Tucidide, La guerra del Peloponneso

3. “Democrazia e libertà”

In un punto cruciale del suo lungo discorso per i caduti del primo anno della guerra del Peloponneso – conosciuto come “Epitaffio” e giustamente considerato un testo capitale sugli assetti costituzionali della pólis– il Pericle di Tucidide illustra le caratteristiche del sistema politico di Atene, “fonte di educazione permanente per l’Ellade”. Fondata sulla democrazia, garantisce ai suoi abitanti massima uguaglianza nelle condizioni di partenza, libertà nella vita privata, selezione dei migliori

[37,1] Il sistema politico che abbiamo in uso non mira a emulare le istituzioni altrui e anzi fungiamo noi stessi da modello, almeno per qualcuno, ben più di quanto ci proponiamo di imitare gli altri. Di nome –per il fatto che non governiamo nell’interesse di pochi, ma della maggioranza del popolo – viene definita democrazia: ma di fatto ciò significa che, quanto alle leggi, tutti hanno uguali diritti rispetto alle controversie private. Quanto alla considerazione pubblica, che non è la provenienza sociale più del valore individuale a determinare la selezione per le cariche governative di chiunque si sia affermato in qualche campo. Quanto infine alla povertà, che nessuno in grado di fare qualcosa di positivo per la città ne viene impedito dall’oscurità del suo rango. La libertà, del resto, caratterizza il nostro vivere civile sia rispetto alle istituzioni governative, sia rispetto a quella gelosia che di norma determina le reciproche relazioni quotidiane e se qualcuno agisce a proprio piacimento non ce ne abbiamo a male, né gli serbiamo quel rancore che, per quanto ininfluente, è comunque fastidioso a vedersi. Se dunque in privato i nostri rapporti non conoscono offese e risentimenti, in pubblico, è soprattutto per timore che evitiamo comportamenti illegali, nell’obbedienza al governo in carica e alle leggi, e in particolare a quelle che sono in vigore in difesa delle vittime dell’ingiustizia e a quelle che per comune consenso, senza essere scritte, comportano disonore per chi le viola […].

[40, 1] Siamo attratti dal bello, ma con semplicità, e dalla cultura, ma senza svenevolezze. Delle ricchezze ci serviamo più per propiziare l’azione che per vantarcene nei discorsi e mentre ammettere di essere povero non è motivo di vergogna per nessuno, lo è invece, e ben di più, non fare nulla per venirne fuori. Nelle stesse persone, la cura degli affari privati si affianca a quella della politica e anche se tutti si dedicano a occupazioni differenti, della politica riescono nondimeno ad avere una conoscenza non inadeguata: in effetti siamo i soli a considerare non già un uomo disimpegnato, ma un uomo inutile che non vi partecipi affatto.

[41, 1] Mi sento di affermare, ricapitolando, che la nostra città nel suo complesso è fonte di educazione permanente per l’Ellade intera e che ciascuno dei nostri cittadini, singolarmente, può esplicare autonomamente la propria personalità – io credo – con disinvolta eleganza, con la massima flessibilità, nelle più diverse forme dell’esperienza umana.

Contributo collegato:

Anatomia della pólis, di Giovanni Francesco Lucarelli