La dimensione europea della disciplina ambientale
Che il problema della tutela dell’ambiente sia quello di una presunta incontrollabilità dell’economia capitalistica, che ci porta verso punti di arrivo incontrollati a prescindere da ogni valutazione, sembra una considerazione non condivisibile. Perché, in verità, l’economia capitalistica ha sviluppato meccanismi di regolazione del mercato che producono invece effetti consistenti. Pensiamo al sistema, più o meno funzionante, che nasce negli Usa e arriva in ritardo in Europa e in Italia: il sistema della Autorità di regolazione. Esse regolano l’economia, intervengono con una decisione su un aspetto tecnico e regolano il mercato. Il problema non è dunque l’incontrollabilità totale dell’economia capitalistica di mercato: il sistema conosce sistemi di regolazione interni alla logica di mercato, che non ne negano la logica di crescita.
Il punto cruciale è che nel mondo ci sono miliardi di persone che devono ancora attingere a soglie di minima sussistenza. È alla domanda su come permettere la crescita di queste aree del mondo che dobbiamo rispondere, mentre per il mondo occidentale rinunciare a un po’ di crescita per l’ambiente non sembra impossibile. Forse abbiamo, infatti, la ricchezza e la cultura per farlo. Si faccia l’esempio della domenica a piedi. Nel ’73 era vista come un atto di sconcertante limitazione, interruzione di una fase di sviluppo continuo. Oggi, invece, è accettata e perfino gradita dai più. Significa, allora, che nel mondo occidentale un certo bargain tra riduzione della crescita e aumento della tutela ambientale è accettato. Il problema di un’eventuale decrescita non siamo noi occidentali, ormai ricchi, se non satolli, ma è per le economie emergenti, come la Cina, l’India, la Nigeria, il Messico etc … Come si fa a far accettare loro l’idea di non crescere? Come si fa a dialogare con le economie emergenti, per proporre, suggerire loro, affinché siano applicati i principi minimi di calcolo di uno sviluppo sostenibile. Noi possiamo anche applicarli agevolmente, ma, per esempio, l’India? Come riescono a produrre macchine a costi bassissimi? Non si spiega solo con la maggiore bravura o con l’esiguità del costo del lavoro. Si spiega anche con il fatto che i loro costi ambientali non sono introitati nel valore del bene.
Due riflessioni in apicibus, che discendono da queste considerazioni svolte in materia economica. Oramai la disciplina ambientale è disciplina europea. L’ultima modifica al Codice dell’ambiente, D.L.vo n. 205 del 2010, è “Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98 del Parlamento e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”. Dunque, è palese, come si tratti, in questo e in altri numerosi casi, di attuazione di direttive comunitarie, su equilibri delicatissimi a livello nazionale, quali quello della gestione dei rifiuti a livello nazionale.
Ciò significa che i 27 Stati europei e i circa 500 milioni di persone che vivono in Europa, nel principale settore della disciplina ambientale, utilizzano lo stesso diritto, lo stesso sistema di regole che sono prodotte a livello europeo e che vengono recepite, con maggiore o minore ampiezza, a livello nazionale. Tant’è che per entrare in Europa occorre uniformare gli ordinamenti nazionali all’acquis communautaire, l’insieme di regole che insieme utilizziamo. Le procedure di infrazione sono sulla mancata corretta ricezione e attuazione delle direttive. Perciò anche in materia ambientale occorre cominciare a ragionare nei termini di un sistema di 500 milioni di persone, non di 50 milioni. Il mercato della disciplina ambientale e le economie di scala riguardano 500 milioni di persone. Cambia completamente l’ottica: se i rifiuti si possono portar fuori, è indifferente che si portino fuori dalla Provincia o dallo Stato. Oppure, se sono smaltiti da una impresa non in loco, è indifferente che li smaltisca una impresa tedesca, spagnola o altro.
Inoltre, ci avviamo sempre più verso un nuovo modello federale. Oggi l’Europa è il nuovo interessante modello federale. Noi conosciamo tre grandi modelli di federalismo: i) Il federalismo post-coloniale, cioè i grandi Stati che rompono con l’esperienza coloniale e le elites bianche locali che si organizzano (Canada, U.S.A., Messico, Argentina etc…); ii) Il federalismo come strumento per risolvere conflitti, in cui si adotta il modello federale per risolvere i conflitti etnici, religiosi, linguistici, culturali (Cipro, Sri Lanka); intermedi rispetto a questi modelli sono India e Nigeria, pur sempre post-coloniali, ma della metà del XX secolo; iii) L’Europa è il grande terreno di sperimentazione del federalismo e l’ambiente è uno dei terreni su cui più fortemente si fa questa verifica, proprio perché l’ambiente è uno dei temi su cui maggiormente le discipline non sono statali, ma di derivazione.
Allora, il diritto ambientale ci pone di fronte a due grandi temi. In primis va tenuto presente l’impatto con le economie dei Paesi emergenti. In secondo luogo, va tenuta presente l’esistenza di una problematica di riferimento che non è più una problematica di livello nazionale, ma di livello europeo.