Dal Documento di programmazione economico-finanziaria (1988) alla “insostenibile leggerezza” della Decisione di finanza pubblica (2010).

Note sullo stato delle istituzioni di bilancio in Italia (*)

1.  Non è agevole osservare dalla giusta distanza critica l’evoluzione, a partire dal 1978, di una vicenda istituzionale complessa come la decisione di bilancio in Italia.Eppure è questa l’attitudine che si richiede in chi studia i fatti istituzionali e amministrativi. Se non si comprendono bene i nessi e le criticità di questa vicenda si rischia di ripercorrere le stesse strade e di commettere gli stessi errori. La coazione a ripetere è una sindrome ben nota agli studiosi di scienze della cognizione e vale anche per i comportamenti politico istituzionali. Il dato che emerge, a mio avviso, dall’esame della copiosissima letteratura che negli ultimi trenta anni si è occupata, in un’ottica istituzionale, dei metodi e degli strumenti per riprendere il controllo della finanza pubblica[1], è l’esasperante lentezza nel connettere teoria e prassi. Ma è lecito chiedersi se la causa di questa estrema lentezza nell’affrontare i nodi strutturali del controllo della finanza pubblica è solo e prevalentemente politica, secondo la lettura prevalente? Chi scrive è di diverso avviso. Una parte corposa di questa responsabilità sta nella difficoltà delle tecnostrutture di supporto alla decisione politica (Ragioneria generale dello Stato, Corte dei Conti, Servizi del bilancio in Parlamento, ecc.) di prendere le giuste distanze critiche ed analizzare in modo spassionato che cosa funziona e che cosa non funziona nei nostri sistemi di preparazione, gestione e controllo del bilancio e della spesa pubblica; quali sono le innovazioni che occorrerebbe introdurre nella progettazione, gestione e controllo delle politiche pubbliche. Nell’afonia generale, la voce della Corte dei Conti (con la sua indipendenza istituzionale e tecnica) potrebbe e dovrebbe essere molto più forte e propositiva.

2.  Gli strumenti della decisione di bilancio in Italia assumono una diversa configurazione a partire dal 1978: con la legge quadro n.468 si introduce la legge finanziaria accanto al bilancio; le autorizzazioni vengono formulate in termini sia di competenza che di cassa; il bilancio dello Stato assume una proiezione triennale; si comincia a configurare un quadro di raccordo tra tutti i conti del settore pubblico e tra questi e la gestione della tesoreria statale. Inizia così un lento processo che può essere ragionevolmente letto e analizzato come il tentativo, operato dagli attori del nostro sistema politico istituzionale, di convergere verso un punto di equilibrio e razionalizzazione più efficace del nostro quadro di democrazia rappresentativa, facendo leva sui poteri e sulle procedure che segnano la preparazione, la discussione e l’approvazione di questi strumenti; il tutto nel contesto di una interpretazione evolutiva delle nome costituzionali in vigore. Non è casuale se la razionalizzazione dei sistemi di democrazia rappresentativa è fenomeno che con modalità diverse si realizza in tutte le democrazie europee[2], proprio sul terreno della disciplina dei poteri della borsa tra Governo e Parlamento. L’apparato tecnico normativo che dà corpo a questi processi investe rami alti e rami “bassi” (meglio tecnico-contabili); tocca le norme costituzionali, le leggi cornice in materia di entrata e di spesa, la struttura dei documenti di bilancio, i regolamenti parlamentari; in una parola i poteri del Parlamento, del Governo, dei dirigenti pubblici; investe dunque le fonti e le prassi.

3.  Dopo l’entrata (1998) dell’Italia nell’Unione monetaria europea con i paesi fondatori (l’innovazione istituzionale più rilevante degli ultimi venti anni ) chi scrive ritenne che il sistema rappresentativo aveva imboccato un sentiero virtuoso, che tendeva verso un punto di equilibrio, che in un certo senso dimostrava nei fatti la tesi, da sempre sostenuta, che la cornice dei principi costituzionali , se correttamente letta, era più che sufficiente per ricondurre il sentiero dei conti pubblici lungo una linea di controllo. Il clima di durissima contrapposizione politica che ha segnato le due legislature successive 2001-2006 e 2006-2008, (e la presente, che sembra volgere al termine), ha riaperto tutte le questioni. Ormai da oltre dieci anni, appare di una certa evidenza che questo processo in Italia non riesce a sedimentare un punto di equilibrio condiviso, operando sul piano della legge cornice contabile e sulle strutture classificatorie del bilancio, mentre a livello di sistema politico la polarizzazione netta e frontale del confronto (introdotta attraverso lo strumento della sola legge elettorale,senza contrappesi istituzionali) non ha consentito di sedimentare prassi trasparenti e condivise. Del resto più in generale va osservato che non esiste una via solo contabile alla stabilizzazione dei conti pubblici. La prima considerazione di ordine generale è che in questo processo (ormai ultratrentennale) a dispetto dell’uso abbondante di topos, concetti e forme mutuate dalle scienze economico-aziendali, continua a prevalere nettamente una discorsività di marca solo giuridico contabile. Anche la legge n. 196 del 2009 non si sottrae a questa impostazione.

(*) Testo rielaborato sulla base dell’intervento svolto nell’ambito del seminario organizzato dalla Corte dei Conti (18 e 19 novembre 2010) sulla legge n.196 del 2009.

4.   Nello schema introdotto con la novella del 1988 (legge n.362), il Documento di programmazione economico finanziaria (sulla scorta di convincenti e convergenti esperienze straniere) costituiva il fulcro del ciclo del bilancio. Il DPEF ricostruiva, su base pluriennale, uno scenario tendenziale di cassa (settore statale e settore delle pubbliche amministrazioni) e uno scenario programmatico, sempre di cassa: le indicazioni quantitative e qualitative sulla dimensione della manovra di correzione si radicano sugli scostamenti che emergono da questo esercizio. La presentazione anticipata alle Camere del DPEF (fino al 1998 entro maggio e poi entro giugno) assolveva alla funzione (di tipo dimostrativo) di discutere e approvare in anticipo (rispetto alla presentazione dei materiali normativi) i profili quantitativi e qualitativi delle correzioni. Al di là dei numerosi e consistenti problemi tecnici posti dalla costruzione di scenari tendenziali e programmatici, si tratta di costruire un percorso nel quale i soggetti istituzionali e politici possano discutere, comprendere e accettare (con un voto, in ultima analisi a maggioranza) vincoli e priorità settoriali. È uno schema che si radica in robusti studi che convergono nell’indicare che i procedimenti devono essere regolati in modo funzionale alla complessità e alla densità dei nodi decisionali che intendono dominare. Il procedimento deve recare in sé un grado di coerenza e di cogenza proporzionato alla natura e alla posizione istituzionale dei soggetti che vi partecipano ed al risultato che si intende conseguire. Poiché la decisione assume in sé sempre un grado di scelta politica (questo rimane del tutto vero anche per la nuova governance europea), la procedura deve comunque prevedere una via di soluzione per i conflitti. Certamente la decisione di bilancio è un processo estremamente denso e complesso: e questi tratti sono considerevolmente aumentati dopo l’avvio dell’attuazione del c.d. “federalismo fiscale”. Questa impostazione è incorporata anche nella legge n.196 e nella decisione di finanza pubblica (DFP, art.10). È tuttavia l’opinione di chi scrive[3], che al di là della fraseologia usata dalla legge, che nella sostanza ripete la logica sistemica del DPEF, tutto il sistema è venuto nei fatti baricentrandosi sull’ esercizio dei poteri d’urgenza del Governo e sul circuito maxi emendamento, fiducia. Sembra essere questa la forma specifica della razionalizzazione del nostro sistema che risulta incorporata nella legge n.196. La tesi di chi scrive è che questa forma “semplificata” non può reggere la complessità dei compiti di governance della finanza pubblica posti dal titolo V Cost. e dalle regole di convergenza europee (nuove proposte e diritto comunitario vigente).

5.  In questa ottica è forse interessante chiedersi quali indicazioni si possono trarre dalla vicenda dell’interpretazione “ innovativa” del Patto di convergenza , introdotta in sede europea nel 2005. Si ricorderà che le tre condizioni per sconfinamenti dalla regola di convergenza erano temporaneità, eziogenesi dello sconfinamento, legata ad una crisi economica non prevista, modestia dello scostamento. Venne osservato già allora che il valore cognitivo della regola sta tutto nel procedimento con cui la regola viene assunta; la regola è (consiste) nel suo procedimento di determinazione e di modificazione. La verificabilità e controllabilità della spiegazione del reale conferma sul piano cognitivo la sua funzione; se questa spiegazione del reale è messa in discussione si apre una fase di revisione della regola e quindi della procedura che la pone. E nella revisione (allora come ora) prevarranno le esigenze delle economie guida, Germania e Francia in testa. Le recenti proposte sul c.d. braccio correttivo delineano una nuova regola numerica: ventesimo all’anno di manovre di correzione dello stock di debito; si tratta di una regola potenzialmente molto stringente. Essa tuttavia se applicata richiederebbe una strumentazione molto fine. Quanto più si intende operare restrittivamente sulla spesa tanto più deve aumentare la capacità di distinguere e scegliere. I nuovi requisiti richiesti per i quadri del bilancio toccano profili cruciali nella fase di preparazione, approvazione e gestione del bilancio. Vi si prevedono dati di cassa con frequenza mensile; raccordo con la competenza economica. Quale che risulterà la soluzione europea che alla fine prevarrà, è del tutto illusorio pensare che essa ci indicherà dove e come tagliare; ci dirà, forse, quanto tagliare: ma la scelta qualitativa resta tutta intera sul nostro sistema paese: e qui torna per intero la nostra capacità tecnica di fare scelte accurate e consapevoli; ma gli strumenti in essere sono adeguati?

6.  La tesi che si intende sostenere è che l’asimmetria tra la densità dei nodi che devono essere risolti nel sistema interno italiano (reso notevolmente più complesso dall’attuazione dell’art. 119 Cost.) ed i criteri di convergenza posti a livello europeo è aumentata dopo la legge n.196, a dispetto dell’uso abbondante e insistito dei termini coordinamento e programmazione. Non è tanto un problema di tempi nella formazione – presentazione alle Camere dei documenti (di scambi ferroviari tra treni in arrivo e in partenza), ma di strutture deputate alla formazione – approvazione e controllo dei conti. Le due strutture di decisione e controllo politico (il Governo e le Camere) decidono e controllano male; e la legge n.196 ha sostanzialmente eluso questo tema per la quota che poteva essere affrontata in una legge cornice ordinaria. Le politiche pubbliche incorporano una componente cognitiva; una componente strumentale e una componente normativa: per innovare occorre capire dove, nella concreta esperienza, una politica pubblica si è dimostrata carente. Questa analisi critica fattuale dei trenta anni di esperienza delle procedure di bilancio in Italia è sostanzialmente mancata. Si continua con l’inutile litania dell’assalto parlamentare alla diligenza quando il tema è sostanzialmente altro. È quello della conoscenza profonda e fine dei meccanismi reali (non solo giuridico-contabili) di spesa. La componente cognitiva è debole; tutto si scarica su una strumentazione normativa (contabile) che taglia la competenza e imbriglia momentaneamente la cassa, ma dice poco o nulla sulle dinamiche reali delle spese e sulle correzioni qualitative alle politiche in una ottica di innovazione e sviluppo. Sotto questo angolo visuale la situazione del sistema istituzionale italiano è nettamente peggiore dei nostri partners europei; non possediamo strumenti efficaci per fare politiche pubbliche attraverso la leva del bilancio; casi clamorosi sono quelli degli incentivi all’innovazione e degli interventi per infrastrutture.

I punti densi di questo processo sono:
a) l’analisi tecnica indipendente , trasparente e monitorabile, dei dati e delle tendenze, macro e settoriali;
b) la definizione del quadro di riferimento “ normativo” per il Patto di stabilità interno (art. 8, comma 2 della legge n. 196). In particolare, che cosa significa in concreto scrivere che il quadro è normativo? Significa che si impone al sistema degli enti territoriali, come del resto è sempre avvenuto fino ad ora; ma la normatività è contro-fattuale se non riposa su una conoscenza fine e condivisa degli andamenti di spesa;
c) la nomenclatura giuridica delle spese. Rimane più che mai attuale la lezione di V. Onida sul grado di vincolo che la legge sostanziale trasferisce al bilancio e ora alla decisione di bilancio ellitticamente intesa. Riemerge corposamente la funzione di intermediazione interpretativa della macchina amministrativa e il nodo dei limiti reciproci tra l’autorizzazione legislativa alla spesa e la possibilità di riconsiderarla in sede di gestione. Tutto il tema della funzione allocativa del bilancio (a legislazione vigente) avrebbe meritato nel Governo e soprattutto nel Parlamento (con l’ausilio della Corte dei Conti) un lavoro profondo e minuto di riesame e riorganizzazione della normativa che sta alla base dei programmi e di ricostruzione della c.d. modulabilità delle spese: nuova categoria operativa ancora una volta ancorata ad una fase interpretativa giuridico-contabile definita in modo alquanto generico e perplesso;
d) i poteri di gestione della dirigenza dentro il nuovo contenitore autorizzatorio dei programmi.

7. Che cosa è accaduto nella sessione di bilancio per il 2011-2013? La ma­novra triennale di finanza pubblica 2011-2013, in effetti era già tutta inscritta nel decreto legge n. 78 del 2010; questa manovra d’urgenza recava in sé cor­rezioni quantitative e indirizzi; la DFP ha recepito meccanicamente gli effetti di questa decretazione di urgenza; in termini numerici, i saldi obiettivo della DFP sono la fotografia del decreto legge n.78. La sequenza è resa evidente dai tempi di presentazione della DFP (30 settembre 2010) e della legge di stabilità (la vecchia legge finanziaria, ribattezzata con lo stesso nome che le venne dato nel 1998),votata dal Consiglio dei Ministri mentre il Senato stava ancora discu­tendo e approvando la DFP. A prescindere dalle carenze documentali della DFP, è la sequenza che rivela la vera sostanza del processo immaginato e rea­lizzato. Si consolida la “c.d. finanziaria continua” via decretazione d’urgenza. In questo contesto come fanno le regioni e gli enti locali a determinare gli obiettivi dei propri bilanci , annuali e pluriennali, in coerenza con gli obiettivi programmatici risultanti dalla DFP approvata dalle Camere? (art. 8, comma 1)? Infatti la fase di concertazione con le Regioni e gli enti locali è completa­mente saltata. La legge n.196 intende (a parole) rafforzare la programmazione del profilo pluriennale della manovra: ma in pratica questo profilo è senza strumentazione. La Relazione unificata sull’economia e la finanza (un’altra in­novazione introdotta nel 2007 da T. Padoa Schioppa, come le missioni e i pro-grammi) diventa in realtà uno strumento di ricognizione delle tendenze e (di fatto) di programmazione; la RUEF, che è presentata dal solo MEF, può in realtà dare atto delle modifiche delle priorità già intervenute nella DFP in gestione. E accostare la DFP alla sessione di bilancio esprime la realtà di una situazione nella quale il centro della decisione è focalizzato sul solo Governo e sulla sua tecno-struttura, con risultati peraltro molto mediocri sul piano del controllo qualitativo della spesa e della trasparenza ricostruttiva delle tendenze. Se aumenta il grado di vincolo europeo, con questa strumentazione, aumenterà il grado di opacità della decisione e della sua qualità allocativa.

8. In realtà la riforma della struttura del bilancio (programmi e limite di cassa) e la riforma dell’amministrazione costituiscono un processo unico. Ma di ciò ancora una volta non vi è traccia nelle norme, e soprattutto non vi è traccia nelle politiche concrete. Sul piano della gestione del bilancio occorrerebbe avviare subito, a livello di programmi, una sperimentazione del raccordo tra cassa e competenza economica: rendere del tutto residuale ed interna la competenza giuridica. Sperimentare programmi interministeriali partendo dalle politiche pubbliche cruciali per lo sviluppo (infrastrutture e innovazione) ora distribuite su più Ministeri e centri di responsabilità: invertire nettamente la attuale dispersione delle risorse e delle responsabilità politico-amministrative.

Una conclusione provvisoria.
Le economie contemporanee competono anche (e forse sopratutto) attraverso le politiche pubbliche; e le politiche pubbliche coincidono in larga misura con la loro strumentazione tecnico organizzativa: ma questa strumentazione, alla prova dei fatti, esprime in sé un valore normativo, cognitivo, conformativo (dimostrativo) che trascende spesso le intenzioni incorporate negli stessi strumenti. Costituiscono strumenti delle politiche pubbliche: le procedure; le fonti normative; gli organismi; gli specialisti necessari a farle operare, le prassi che danno corpo a queste politiche.
Nella competizione prevale il sistema più idoneo a gestire e controllare sistemi complessi. Ora, al fondo di questa riflessione vi è la convinzione che l’anomalia italiana è più frutto di nodi e vincoli tecnico-organizzativi, espressione della maniera in cui i diversi strumenti si sono venuti intrecciando e hanno dispiegato in concreto i loro effetti, che di un disegno politico esplicito nei fini e nei mezzi; in altri termini, si tratterebbe di sciogliere un nodo tecnico-organizzativo (a monte anche culturale), più che politico. Naturalmente si è ben consapevoli che gli strumenti non sono neutrali e incorporano scelte di indirizzo e di valore politico; e tuttavia ci sembra che nella fase attuale della vita italiana prevalgano carenze e criticità di ordine tecnico-organizzativo e valga la pena concentrarsi su queste.
A partire dal 1998 (ingresso nell’UEM) abbiamo progressivamente affinato la costruzione delle previsioni tendenziali sui processi di formazione e copertura del fabbisogno. La gestione attiva del debito e delle aste di titoli pubblici richiede stabilità. Ma non sappiamo indirizzare e governare la spesa. Le innovazioni che richiede la nuova fase della governance europea (se vogliamo evitare indesiderate e pesanti retroazioni sull’economia) ci impongono una strumentazione di gestione e controllo assai più fine. La migliore performance delle altre economie europee (Germania federale, Francia, ecc) è in larga misura spiegabile con la migliore dotazione di capitale fisso sociale, ivi inclusa la capacità allocativa e gestionale della spesa pubblica. Gli strumenti di questa politica fondata sulla allocazione efficiente al margine di risorse scarse e sul controllo in itinere sono in Italia tutti ancora da mettere a punto. Occorre innovare profondamente nella conoscenza trasparente e indipendente delle tendenze, nella gestione (ampliando e responsabilizzando la dirigenza) e nel controllo (centrato nel durante sui risultati, non solo in termini di vincoli finanziari).

Note

1.  Mentre preparavo queste note ho ripreso tra le mani gli atti di un bel convegno dell’ISCONA, organizzato con la collaborazione della Commissione tecnica per la spesa pubblica: siamo nel 1989. Il titolo è “Il piano di rientro della finanza pubblica: procedure operative”; i relatori erano di tutto rispetto.

2.  Per tutti, M. Duverger, Finances publique, Parigi 1984

3.  P. De Ioanna, Queste Istituzioni, 2010.