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Economia e diritto delle infrastrutture

di - 10 Gennaio 2011
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Capacità tecnico-amministrative. La manifesta esigenza di accentramento e coordinazione potrà essere soddisfatta solo con un più efficiente utilizzo delle capacità tecnico-amministrative delle P.A., unito a più incisive modifiche ordinamentali. Quello concernente le infrastrutture è uno degli aspetti cruciali della più generale riforma dell’amministrazione pubblica che il Paese attende.
Progettare, seguire, collaudare le opere infrastrutturali richiede una vasta gamma di professionalità tecniche e amministrative. Particolarmente delicata è la fase di progettazione. Solo una progettazione accurata, che consideri tutti gli eventi i quali hanno probabilità di influire sulla esecuzione dell’opera, può prevenire sospensioni dei lavori, varianti, spiacevoli sorprese idro-geologiche, ecc.
Non sempre al favor per l’affidamento di queste mansioni ai tecnici delle amministrazioni pubbliche corrispondono adeguate capacità. Tali capacità sono diseguali e spesso insufficienti, specie negli enti pubblici più piccoli.
La soluzione dell’affidare all’esterno quelle mansioni – pur opportune – spesso non viene confortata da strutture interne alle amministrazioni che corrispondano dialetticamente con le ditte private specializzate eventualmente chiamate a progettare, seguire, collaudare i lavori. Mancano propensione e incentivi al coordinamento e alla messa in comune delle scarse risorse amministrative esperte in ciascun settore. Contrastare la dispersione del loro utilizzo è assolutamente necessario.

Normativa. Nell’ultimo decennio il quadro giuridico delle opere infrastrutturali è stato sottoposto alla spinta contrastante dell’adeguamento alle regole comunitarie e del decentramento legislativo e amministrativo. Queste istanze si sono innestate su preesistenti normative di comparto, fra loro diverse (opere di trasporto, militari, idrauliche, edili, ambientali). Nonostante i pur apprezzabili correttivi apportati a un disordine risalente, ne sono derivate stratificazioni e contraddizioni di regole, sovrapposizione di competenze, difficoltà di coordinamento.
Con la riforma del 2001 il Titolo V della Parte II della Costituzione ha innovato sia nella potestà legislativa (art. 117) sia nelle funzioni amministrative (art. 118) di Stato ed enti locali. Fra Parlamento e Regioni la legislazione è concorrente – con la sola determinazione dei principi fondamentali riservata allo Stato – in materie quali il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, l’energia. Spetta alle Regioni di legiferare in ogni altra materia non attribuita esplicitamente al Parlamento (è questo il caso della tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema). Le competenze amministrative sono invece attribuite ai Comuni, subordinatamente al rispetto dei criteri di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, volti ad assicurare l’esercizio unitario delle funzioni.
Sono attivi sul territorio oltre 12.000 centri di spesa infrastrutturale. Sia al livello legislativo sia al livello regolamentare la materia delle opere pubbliche interseca inoltre una serie di altre materie di competenza esclusiva dello Stato (concorrenza, ambiente, beni culturali) ovvero di competenza legislativa condivisa (governo del territorio).
È venuto meno il principio di unicità delle competenze. Si è ovviato solo in parte con la Legge obiettivo del 2001, che prevede l’accentramento di opere strategiche, e con il Codice dei contratti pubblici del 2006, che meglio definisce la ripartizione di competenze fra Stato e Regioni. Nonostante i chiarimenti ulteriori apportati dalla Corte Costituzionale di fronte ai ricorsi presentati sia dal Governo sia dalle Regioni, i problemi non sono risolti. Le intese o gli accordi di programma fra Stato e Regioni, le intese fra Regioni, gli accordi nella Conferenza Stato-Regioni, le Conferenze dei servizi, non superano il potere di veto di una delle parti, anche a causa dell’assenza di meccanismi che introducano un vincolo di risultato valido per tutti allorché l’intesa manca.
Nell’insieme, i centri decisionali, l’assegnazione delle competenze tecniche, il quadro giuridico potrebbero essere utilmente ripensati[8]. Dovrebbero esserlo, per ridurre ulteriormente – tenuto conto dei costi di transazione – i tre ordini di rischio connessi con i pubblici contratti: rischi di esecuzione, di prezzo, di corruzione[9]. Ma dovrebbero esserlo anche considerando gli investimenti in infrastrutture quale importante, strategico strumento della politica economica: anticiclica, cioè di sostegno alla domanda globale, e strutturale, per la promozione della produttività.

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Note

8.  Satta F. – Romano A. Ridurre i tempi per le infrastrutture, di prossima pubblicazione su ApertaContrada.

9.  Prosperetti, L. – Merini, M., I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture: una prospettiva economica, in Clarich, M. (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, Giappichelli, Torino, 2010.

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