Qualche considerazione sulla crisi greca e sul mutamento della costituzione materiale dell’UE (Europa destruens ed Europa costruens)
In questo caso quindi avremmo un atto che non è un trattato internazionale né un accordo in forma semplificata, ma un mero accordo comunitario (in pratica di tratta di contratti di mutuo bilaterali gestiti in modo consortile mediante gli organi comunitari) che viene con la formula tradizionale del “piena ed intera esecuzione è data…” recepito nell’ordinamento interno.
La peculiarità di tale situazione sta anche nel fatto che tale atto di recepimento è contenuto nella legge di conversione di un decreto legge.
Si ricorda in proposito che, ai sensi dell’art. 15, comma 2 lett. b) della legge n. 400 del 1988 è vietato al Governo di provvedere con decreto legge nelle materie indicate nell’art. 72, comma 4 della Costituzione, fra cui rientra la legge di autorizzazione di trattati internazionali e che tale divieto viene interpretato come riferibile anche alle leggi di conversione dei decreti legge.
Tuttavia, nella specie, non ci si trova di fronte ad un ordine di conversione in senso tecnico, perché gli accordi predetti non sono Trattati internazionali ma semplici accordi di concessione di prestiti fra Stati membri della UE e facenti parte della zona euro.
La formula è un atto di recepimento di un atto comunitario atipico (accordo).
Quanto alla base giuridica dell’accordo, fermo restando che esso deroga all’attuale disposto dell’art. 125 del Trattato sul funzionamento dell’UE (versione Lisbona), che vieta prestiti dalla UE a Stati membri in deficit e degli Stati membri fra loro, sembra che la base giuridica debba ravvisarsi – per intento degli attori istituzionali che hanno avviato il processo – nell’art. 136 del Trattato di Lisbona che prevede la possibilità, per il Consiglio, di adottare misure tendenti a rafforzare il coordinamento e la sorveglianza delle discipline di bilancio.
Nel caso di specie, si è deciso di derogare alla disciplina dei c.d. “warnings” comunitari (di cui all’art. 126 del Trattato di Lisbona) da adottare nei confronti dei Paesi in deficit, per approvare misure di stampo solidaristico che costituiscono l’embrione di una nuova architettura istituzionale del Patto di stabilità (il cui studio è stato rimesso ad una “task force” che gli Stati dell’eurogruppo hanno chiesto al Presidente del Consiglio europeo di istituire).
È stata condivisibilmente stigmatizzata in dottrina la scarsa efficacia delle procedure per il contenimento dei deficit eccessivi.
Si è detto in proposito che “anche di fronte a gravi e persistenti situazioni di violazione dei parametri concertati in sede europea si è assistito all’attivazione di processi di reazione dall’esito non solo piuttosto blando, ma soprattutto differenziato nel corso del tempo. E le decisioni sono state assunte per lo più sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali dagli organi europei competenti in materia, in specie dalla Commissione e dal Consiglio dei ministri, avendo assai minor rilievo sul punto sia le attribuzioni del Consiglio europeo che quelle del Parlamento europeo, i quali in estrema sintesi vengono soltanto “informati” dei procedimenti in corso o degli atti adottati. Tra l’altro, si è dato luogo ad interpretazioni di volta in volta permissive o restrittive degli obiettivi di convergenza, sì da rendere questi ultimi suscettibili di una considerevole elasticità di ordine politico”[1].
Si sottolinea che gli accordi di prestito sono concepiti – per effetto di clausole previste nei medesimi contratti – come strumenti giuridici ad efficacia subordinata all’adozione da parte del Consiglio di una delibera ai sensi dell’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE (allo stato non ancora adottata).
Tutta l’operazione quindi dei prestiti bilaterali alla Grecia è concepita in termini di stretta condizionalità all’adozione – ai sensi dell’art. 136 del Trattato – di una decisione del Consiglio derogatoria rispetto agli artt. 125 e 126 del Trattato (divieti di prestito e procedure sanzionatorie per i deficit eccessivi).
Potrebbe dubitarsi – nel quadro giuridico attuale – che l’art. 136 sia una base giuridica adeguata a sostenere una decisione di derogare all’art. 126 del Trattato, potendo sostenersi che esso giustifica formalmente mere misure di coordinamento.
Tuttavia deve cogliersi un vero e proprio mutamento della costituzione materiale dell’UE che si avvia, nell’ambito dei Paesi dell’eurogruppo, per la prima volta, a configurare una responsabilità collettiva per la situazione dei bilanci di ciascun Paese, premessa per future maggiori integrazioni delle politiche economiche dei Paesi dell’UE.
Va considerato che la situazione eccezionale creatasi sui mercati finanziati imponeva risposte rapide, difficili per la carenza di uno strumentario giuridico adeguato nell’UE (per esempio il diritto europeo non conosce la normazione urgente o per decreto).
Sicché è avvenuto che i singoli Stati hanno anticipato, con proprie misure di diritto interno (in Italia con l’adozione del decreto legge), quanto concordato politicamente in sede Eurogruppo, facendo svolgere ai decreti legge nazionali funzione anticipatoria di normative comunitarie ancora da adottare.
Note
1. Giulio M. Salerno Costituzione, unione europea e mercati globali ; proposte e riflessioni in www.federalismi.it↑