che il fallimento di una struttura ospedaliera e la sopravvenuta incapacità di assicurare il servizio possono comportare, innanzitutto in termini di interruzione della tutela. La possibilità di attivare meccanismi di regolazione straordinaria in situazioni determinate di insolvenza è, tuttavia, sorretta da una logica di fondo, da un approccio ideologico-valoriale che si pone in aperta rottura con la cultura vigente di sostegno incondizionato alle fondazioni in crisi.  Si tratta di una disciplina che, sia pur al momento soltanto tratteggiata nelle linee fondamentali, presenta elementi interessanti ai fini della nostra riflessione. Se la ratio è quella di assicurare ai cittadini continuità nell’erogazione dei servizi essenziali, l’identificazione di questi ultimi non avviene ex ante a livello centrale (come avviene in Italia attraverso la definizione dei LEA), ma caso per caso, ad opera del consorzio interessato. E’ sulla committenza, infatti, che ricade la responsabilità della mancata garanzia di continuità e l’onere, quindi, di dimostrare la necessità di intervenire con strumenti di regolazione straordinaria a tutela dei cittadini contribuenti.

L’attivazione di questi meccanismi è concepita, infatti, come ultima ratio, alla quale ricorrere esclusivamente quando il consorzio di medici di medicina generale sia in grado di provare che, risultando impraticabile trovare tempestivamente una valida alternativa contrattuale, la perdita di quei determinati servizi erogati da quella specifica struttura è suscettibile di danneggiare i propri assistiti. Inoltre, il riconoscimento ai GPs di autonomia decisionale e di libertà contrattuale è accompagnato dalla previsione di una responsabilità finanziaria riguardo alle decisioni di acquisto: gli oneri degli interventi straordinari necessari a garantire la continuità dei servizi identificati come essenziali sono anche a carico del consorzio. Citando il documento del Department of Health Liberating the NHS: Legislative framework and next steps, “this will help ensure that additional regulation is used only where it is necessary”. Particolarmente significativa, nella volontà di affermare la nuova predilezione per un’idea di tutela ispirata alle caratteristiche dello stato minimo, è la scelta di Monitor quale organo competente nella gestione di ipotesi di regolazione straordinaria, sia perché si tratta della stessa struttura deputata alla promozione e alla tutela della concorrenza sia perché il Department of Health è lasciato anche in questa occasione ai margini della nuova architettura del NHS. La stessa previsione di un regime di amministrazione straordinaria, per i providers soggetti a fallimento, è imperniata sull’idea di allineamento tra gli status di tutti i soggetti public-founded: si prevede, infatti, da una parte l’estensione ai Foundation Trust delle procedure ordinarie di insolvenza che si applicano alle imprese private, dall’altra l’attivazione, a discrezione di Monitor, di una soluzione di health special administration quando e soltanto quando sono coinvolti servizi essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica della struttura in crisi. L’obiettivo, quindi, non è quello di soccorrere la struttura in difficoltà ma quello di assicurare la continuità nell’erogazione delle prestazioni fondamentali, preferibilmente attraverso il salvataggio del provider come going concern (alternativamente, stabilendo il trasferimento dei servizi essenziali e dei relativi assets a strutture altre). I costi dell’operazione, associati alla ristrutturazione aziendale, sono finanziati, ancora una volta, senza il ricorso a flussi aggiuntivi del Department, ma con i fondi accantonati dai providers attraverso forme di contribuzione e/o tipologie assicurative anche ad hoc. In ossequio al principio di responsabilizzazione, le strutture alle quali sono associabili rischi maggiori, contribuiscono con quote più elevate.
Un quadro analogo è previsto per i GPs consortia: essi devono rispondere al Commissioning Board relativamente al livello di performance registrato (sia in termini finanziari sia in termini di outcomes) e, dal momento che è esclusa a monte ogni possibilità di intervento governativo a risoluzione di situazioni di crisi, sono tenuti a prendere parte a un risk-pooling arrangement sotto la supervisione dell’Indipendent Board. Coerentemente con l’impostazione fortemente concorrenziale e la volontà di ingenerare responsabilità diffusa, la proposta Cameron si dissocia dal meccanismo di compensazione tra surplus e deficit all’interno del NHS, riconoscendo alle associazioni più efficienti la possibilità di avvalersi dei frutti di una buona gestione. Tuttavia, i documenti, al momento, prodotti dal Department of Health appaiono abbastanza lacunosi in relazione alla disciplina della responsabilità economico-finanziaria dei commissioning consortia, un aspetto che riveste, come è facilmente intuibile, un’importanza cruciale per la tenuta stessa dell’intero nuovo sistema.
Nel passaggio da un sistema top-down a uno bottom-up si giustifica la centralità che nel nuovo schema è riservata da una parte alla misurazione delle performance, dall’altra alla medicina divulgativa e alla trasparenza sui diversi livelli qualitativi presenti nel sistema: nel White Paper si parla di “rivoluzione informativa”, quale strumento di empowerment del cittadino e elemento catalizzatore di una sana competizione (e quindi di una sana selezione), di una maggiore responsabilizzazione, e di un miglioramento complessivo. Procediamo per gradi.
Tra i primi doveri giuridici dei commissioning consortia e dell’Indpendent Board, menzionati dall’Health and Social Care Bill, compare quello di promuovere la partecipazione degli assistiti nell’adozione delle decisioni riguardanti la gestione della propria salute e nella stessa pianificazione dell’attività di committenza, coinvolgendoli nella selezione, non soltanto dei providers, ma anche della gamma dei servizi commissionati. Non solo, accanto alla rilettura del rapporto di agenzia medico-paziente, si prevede (sulla scia del precedente governo laburista) l’attivazione di progetti pilota volti a verificare la funzionalità e l’impatto della distribuzione ai cittadini di voucher socio-sanitari, budget personali che consentano ai pazienti di diventare, nel trattamento di determinate patologie, sempre più manager di se stessi. Del resto, nello slogan che più di tutti ha caratterizzato la campagna informativa del governo, “Nothing about me without me”, è efficacemente sintetizzata la prospettiva di un’offerta indotta dalla domanda, di un’assistenza sempre più personalizzata e targettizzata, nell’esaltazione di una libertà di scelta, quale alternativa vincente all’imposizione dall’alto delle soluzioni assistenziali.
Ad assicurare un ruolo proattivo dei cittadini nelle decisioni di programmazione locale e di committenza si fanno carico le Local Health Wathc organizations, vere e proprie portavoci e rappresentanti dei giudizi e dei feedback riportati dagli utenti dei servizi (e dallo stesso personale impiegato presso le strutture) in merito alla qualità (o meglio, alla percezione della qualità) dell’assistenza offerta. A livello centrale, la Health Watch England, articolazione (commissione interna) della Care Quality Commission, è chiamata a dialogare con il Board (committenza), con Monitor (regolazione del mercato) e con il Ministro della Salute, fornendo loro un quadro di insieme delle esperienze riportate dai pazienti e dei giudizi espressi in merito ai servizi disponibili. Da qui possono partire le richieste alla CQC per l’apertura di indagini su determinati servizi o providers risultati carenti.

Chiaramente, se si vuole fare del paziente-consumatore il protagonista effettivo del sistema, occorre fornirgli gli strumenti, non soltanto operativi ma anche conoscitivi, necessari a compiere scelte consapevoli e ad adottare comportamenti razionali (nell’accezione economica del termine). La massimizzazione della propria utilità passa necessariamente per la capacità di muoversi autonomamente nel complesso mercato della salute e, dunque, di discernere, tra le molteplici opzioni possibili, quelle migliori. Da qui, la forte attenzione che la proposta di riforma dedica ai temi dell’educazione, della comunicazione e della trasparenza sui diversi livelli qualitativi presenti nel sistema sanitario. Oltre che nel potenziamento e nella moltiplicazione dei programmi pedagogico-educativi in materia medico-sanitaria e nel rafforzamento del ruolo di intermediazione tecnica del GP, l’opera di consapevolizzazione del cittadino-paziente è perseguita attraverso una nuova totale trasparenza sui dati clinici personali (nel rispetto chiaramente della normativa sulla privacy) e un’estesa e capillare attività di rilevazione e monitoraggio delle performance. La raccolta di dati e informazioni riguardo le diverse strutture del NHS, e presumibilmente anche la costruzione di indicatori di performance, è affidata a un ente pubblico non ministeriale, l’Health and Social Care Information Centre. Le misure elaborate da questa struttura saranno oggetto di public disclosure, verranno, cioè, rese di pubblico dominio e comunicate ai cittadini in modo da renderne il più possibile agevole la comprensione e l’interpretazione. L’idea è quella di centralizzare la raccolta e l’analisi dei dati presso l’Information Centre (così da limitare, probabilmente, l’eventualità che si producano informazioni contraddittorie), ma, allo stesso tempo, incoraggiare lo sviluppo di diversi canali informativi (di proprietà pubblica o privata), che sperimentino format e tecniche comunicative il più possibile ponderati alle caratteristiche dei diversi segmenti o gruppi target, omogenei per conoscenze, barriere (economiche, sociali, culturali) e modelli comportamentali.
La disponibilità di stime oggettive di esito, di processo, di patient satisfaction non è cosa nuova per i cittadini inglesi. Al contrario, insieme agli Stati Uniti, il Regno Unito è stato il primo paese a dare spazio e importanza alla valutazione comparativa e alla divulgazione di informazioni riguardanti gli standard qualitativi garantiti dalle diverse strutture sanitarie: NHS Choices e Dr Foster hanno fatto scuola. Tuttavia, nella proposta Cameron, si insiste molto su questo aspetto, quasi fosse la chiave di volta della nuova soluzione organizzativa, in grado di restituire potere e controllo agli individui e incoraggiare salti qualitativi diffusi. E’ vero che, su mandato della relativa Local Authority (l’autorità municipale preposta al coordinamento della programmazione socio-sanitaria a livello locale e alle funzioni di sanità pubblica, quali vaccinazioni e controllo malattie infettive), la Local Health Watch può essere chiamata a fornire assistenza ai pazienti consumatori, facendo loro da supporto nell’accesso alle cure, nella scelta dei servizi migliori, nonché nella presentazione di reclami, ma tale previsione non sembra sufficiente a dotare i cittadini di una capacità decisionale che, soprattutto in relazione alle fasce economicamente e socialmente svantaggiate, è fino a oggi risultata mancare.
Per concludere, è chiaro sin da ora che se la riforma Cameron venisse approvata, il NHS subirebbe una profonda metamorfosi.
Recuperando quel continuum virtuale che avevamo immaginato all’inizio della nostra trattazione, potremo sostenere che il modello inglese si affranchi dalla prima metà della nostra linea continua (cioè dalle posizioni relativamente più prossime al dirigismo statale, dove troviamo, ad esempio, il nostro SSN) per occupare una posizione sì intermedia, ma all’interno della porzione più liberista dello schema. La collocazione sostanzialmente centrale è resa possibile dal mantenimento della tassazione progressiva come sistema di finanziamento; sembra, tuttavia, che sia mancata una sintesi efficace (indispensabile) tra la rinuncia a un ruolo pervasivo dello Stato, l’introduzione di logiche concorrenziali nel momento produttivo e il rafforzamento della supervisione pubblica. Mentre i primi due elementi sono presenti in maniera inequivocabile, il terzo, anche e soprattutto nell’attività di committenza, sembra tentennare nella sua affermazione ed è proprio l’opzione per una regia e una regolazione deboli a determinare uno slittamento nella seconda parte del continuum che rischia di risultare difficilmente giustificabile.
E’ sostanzialmente su questo shift che si concentrano le maggiori perplessità e preoccupazioni, alcune denunciate quasi quotidianamente dalla stampa inglese (di settore e non).
Partiamo da una provocazione: per una razionalizzazione del modello che sia in grado di guidare il sistema verso setting assistenziali più efficaci, non sarebbe sufficiente perfezionare l’approccio dei mercati interni, anziché spingersi fino a opzioni (troppo) marcatamente concorrenziali? E ancora (ed eccoci ai nostri interrogativi iniziali), per colmare le inefficienze connesse all’intervento pubblico (fallimenti dello Stato), la sola strada percorribile è l’accettazione incondizionata delle inefficienze prodotte da un sistema di libero mercato?

Vorrei identificare brevemente le questioni lasciate aperte dal progetto in esame al fine di fornire spunti di riflessione riguardo alle implicazioni (benefici e conseguenze inintenzionali) determinate dalla comparsa di due forti protagonisti fino a ora rimasti ai margini del sistema: il privato e il cittadino-utente.
Era, ad esempio, necessario, alla luce delle finalità ultime della riforma Cameron, spogliare lo Stato dell’attività di committenza per assegnarla a quelle che di fatto sono associazioni private di medici di medicina generale? Non sarebbe stato più opportuno mantenere il potere di committenza nelle mani di strutture pubbliche, ampliando, nello stesso tempo, la partecipazione dei clinici nelle decisioni allocative? In primo luogo, se la ratio della proposta di riforma risiede, tra le altre cose, nel ridimensionamento dell’apparato burocratico sanitario, si assiste, in realtà, a una mera sostituzione di dieci Strategic Health Authorities con un Commissioning Board e di 151 PCTs con 300-500 GPs consortia. In secondo luogo, emerge una chiara preoccupazione per la sottovalutazione dei costi che dovranno essere sostenuti dai consortia per ovviare all’espletamento di tutte quelle attività non direttamente connesse con la cura degli assistiti. Il rischio è che l’obiettivo di riduzione dell’ammontare delle risorse destinate alle attività amministrative e contabili fallisca. Il personale impiegato nelle PCTs non si discosterà, infatti, dal punto di vista numerico, da quello che, complessivamente, sarà chiamato a operare all’interno dei nuovi consorzi: è stato calcolato che le spese di gestione delle nuove strutture oscilleranno tra le 25 e le 35 £ pro-capite, valore molto simile a quello che si registra oggi nei PCTs. A ciò si aggiunga l’alta probabilità che la quasi totalità dei consorzi necessiterà di un supporto tecnico-manageriale altamente qualificato, eventualmente esterno. Nel disegno di legge, i GPs consortia sono, infatti, liberi di decidere quali attività di commissioning svolgeranno per proprio conto e quali invece saranno appaltate a soggetti esterni. Le società di consulenza manageriale sono già pronte a contendersi il mercato e la KPMG ha già firmato un contratto con NHS London (con l’obiettivo di fornire una guida ai GPs). Quanto è lontana la prospettiva di un servizio sanitario nazionale dove le risorse pubbliche sono affidate a organismi privati, competenti a definire il ventaglio delle prestazioni disponibili? Le decisioni di acquisto saranno veramente nelle mani dei medici di famiglia e la committenza sarà davvero clinically-led e patient-centred? Altro elemento sul quale è opportuno riflettere è il fatto che le compagnie ospedaliere private saranno naturalmente incentivate a concentrare la loro offerta sui servizi più remunerativi (che non necessariamente coincidono con quelli essenziali), lasciando alle Foundation Trust l’erogazione di prestazioni fondamentali meno redditizie. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare data la nuova intransigenza statale rispetto a qualsiasi ipotesi di sovrafinanziamento e la proposta di atomizzazione del potere decisionale riguardo la configurazione dell’offerta. E’sensato immaginare che i PCTs sarebbero in grado di adottare una prospettiva più ampia ed esercitare un ruolo di regia probabilmente più efficace, implementando strategie selettive tali da non penalizzare le strutture pubbliche e contenere le ambizioni del privato a costruire significativi profitti con risorse statali?
Attorno alle lacune e alle contraddizioni della disciplina dei GPs consortia ruotano altri rilevanti elementi di criticità. Nella ratio della proposta di riforma, la responsabilizzazione dei committenti vuole che i cittadini insoddisfatti siano liberi di abbandonare il consorzio presso il quale sono registrati e rivolgersi altrove. Ma si può parlare di concorrenza in situazioni di monopolio spaziale? E’, infatti, ragionevole immaginare che nelle aree scarsamente popolate non ci sia possibilità di esercitare libertà scelta, ovvero non ci siano alternative a un unico soggetto committente. La questione della dimensione dei consorzi nei territori extra-urbani è in realtà più complessa. La proposta lascia piena libertà ai medici di medicina generale di definire l’ampiezza dei nuovi soggetti. Tuttavia, non si può non considerare che, se le popolazioni di riferimento sono numericamente esigue, i consorzi soffriranno, nelle relazioni con i providers, di un debole potere contrattuale; al contrario, se si sceglie di riunire, sotto un unico consorzio, gli assistiti appartenenti ad aree geograficamente lontane (e, quindi, con caratteristiche epidemiologiche forse diverse), si rischia di venire meno all’obiettivo di ridisegnare la configurazione dei servizi sulla base dei bisogni locali. Manca, inoltre, chiarezza su alcuni aspetti di importanza fondamentale, quali il tema del fallimento e il problema della gestione dei conflitti di interesse. Per quanto attiene alla prima questione, se è chiaro come il problema di rischio morale legato alle aspettative delle strutture sanitarie riguardo a interventi di integrazione o di ripiano dei disavanzi generati dalla gestione rappresenti un ostacolo tutt’altro che trascurabile alla responsabilizzazione dei providers, meno lineare appare l’applicazione alla committenza delle stesse leve di accountability (né il testo della riforma ci aiuta a comprendere come nella pratica si è immaginato di gestire le situazioni di fallimento dei consorzi). Per quanto, invece, riguarda il secondo aspetto, si tratta di una problematica estremamente delicata, la cui sottovalutazione potrebbe determinare una profonda divaricazione tra gli interessi dei GPs e gli interessi dei pazienti (già avviata dalla previsione di incentivi per il raggiungimento di obiettivi di contenimento della spesa, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di effetti avversi sulla normale relazione medico-paziente).

Pensiamo ai GPs che possiedono partecipazioni azionarie in società private che forniscono servizi per il NHS (situazione molto comune negli Stati Uniti d’America, dove concorre ad aumentare i già vorticosi livelli di spesa complessiva per beni e servizi sanitari e a determinare livelli imbarazzanti di inappropriatezza prescrittiva). Ma pensiamo soprattutto alla possibilità dei medici di medicina generale di fondare una società alla quale appaltare l’intera attività di committenza: nel momento in cui la compagnia privata dovesse spendere per l’acquisto di prestazioni un ammontare inferiore al budget disponibile, il surplus potrebbe essere ridistribuito tra gli shareholders. Non si tratta di scenari troppo lontani dalla realtà: poche settimane fa, un’inchiesta giornalistica ha portato alla luce un documento dell’IHP (Integrated Health Partners, una società privata di management care già coinvolta nella gestione del commissioning budget di numerosi GPs consortia nella contea del Surrey e che mira a essere quotata in borsa entro pochi anni) dove si prospettano soluzioni allarmanti che vedrebbero i GPs comproprietari della stessa compagnia alla quale esternalizzano le funzioni di committenza. Questo documento è oggi all’attenzione del governo. Al di là di come il disegno di legge e i successivi provvedimenti attuativi riusciranno a limitare problematiche di questo tipo, l’episodio dovrebbe far riflettere sugli effetti distorsivi che il coinvolgimento del privato nell’attività di committenza è in grado di ingenerare. Forse la committenza, da sempre l’anello debole della catena, è una delle aree nelle quali la tensione al profitto rischia di determinare più conseguenze negative che benefici.
La percezione di debolezza della regolazione e di mancanza di vigilanza dall’alto non sembra trovare elementi di smentita. Al di là dei compiti della CQC (di selezione all’ingresso per le strutture che vogliono erogare servizi per conto del NHS e di controllo, ispezione per tutti  i providers sia public che private founded[3], entrambe attività consistenti nella verifica della rispondenza a requisiti di sicurezza e qualità minimi), manca, in merito alle decisioni dei GPs consortia, un controllo forte, un sorveglianza terza deputata a verificare che la selezione di fornitori e prestazioni  sia giustificabile da un punto di vista qualitativo.
Del resto, non è la prima volta che nel Regno Unito si tenta di ovviare alle carenze della committenza, demandando ai medici di base le funzioni di programmazione e acquisto e le esperienze precedenti non possono affatto essere qualificate come positive.
Un altro interrogativo è questo: era necessario, alla luce delle finalità ultime della riforma Cameron, interpretare la concorrenza tra providers come competizione sui prezzi?
La liberalizzazione delle tariffe è sicuramente uno degli aspetti più preoccupanti della riforma Cameron. Nonostante sulla carta venga dato ampio spazio alla qualità, la ricerca di outcomes migliori è inevitabilmente destinata a scontrarsi con la possibilità degli erogatori dei servizi sanitari di offrire prezzi più bassi rispetto a quelli definiti da Monitor.
La letteratura è concorde nello stabilire che, laddove le tariffe sono fisse (pensiamo, ad esempio, a un intervento di colecistectomia laparoscopica che abbia lo stesso costo, indipendentemente dal provider che offre il servizio), la selezione dell’erogatore avviene sulla base di criteri qualitativi. Al contrario, nei mercati (come quello sanitario) dove la qualità è molto più difficile da osservare e più opinabile rispetto al prezzo, la possibilità di variare le tariffe delle prestazioni è suscettibile di ingenerare un gioco al ribasso, nel quale committenti e produttori dei servizi focalizzano la loro attenzione sui costi, a scapito della qualità.
La stessa introduzione di meccanismi di payment by results, tanto più quando i risultati sono valutati non soltanto in termini qualitativi, ma anche finanziari, rischia di produrre effetti avversi difficilmente arginabili. Nel nuovo quadro tratteggiato dalla riforma Cameron, ogni paziente può potenzialmente costituire un’opportunità di profitto: i premi, nel sistema incentivante qui proposto, sono legati anche a performance economiche, più facilmente valutabili di quelle qualitative. Tale circostanza non solo rischia di alimentare la rincorsa verso i prezzi più bassi, a scapito della qualità ma, introducendo nell’immaginario comune un potenziale conflitto di interessi tra professionista sanitario e paziente, è suscettibile di minare quel senso di fiducia nell’imparzialità del medico che è alla base del rapporto di agenzia medico-paziente.
Anche la valutazione su parametri qualitativi, non è scevra da aspetti negativi: il rischio è quello della selezione avversa (tendenza dei produttori dei servizi, soggetti a valutazione, a non intraprendere interventi o percorsi terapeutici per i casi ad alta probabilità di esito negativo) e di un aumento dell’inappropriatezza, legato, a sua volta, a uno spostamento verso i casi meno gravi per mantenere elevato o aumentare il volume di attività (crescendo il denominatore del rapporto, le performance negative si spalmano su una popolazione più ampia) e la probabilità di riuscita.
Su questo punto, il governo si è mostrato più cauto, rimandando la definizione del modello di pay for performance a un momento successivo all’approvazione del Bill, quando sarà possibile aprire una consultazione sull’argomento.
Infine, per quanto riguarda la posizione strategica che nei modelli ibridi si vuole riservare al cittadino paziente, dalla stessa esperienza inglese emergono due evidenze: da una parte l’esistenza di una domanda crescente di trasparenza sul livello qualitativo dei servizi sanitari, dall’altra l’impatto modesto delle valutazioni comparative nella formulazione della scelta (ovvero i cittadini non utilizzano le informazioni disponibili sulla qualità di un servizio nell’orientare le loro preferenze di consumo). La scarsa familiarità con gli indicatori di performance, l’estraneità ai metodi statistico-matematici di semplificazione e rappresentazione della realtà sono situazioni comuni a molti individui. Tuttavia, l’assenza di dimestichezza e i problemi di comprensione sembrano non limitarsi agli elementi più complessi e tecnici dei report di valutazione ma si estendono anche agli aspetti più basilari, rendendo vano tutto lo sforzo informativo. In particolare, in letteratura, si dà evidenza di come la maggior parte dei lettori non sia in grado di assegnare un significato ai vocaboli utilizzati (difficoltà nella comprensione del linguaggio medico-sanitario), di discernere se i valori (alti o bassi) assunti dagli indicatori siano indicativi di buona o cattiva qualità e di desumere dalle misure le informazioni implicite sulla qualità (comprenderne il valore applicativo).
Per quale ragione ciò che fino a ora ha dato prova di non funzionare dovrebbe costituire la principale nuova leva di miglioramento e di razionalizzazione del sistema?

Nota per i lettori
Pochi giorni dopo la lecture, il disegno di legge, approdato alla Camera dei Comuni, ha subito una battuta d’arresto. Le forti critiche e i risentimenti che la sua presentazione ha suscitato nell’opinione pubblica e nei gruppi di interesse (in particolare la BMA) e il timore di una bocciatura alla camera dei Lords hanno indotto David Cameron ad annunciare uno slittamento dei tempi previsti per l’attuazione e l’apertura di una nuova fase di consultazioni. Il Governo sta prendendo in considerazione l’introduzione di emendamenti al testo originario che ridimensionino lo spazio concesso al mercato e consentano ai medici di medicina generale di rimanere svincolati da ipotesi associative (rendendo discrezionale l’adesione a consorzi).

Note

1.  Evitare le morti premature, migliorare la qualità della vita per gli individui con malattie croniche, guarire casi di malattia/infortunio, garantire ai pazienti esperienze di cura positive, assicurare situazioni di sicurezza. Da notare che si tratta delle stesse voci in cui si articolano i report card del noto website http://www.drfoster.co.uk/ghg/

2.  Le best practice tariffs sono una tipologia di tariffe deregolamentate, dove la modulazione dei prezzi avviene sulla base di parametri di efficacia clinica e efficienza economica. Anche esse, dunque, recano implicita la competizione sui prezzi.

3.  Le informazioni per intraprendere attività di ispezione provengono da HealthWatch, dai consorzi, dal Board, da feedback e denunce dei pazienti.