Intervista all’Ing. Gamberale: quali infrastrutture in Italia*

Prof. Satta: Ti sono note le riflessioni che la nostra Rivista ha raccolto sul tema delle infrastrutture. Mi sembra che uno scambio di opinioni con te possa essere il coronamento di questa prima fase di opera. Uno che ha le mani nelle infrastrutture e dice che cosa ne pensa. Già nei primi contatti che abbiamo avuto in vista dell’incontro di oggi, hai anticipato la convinzione che occorre abbandonare l’idea di poter fare tante infrastrutture, per cominciare a concentrare l’attenzione su di un paio, ma progettarle fino in fondo, finanziariamente, economicamente, esecutivamente. Mi sembra un pensiero fortissimo e ti saremmo molto grati se tu volessi illustrarci cosa intendevi con questa affermazione. Quali sono i criteri per scegliere queste infrastrutture? Come pensi di coordinare questa sacrosanta riflessione con il federalismo, quindi con la frantumazione delle esigenze?

Prof. Karrer: Premessa la ovvia importanza delle infrastrutture, per la società civile e per l’economia del nostro Paese.

Ing. Gamberale: Diciamo che guardare indietro è sempre nostalgico e senile. Però è utile ricordare che l’Italia, tra gli anni Settanta e Ottanta, aveva importanti primati. Era il primo Paese in Europa come rete autostradale a pedaggio. Era il secondo Paese in Europa come potenza nucleare installata e funzionante. Era il primo Paese in Europa per produzione di energia idroelettrica, che negli anni Sessanta soddisfaceva completamente il fabbisogno del Paese. Fu il primo Paese, negli anni Ottanta, ad avviare l’alta velocità, anche se poi ci ha messo tempo. Quindi, nelle infrastrutture, l’Italia aveva espresso un know-how e aveva espresso dei primati. Era riuscita anche a far crescere delle importantissime imprese di costruzione, che andarono a realizzare all’estero opere importantissime. Questo è l’antefatto.
Poi, l’Italia ha avuto due leggi khomeiniste. La prima, nel 1975, fu la legge sul blocco autostradale. Mai in nessun Paese è stata votata una legge così. A seguire, nel 1986, le centrali nucleari. Proprio la legge sul blocco delle autostrade del 1975 ha – a mio avviso – creato nel Paese una cultura avversa alle infrastrutture. Questa cultura dura da 36 anni. Chi oggi ha 50 anni, allora ne aveva 14. In questa fascia d’età, quella che va dai 30 ai 50 anni, c’è tutta l’avversione alle infrastrutture, ed è la fascia d’età di coloro che oggi  governano il Paese, la classe su cui il Paese deve fondare il proprio futuro. Quindi, secondo me, il primo problema è culturale: vi è una cultura diffusa e profondamente avversa alle infrastrutture, di cui il Paese non ha tenuto conto.
Un tentativo di superamento è stato fatto nel 2001 con la legge-obiettivo. Bisogna pensare, però, che se il khomeinismo entrò in Iran nel 1978 e se ne andò nel 1992, durando 14 anni, l’onda del khomeinismo c’è ancora, perché ci sono dei fenomeni culturali che quando attecchiscono in una nazione poi sono durissimi a separarsi.
Allora, in Italia, prima di tutto si deve creare una cultura per le infrastrutture. Altrimenti è come andare a violare una religione. Per cambiare le visioni di un’impostazione, di un credo, bisogna lavorare.
Il Paese ha di queste arretratezze. Ad esempio, la rete autostradale italiana di oggi è sostanzialmente quella del 1975, pur a fronte di flussi di traffico in continua crescita. Oggi, l’Italia ha 113 km di autostrade per milione di abitanti, mentre la media europea mi sembra che sia sopra i 180 km. La Spagna si colloca di sicuro intorno ai 220 km per milione di abitanti.  Quindi noi siamo al 50% della Spagna e al 60% dell’Europa. Questi sono parametri gravissimi per il Paese. La Lombardia, che è la Regione a più alto PIL di Europa, ha 70 km di autostrade per milione di abitanti, quindi il 60% dell’Italia e un terzo della media europea. Se non si inquadrano questi parametri non si riesce a capire il gap che c’è.
Bisogna riconoscere che il Governo Berlusconi, nel 2001, ha varato la legge obiettivo. Tuttavia, nella legge obiettivo sono state definite 120 opere per 230-250 miliardi. È come se un Paese che è stato affetto da anoressia infrastrutturale all’improvviso diventasse bulimico.
Inoltre è stato ignorato il piano finanziario. Non si è tenuto conto del fatto che, dal dopoguerra fino al 1990, le infrastrutture erano di proprietà pubblica, le costruiva il pubblico, o centrale o territoriale, e le costruiva, quindi, sul debito pubblico, per dirla con una semplificazione rozza. Poi, a partire dal 1990, la c.d. Tangentopoli, le norme europee, l’euro, la riduzione del debito pubblico hanno imposto la vendita degli asset pubblici e hanno imposto anche una disciplina finanziaria che non permette più al pubblico, sia centrale che territoriale, di spendere. Pertanto, sono scomparsi i promotori finanziari delle infrastrutture.
Quindi, prima è stata rimossa la cultura delle infrastrutture e poi sono scomparsi i promotori finanziari delle infrastrutture.

*L’Ing. Gamberale non ha bisogno di essere presentato dato il suo prestigioso passato svoltosi sulla scena pubblica. Basti ricordare che ha guidato la creazione di TIM, è stato Amministratore Delegato di Telecom Italia, di Autostrade ed ora del Fondo di gestione di risparmio per le infrastrutture F2i.
All’intervista all’Ing. Gamberale, tenutasi il 22 marzo 2011, hanno partecipato i due Direttori della Rivista, Filippo Satta e Pierluigi Ciocca, e il Prof. Francesco Karrer, Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Prof. Satta: Diciamo i promotori naturali.

Ing. Gamberale: I promotori naturali, i soci naturali. Questo bisogna tenerlo presente. Hanno cercato col PPP di riattivare i finanziamenti. Ma anche qui se tu vai a fare per esempio il consolidato delle tre opere che si devono fare in Lombardia e, quindi, Brescia-Bergamo-Milano, Tangenziale esterna di Milano e Pedemontana lombarda e fai il consolidato anche societario, vi sono 47 soci, tra Comuni, Province e Camere di commercio. Io sto facendo questo quadro, non per drammatizzare, ma perché bisogna creare le condizioni prima di tutto per trovare chi possa promuovere queste nuove infrastrutture. Anche i tentativi lombardi dimostrano che c’è stata molta buona volontà e molta generosità da parte delle istituzioni locali, ma che queste non hanno i soldi. Adesso, per fare gli aumenti di capitale, si è dovuta spingere molto Banca Intesa, che, però, ha consentito ad Autostrade di ritirarsi e io non lo avrei fatto.
Allora, ci vuole chi si candidi, chi faccia il socio, perché una compagine societaria spezzettata, è una governance in cui nessuno comanda. Dunque bisogna capire chi fa il socio e poi che cosa si fa e come si fa. Io penso che promotore possa essere solo qualcuno il quale abbia quel profilo che all’estero viene chiamato public company. Le public company non sono altro che società che hanno dietro il più blasonato capitale finanziario del Paese: le chiamano sì public company, ma se poi si guarda bene si vede si vede che ci sono le banche, quelle che qui sono le fondazioni. Allora, per esempio, da tempo dico che bisognerebbe creare un fondo green field a 30 anni, perché adesso i fondi sono a 5-6 anni, mentre un fondo a 30 anni con 15 anni per autorizzare e costruire – perché in Italia i tempi sono questi – e poi 15 anni di attività di esercizio può senz’altro ripagare l’investimento iniziale. Penso che la prima cosa da fare sia costituire un fondo a 30 anni dell’entità di 3 bilioni di euro. L’ammontare di 3 bilioni di euro, in un rapporto debt-equity anche di uno a tre, consentirebbe di fare investimenti per 12 miliardi di euro. Tenendo conto che un chilometro di autostrada costa 30 milioni di euro, si potrebbero fare 400 km di autostrade.
Un altro soggetto che potrebbe finanziare i nuovi investimenti, secondo me, è il sistema autostradale italiano, in primis Autostrade. Il sistema autostradale italiano ha un consolidato di ricavi di 6,5 bilioni di euro e 5 bilioni di margine lordo e non è indebitato molto. Sarebbe sufficiente che il governo assicurasse al sistema autostradale le concessioni, anziché metterle in forse, come hanno sempre fatto i governi sia di destra che di sinistra in Italia. E che imponesse/concordasse di investire l’Ebitda globale per 5 anni.Questo garantirebbe al sistema investimenti che per 5 anni sarebbero pari a 20 bilioni di euro. Secondo me sarebbe sufficiente, da una parte promuovere un fondo green field, con un management competente, da un’altra parte fare una grande alleanza con il sistema autostradale italiano. L’accordo dovrebbe essere quello di devolvere il cash flow per 5 anni per fare nuove infrastrutture. Sarebbe sufficiente che il sistema autostradale investisse il 75% dei dividendi. E’ un trade-off che si può fare, un Paese evoluto lo farebbe.

Prof. Satta: E alla Cassa depositi e prestiti, che ha avuto un’immensa liquidità, quale ruolo daresti?

Ing. Gamberale: Io penso che di quel fondo green field si dovrebbe fare promotrice la Cassa depositi e prestiti. Secondo me la Cassa depositi e prestiti potrebbe mettere da 500 milioni a un miliardo, poi 200-300 milioni le banche, a partire da Banca Intesa (sempre la più attenta al tema infrastrutture) e poi ci sono i fondi sovrani che potrebbero venire in Italia. Ci vuole un management forte ed autorevole che abbia sufficiente credibilità per farsi promotore di importanti opere in Italia.

Prof. Satta: Ci sono problemi comunitari, però.

Ing. Gamberale: No, non ci sono perché affidi la concessione in gara, anche se poi spesso nessuno gareggia. Dal punto di vista del cosa fare, poi, secondo me, invece di queste 120 opere, bisogna selezionare le più importanti, che sono senz’altro le tre in Lombardia, la Tirrenica e qualche autostrada trasversale, perché dopo Bologna, l’unica trasversale è quella all’altezza di Napoli Canosa. Quindi hai 600 km di longitudine, senza trasversali. Ne servirebbero un paio.
Poi non abbiamo parlato, ad esempio, dei rigassificatori.
Il deficit delle infrastrutture, aumenta sempre. Dal 2000 in poi, in Italia è stata fatta la legge obiettivo, ma poche opere sono state completate. In Spagna, è stata fatta la metropolitana esterna di Madrid, che è come se fosse una metropolitana sotto al raccordo anulare, di 63 km, con 27 stazioni, progettata nel 2001 e in funzione dal 2005. E’ stata fatta la TAV Madrid Barcellona e l’aeroporto di Madrid è stato portato da 45 a 70 milioni di passeggeri. Ecco cosa hanno fatto  in Spagna in otto anni. Che cosa abbiamo fatto noi? La metropolitana di Roma? Ad esempio, dobbiamo anche convincerci che abbiamo le tariffe più basse d’Europa. In Italia non si parla mai di tariffe, ma l’Italia ha le tariffe più basse d’Europa.  Abbiamo parlato di chi fa il socio. E poi cosa si fa? Si scelgano le più importanti  opere.
Come si fa? Secondo me, per esempio, le aste al ribasso per fare le opere pubbliche sono una follia, perché le aste al ribasso fanno partecipare solamente le aziende medie e in gravi condizioni. L’esperienza degli altri paesi è diversa. Nell’ultimo periodo in cui stavo in Autostrade avevamo buone relazione anche con quelli di Abertis, che avevano come socio importante Dragados. Chiesi all’amministratore delegato di Dragados quale fosse l’ultima opera autostradale che avevano fatto.  Lui rispose che avevano fatto un importante tratto autostradale nelle Asturie ( le montagne immediatamente a nord di Madrid). Mi disse che la base d’asta era 450 milioni di euro e che la sua società aveva ottenuto l’appalto per 500 milioni di euro, cioè il 12% di più della base d’asta, mentre il secondo aveva offerto un prezzo di 430 milioni di euro. L’appalto era stato aggiudicato col sistema del progetto economicamente più efficiente e perciò, in base alle credenziali, era stato assegnato a Dragados.
Quindi è importante il tipo di asta. Poi, secondo me, serve un regime autorizzativo speciale.
In Italia, l’unica cosa che si è fatta è il passante di Mestre ed è stato fatto in base ad un legge speciale con la nomina di un commissario speciale. E’ stato nominato il più bravo ingegnere direttore dei lavori italiano, che coincideva con l’ingegnere capo della Regione, Vernizzi. Per fare il passante di Mestre, lungo 36 km, ha dovuto abbattere anche interi fabbricati, ma non se ne è saputo niente. Ha delocalizzato le famiglie. Infatti, è stata l’unica opera che si sia fatta con la legge obiettivo.
Quindi: il tipo d’asta e un regime di autorizzazioni speciali, ovvero il commissariamento.
Io penso che in questo periodo servirebbe un governo che dicesse: vogliamo fare un discorso serio sulle opere pubbliche, favoriamo due soggetti che lo possano fare, scegliamo poche opere.
Questa è la mia visione.

Prof. Satta: Quello che dici è di un interesse strepitoso. Mi pare, però, che ci siano problemi serissimi. Gli enti locali: tutte queste opere passano attraverso il territorio e gli enti locali, che hanno titolo per protestare, per opporsi alla costruzione delle opere.

Ing. Gamberale: La strada, a mio avviso, è quella della attribuzione dei poteri ad un commissario. Certo il problema è che si è abusato di questo strumento, i fatti sono fin troppo noti.
Ma oggi siamo passati ad un estremo opposto. L’Autostrada del Sole, oggi, non si potrebbe rifare, con questo khomeinismo che è intervenuto. Non si potrebbe fare neppure il Colosseo  che forse è l’opera storica più importante dell’umanità.
Per questo, dico, secondo me il Paese dovrebbe prima di tutto essere acculturato sul deficit infrastrutturale. Un governo dovrebbe anche aiutare il Paese a crearsi una cultura di questo tipo.

Prof. Ciocca: Non cresce l’economia se non si fanno, ma non cresce non dal lato della domanda, perché molti pensano che le infrastrutture siano spesa e che quindi alimentino la domanda, ma perché non cresce la produttività, dal lato dell’offerta.

Ing. Gamberale: Ad esempio, pochi sanno che il nodo autostradale più critico d’Italia è, da 30 anni, Genova. Però nessuno lo dice, tutti pensavano che fosse Mestre che è stato risolto. Lì, la Prima Repubblica, che era illuminata, nel 1989 aveva appaltato il bypass di Genova. Nel 1992 fu imposto lo smantellamento dei cantieri e Autostrade ha pagato fino al 2001 le penali dei cantieri prima aperti e poi chiusi e adesso, con Genova che sta scoppiando, non ci si mette d’accordo per decidere dove  farlo passare. Quell’opera va commissariata.

Prof. Satta: Volevo chiederti che cosa pensi riguardo a una figura inquietante dal punto di vista politico, e cioè il commissario. Vuoi dire che a Genova qualcuno deve avere il potere di dire si fa in questo modo?

Ing. Gamberale: Se scoppiasse un incendio di grande importanza, emergenza nazionale, protezione civile, si fa tutto ciò che si deve fare. A Mestre è stato fatto cosi: un commissario, serio e competente, decise come si dovesse fare e nessuno  ha potuto parlare.

Prof. Karrer: E le competenze tecniche ci sono?

Ing. Gamberale: Certo. Ovviamente se mettono un avvocato a fare il commissario, quello di sicuro ha l’impostazione delle domande, dei permessi, dei ricorsi.

Prof. Ciocca: Noi stiamo scrivendo la storia dell’IRI …

Ing. Gamberale: L’IRI è una grande storia, perché le privatizzazioni le abbiamo lasciate da parte, e si ha l’idea che siano andate male, ma non è vero. Le privatizzazioni hanno riguardato anche imprese manifatturiere, ad esempio il tessile e l’abbigliamento dell’ENI, Autogrill, Motta e poi l’ILVA. Dove sono stati scelti acquirenti nello stesso core business, e sono stati esempi di grande successo: lo Stato ha preso soldi e queste aziende si sono sviluppate.
Poi, le privatizzazioni hanno interessato aziende di servizi e infrastrutture. Queste sono state fatte in due maniere. La prima è attraverso le quotazioni in borsa, come per ENI ed ENEL, storie di grande successo per lo Stato (ENI di successo sia per lo Stato che per i sottoscrittori, ENEL di grandissimo successo per lo Stato e meno per i sottoscrittori). La seconda maniera, invece ha riguardato le privatizzazioni di servizi e infrastrutture, fatte in chiave familistica, come per Telecom, Aeroporti di Roma, Autostrade e qui ci sono state delusioni, in particolare per Telecom. Il giudizio su Telecom influenza tutto, ma sono state, invece, cose di successo.

Prof. Satta: Possiamo approfittare di te ancora un momento? Una cosa che mi interessa moltissimo sono le infrastrutture di rete, che sono un problema gigantesco. Tu come le vedi? Come realizzazione, come struttura proprietaria, come disciplina?

Ing. Gamberale: Come infrastrutture di rete quindi intendiamo la rete di distribuzione del gas, dell’acqua?

Prof. Satta: Si, queste e anche la banda larga.

Ing. Gamberale: Per esempio, nelle reti, noi, come F2i, adesso stiamo facendo qualcosa: abbiamo comprato due reti di distribuzione del gas, oggi siamo il secondo come operatore nazionale nella distribuzione del gas, quindi abbiamo gas, acqua e banda larga. Sull’acqua ci sono i piani d’ambito, come sapete. Sul gas ci sono 300 concessioni, adesso la legge le dovrebbe ridurre a 170. Con i piani d’ambito secondo me ne basterebbero 6 o 7, come reti di distribuzione del gas.
Le reti debbono assicurare sviluppo, cioè sviluppo urbanistico; sicurezza, cioè andare a sostituire pezzi di rete; trasparenza, perché sulle reti ci sono i contatori. Sull’acqua, per esempio, pochi sanno che in Italia il 5% della popolazione non ha acquedotti, il 15% della popolazione non ha fogne e il 25% non ha depurazioni.
Il Governo ha fatto la legge Ronchi, perché queste reti sono di proprietà dei Comuni che non hanno i soldi per fare gli investimenti: dunque privatizziamole; e su questo si fa il referendum. Noi abbiamo fatto un’OPA sulla maggiore società quotata in borsa.
Sulla banda larga, io sono un  po’ più cauto, perché non è vero che l’Italia ha questo digital divide.  Probabilmente bisogna cominciare dalle grandi città. Anche in questo caso ci sono iniziative un po’ disordinate: a Trento si fa una rete, in Lombardia se ne fa un’altra. Secondo me la dovrebbe fare Telecom o comunque un unico operatore.

Prof. Satta: Quindi un operatore.

Ing. Gamberale: Ci vuole un operatore e questo non rappresenta un problema per la tutela della concorrenza. La grande impresa è una necessità, non una minaccia.
Ad Alitalia è stato impedito di acquistare Blu. Alitalia aveva meno del 50% del mercato in Italia. In Italia, se uno avesse chiesto: ma quante compagnie di bandiera ci sono? Alitalia, Air One, Meridiana, Blu Panorama. Se uno avesse chiesto: qual è la seconda compagnia di bandiera francese? Nessuno di noi lo sa. La tedesca? L’inglese? Nessuno di noi lo sa.

Prof. Ciocca: È un concetto di concorrenza da mercato della verdura.

Ing. Gamberale: Soprattutto era l’idea che attraverso la legge si potesse creare il mercato che non c’era.

Altri contributi in tema di infrastrutture:

Vai al Dossier Infrastrutture