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Sanzioni penali di illeciti amministrativi. Un cattivo diritto per l’economia – e non solo per essa

di - 25 Gennaio 2011
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1. Da decenni ormai il nostro ordinamento è costellato di reati contravvenzionali, che si commettono violando norme intrinsecamente amministrative. Si intende con questo identificare un complesso fenomeno, per così dire a due facce, che investe norme – e prassi – con cui interessi di particolare rilievo per l’intera comunità vengono tutelati, ol­tre che attraverso l’opera delle pubbliche amministrazioni, anche con sanzioni penali a carico di chi viola tali norme.
Il primo aspetto del fenomeno è ben noto. Secondo la nostra tradizione, la legge prov­vede alla tutela degli interessi pubblici, sottoponendo le attività umane che li coinvolgono al controllo preventivo, ed in alcuni casi repressivo, della pubblica amministrazione. È il complesso di attività che Feliciano Benvenuti aveva riassunto nell’espressione “funzione amministrativa”. Essa viene esercitata con gli strumenti e con le procedure dai nomi più vari: si spazia dalle conces­sioni alle autorizzazioni, ai nulla osta, ai permessi [1]. È inutile fare esempi, tanto siamo abi­tuati. Pochissime attività sfuggono a questo regime. Basti ricordare quanto dispone l’art. 6 del t.u. sull’ edilizia [2]: salve disposizioni più restrittive delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici, gli unici interventi ese­guibili senza aver previamente conseguito un titolo abilitativo sono quelli di manuten­zione ordinaria, di eliminazione di barriere architettoniche, senza alcuna costruzione di rampe o ascensori esterni, opere temporanee per attività geognostica. Tutto il resto deve essere preventivamente autorizzato. Lo stesso criterio vale per la tutela ambientale, l’igiene, la sanità, etc. etc.

2. Molto più delicato è il secondo. È perfettamente comprensibile che, per rendere più effi­cace il precetto con cui viene prescritta la necessità di un’autorizzazione al fine di tutelare un certo interesse di rilevanza generale, la legge preveda una sanzione penale per chi agisce, senza averla conseguita. Il fatto sanzionato è chiarissimo. Per guidare ci vuole la pa­tente di guida; chi, pur sapendo condurre una moto o un’autovettura, guida senza pa­tente è soggetto a sanzione penale.
Spesso però le leggi vanno oltre: e prevedono sanzioni penali anche per la violazione delle norme sostanziali, a prescindere dal fatto che le attività assunte come illecite siano state autorizzate – siano cioè passate al vaglio dell’amministrazione competente. Para­digmatici sono gli artt. 29 e 30 del t.u. sull’edilizia. Il primo dispone che il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore siano responsabili della confor­mità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso di costruire e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. La conformità delle opere al permesso di costruire non è dunque suffi­ciente per esonerare da responsabilità. L’art. 30, poi, descrive in questi termini la lottizza­zione abusiva per scopo edificatorio: essa ricorre quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia in violazione degli strumenti urbani­stici, vigenti o adottati, “nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita o atti equivalenti del terreno in lotti che per le loro caratteristi­che … denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
Dal punto di vista amministrativo, il regime sanzionatorio di tutto ciò è così disegnato: il comune deve disporre la sospensione delle opere; decorsi novanta giorni, se il provvedi­mento di sospensione non viene revocato, le aree vengono acquisite al patrimonio dispo­nibile del comune; gli atti aventi per oggetto terreni per cui sia stata disposta la sospen­sione delle opera sono nulli.
Sennonché la tutela dell’interesse sotteso a queste disposizioni – lo sviluppo ordinato dell’attività edificatoria – trova anche una sanzione penale nel successivo art. 44. Esso di­spone infatti che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni ammini­strative, alla violazione delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste nel presente titolo, nonché dai regolamenti, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire” si applica una certa ammenda; l’ammenda aumenta e ad essa si aggiunge l’arresto fino a due anni nel caso di lottizzazione abusiva; segue la confisca dei terreni. Si tratta, è bene ricor­dare, della stessa lottizzazione abusiva, realizzata o presunta, per la quale è prevista l’acquisizione delle aree al patrimonio del comune. Poiché qui si verte in materia penale, la confisca segue al passaggio in giudicato della sentenza che accerta l’illecito.
È così a tutti noto con quanta frequenza il pubblico ministero svolga inda­gini sulla conformità edilizia di opere regolarmente autorizzate e come, in seguito a que­ste indagini, vengano disposte misure cautelari – vale a dire sequestri.
Lo scenario non è proprio lineare. Ma così è. Hoc iure utimur.

Note

1.  Da alcuni anni sono state introdotte due varianti al regime dell’autorizzazione preventiva. La prima è quella della Segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) che ha sostituito, con modificazioni, la Dichiarazione di inizio di attività (DIA). In una serie di materie, caratterizzate da una sostanziale semplicità e da carenza di poteri discrezionali dell’amministrazione, è sufficiente segnalare all’autorità competente ciò che si intende fare, con la documentazione tecnica che illustri l’iniziativa. Si può cominciare subito. L’amministrazione ha sessanta giorni di tempo per contestare irregolarità; decorso questo termine, può intervenire solo in presenza di gravi danni all’interesse pubblico. La SCIA, come la DIA, racchiude in sé meno potenza di quanto prima facie potrebbe apparire: le materie sono limitate; l’interferenza di altre materie in cui è necessaria l’autorizzazione espressa è frequente (basti pensare a sanità, ambiente, sicurezza); il termine di sessanta giorni per contestare e paralizzare l’effetto della segnalazione è ampio ed espone a rischi notevoli, vista anche la possibilità di interventi repressivi successivi, in caso di “grave danno” all’interesse pubblico: sull’indeterminatezza del concetto è superfluo fermarsi.
La SCIA è stata introdotta con l’art. 49, co. 4 bis, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l.30 luglio 2010, n. 122.
La seconda variante al regime dell’autorizzazione preventiva è il silenzio accoglimento: il silenzio mantenuto per 90 giorni su un’istanza equivale a provvedimento favorevole, anche se era richiesto l’esercizio di poteri discrezionali. Esso è stato introdotto con la l. n. 15 del 2005. Anche qui permangono i poteri repressivi ex post dell’amministrazione; questo ha fatto sì che l’istituto non abbia avuto alcun successo.

2.  D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

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