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Gare pubbliche, concorrenza e giudice amministrativo

di - 1 Giugno 2011
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Il formalismo delle procedure di gara produce due effetti perversi: altera il confronto concorrenziale; genera contenzioso.
Altera la concorrenza (intesa come concreta modalità di funzionamento efficiente dei mercati e non solo come declinazione di una libertà soggettiva di svolgere l’attività economica) perché sposta il criterio di selezione dell’offerta su di un piano diverso da quello dell’efficienza competitiva. La sovrabbondanza di prescrizioni formali rischia di far coincidere l’offerta migliore con l’offerta formalmente ineccepibile, piuttosto che con quella economicamente più allettante.
Genera inevitabilmente contenzioso, con conseguente allungamento dei tempi per la realizzazione delle opere pubbliche, perché l’appiglio della minima irregolarità formale dell’offerta risultata aggiudicataria consente ai concorrenti delusi di rimettere in discussione il risultato della gara e, magari, di ottenere la commessa per la via giurisdizionale[1].
Poste queste premesse, la posizione del giudice amministrativo sul problema delle conseguenze, escludenti o meno, della mancata osservanza delle prescrizioni formali non è indifferente, nell’ottica della tutela del bene giuridico concorrenza. L’orientamento favorevole ad una dequotazione degli effetti della mancata osservanza delle prescrizioni formali, che regolano le procedure di gara pubblica, può incidere positivamente sull’efficienza del mercato.
Qualche riflessione sullo stato della giurisprudenza in questa materia non mi sembra sia resa superflua dall’entrata in vigore dell’art. 4, co. 2 del d.l. 70/2011, c.d. Decreto sviluppo. La modifica è certo rilevante perché l’art. 4, comma 2, che va a riformulare l’art. 46 del d.lgs. 163/2006, inserendo nel testo un comma 1 bis, introduce il principio della  “tassatività delle cause di esclusione”.
In buona sostanza, le prescrizioni, la cui inosservanza autorizza la stazione appaltante ad escludere i concorrenti da procedure di gara, sono solo quelle contenute nel medesimo codice dei contratti pubblici, nel regolamento o in “altre leggi vigenti”.
A parte questi casi, prosegue la norma, l’esclusione potrà essere disposta solo se vi è incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali, ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere secondo le circostanza concrete, che sia stato violato il principio di segretezza dell’offerta.
E’ previsto infine che in nessun caso, i bandi e le lettere di invito possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione e che tali prescrizioni, se  inserite nel bando, sono nulle.
Anche nel nuovo contesto normativo, la giurisprudenza maturata sul precedente assetto può comunque offrire suggestioni utili per decifrare l’esatto significato delle nuove disposizioni e per orientare l’interprete, e lo stesso giudice, nella soluzione del vasto contenzioso pendente.
Nella più recente giurisprudenza amministrativa l’orientamento favorevole ad una dequotazione del formalismo delle gare pubbliche sembra prevalente.
I percorsi seguiti sono diversi. Non sempre lineari, però, né scevri di ripensamenti.
Un primo appiglio, che è utilizzato per dare ingresso alle istanze sostanziali e dunque pro concorrenziali nei meccanismi della gara pubblica, è fornito dalla regola dell’obbligo di soccorso.
L’indirizzo fa leva su alcuni dati testuali. L’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006 (“Codice dei contratti pubblici”) espressamente attribuisce all’amministrazione appaltante la facoltà di invitare le imprese “a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”.
Ancora prima, l’art. 6, lett. b) della l. 241/1990 assegna al responsabile del procedimento il compito di invitare alla rettifica di eventuali irregolarità formali.
Nel bilanciamento tra le opposte esigenze del favor partecipationis e della tutela della par condicio dei concorrenti, la decisione della stazione appaltante se richiedere o meno la regolarizzazione o il completamento della documentazione deve essere improntata ai principi di buona fede e ragionevolezza ed è sindacabile – afferma la giurisprudenza – alla stregua di tali criteri generali.
Così, ad esempio, è stato dichiarato illegittimo il provvedimento di esclusione per la mancata presentazione di una dichiarazione che era stata resa nella fase della pre-qualificazione (Tar Lazio, Roma, sez. III, 31 dicembre 2010, n. 39288), ovvero il cui contenuto era desumibile da altra dichiarazione resa dal concorrente (Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2009, n. 1840), o per la mancata dichiarazione circa l’osservanza del divieto di intestazioni fiduciarie da parte di una società appartenente ad una tipologia la cui disciplina non consente il trasferimento e la circolazione di quote e azioni (Cons. Stato, sez. V, 16 dicembre 2010, n. 8946).
In altri casi, la dequotazione delle prescrizioni formali passa per l’applicazione del principio della necessaria strumentalità delle forme allo scopo, principio che viene declinato su due versanti.
Il principio di strumentalità delle forme implica, in primo luogo, che la invalidità o la nullità di un atto non possono essere pronunciate se l’atto, pure difforme dalla fattispecie astratta, ha raggiunto lo scopo che la forma prescritta persegue.

Note

1.  Questa lucida analisi è proposta da F. SATTA e A. ROMANO in Ridurre i tempi per le infrastrutture, in questa Rivista, 5 febbraio 2011. La soluzione, prospettata de iure condendo, è quella di rendere disponibile per le imprese e per le stazioni appaltanti, ai fini di prova del possesso dei requisiti richiesti, il patrimonio dei dati e della documentazione raccolto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

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