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Il c.d. federalismo demaniale: la devoluzione del patrimonio statale vista come misura di “semplificazione”

di - 19 Novembre 2010
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A queste quattro leggi si sono poi aggiunti due provvedimenti normativi di grande rilievo sul versante procedurale. La l. n. 27/2003 di conversione del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 ed il d.P.R. 7 settembre 2000, n. 283. Si tratta di due provvedimenti, l’uno legislativo, l’altro regolamentare, che mirano a disciplinare l’alienazione dei beni pubblici secondo finalità sostanzialmente diverse. Nel caso della legge n. 27/2003 la ratio cui è informata tutta la legge è proprio quella di vendere in deroga alla normativa contabile vigente, e il ricorso alla trattativa privata trova una sua legittimazione soltanto nel fatto che la vendita deve avvenire secondo criteri e valori di mercato. A venire in rilievo nel caso di specie è il bene pubblico come risorsa per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e non il bene in quanto oggetto da valorizzare e tutelare. Nel regolamento n. 283/2000, viceversa, il fine è quello di tutelare il bene di interesse culturale, o meglio di disciplinarne l’alienazione e l’utilizzazione.
Non sempre queste misure hanno sortito gli effetti sperati, ed anzi molte correzioni sono state poste in essere, da ultimo con riferimento alla incorporazione della Infrastrutture S.p.a. in Cassa Depositi e Prestiti disposta dalla legge 31 dicembre 2005, n. 266. Ma ciò che più è mancato e che ancora manca nella disciplina legislativa del nostro Paese (e nella conseguente azione di indirizzo politico e di gestione amministrativa) non è tanto la efficienza delle procedure di dismissione quanto la consapevolezza del carattere solo accessorio e strumentale delle politiche di dismissione rispetto invece alla centralità delle politiche di conservazione e gestione del patrimonio che resta in mano pubblica[4].

4. Il trasferimento nel patrimonio disponibile: possibilità e forme di alienazione
Nonostante l’art. 2, al c. 4, enunci in modo quasi solenne che «l’ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata», ben si intuisce come il riferimento al “vantaggio indiretto” stia a significare quello che poi apparirà evidente nella disciplina di detti beni trasferiti: i comuni (e gli altri enti che se li vedranno attribuire a titolo gratuito) potranno (quasi liberamente) alienarli[5].
Ed infatti l’art. 4 del decreto legislativo in commento prevede, al primo comma, che «i beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, salvo quanto previsto dall’art. 111 c.p.c., entrano a far parte del patrimonio disponibile dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni».
Quindi tutti questi beni rientrano nel patrimonio disponibile perché l’ente locale ne possa fare l’impiego che più ritenga utile, anche a mezzo di alienazione, e ciò è tanto evidente che da un lato, il legislatore non può far a meno di introdurre qualche deroga, dall’altro si preoccupa quantomeno di introdurre vincoli procedurali all’alienazione di questi beni.
Da un lato, all’art. 4, c. 1, si fanno salvi dalla sdemanializzazione i beni appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale e, «ove ne ricorrano i presupposti», il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di attribuzione di beni demaniali diversi da quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale potrà «disporre motivatamente il mantenimento dei beni stessi nel demanio o l’inclusione nel patrimonio indisponibile».
Dall’altro, al terzo comma dell’art. 4, si prevede che «i beni trasferiti in attuazione del presente decreto che entrano a far parte del patrimonio disponibile dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni possono essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, e a seguito di attestazione di congruità rilasciata, entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta, da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze».
E seguendo la linea evolutiva del legislatore in materia di dismissione dei beni pubblici, il decreto legislativo in esame prevede oltre che le più ordinarie modalità di dismissione, anche forme più avanzate di dismissione e di privatizzazione del patrimonio pubblico.
Il riferimento è allaprivatizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare.
L’art. 6, c.1, del decreto prevede che «al fine di … promuovere la capacità finanziaria degli enti territoriali, anche in attuazione del criterio di cui all’art. 2, c. 5, lett. c), i beni trasferiti agli enti territoriali possono, previa loro valorizzazione, attraverso le procedure per l’approvazione delle varianti allo strumento urbanistico di cui all’art. 2, c. 5, lett. b), essere conferiti ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliare istituiti ai sensi dell’art. 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero dell’art. 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86».
Secondo il legislatore, quindi ciascun bene sarà «conferito, dopo la relativa valorizzazione attraverso le procedure per l’approvazione delle varianti allo strumento urbanistico, per un valore la cui congruità» sarà «attestata, entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta, da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze».
E seguendo le tendenze evolutive già richiamate si prevede in questo percorso la presenza di un soggetto “facilitatore” di queste modalità di dismissione. L’art. 6, c. 2, infatti, prevede che la Cassa depositi e prestiti, secondo le modalità di cui all’articolo 3, c. 4-bis, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, possa partecipare a tali fondi[6].

Note

4.  Per maggiori approfondimenti sia consentito rinviare al volume I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Atti del Convegno (Roma, novembre 2006), a cura di A. Police, Collana della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma «Tor Vergata», Milano, 2008 e I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali, Atti del Convegno (Pisa, dicembre 2007), a cura di G. Colombini, Collana dell’Università di Pisa, Napoli, 2009.

5.  Fatta eccezione, a norma dell’art. 2, c. 2, per «Gli enti locali in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fino a quando perdura lo stato di dissesto, non possono alienare i beni ad essi attribuiti, che possono essere utilizzati solo per finalità di carattere istituzionale».

6.  Sul ruolo di Cassa depositi e prestiti in questo contesto E. Bani, La Cassa depositi e prestiti in I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali, cit., 107 ss.

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