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Il diritto societario europeo

di - 1 Settembre 2010
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Negli anni ’80 il punto di riferimento del diritto societario europeo passa da un processo di armonizzazione progressiva degli ordinamenti nazionali ad un processo nel quale i nuovi strumenti societari comunitari rinviano largamente alla legislazione degli Stati di costituzione. Tale direzione si era delineata già nel 1985 con il Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), la cui disciplina rinvia ampiamente alla legislazione del paese di costituzione. Lo statuto della Società europea (SE) è stato adottato nel 2001, con un’ampia restrizione delle materie disciplinate direttamente (formazione, sede, governo societario, partecipazione dei lavoratori alla gestione della SE) e un largo rinvio per tutti gli altri aspetti sia all’autonomia statutaria, sia, soprattutto, alla legislazione nazionale dello Stato membro della sede. Previsioni sulla partecipazione obbligatoria dei lavoratori alla gestione della SE si applicano poi non solo a quelle SE che abbiano la propria sede in uno Stato membro la cui legislazione così preveda, ma anche nei casi di formazione di una SE attraverso fusione o scissione se almeno una delle forme societarie di provenienza (o di destinazione in caso di scissione) abbiano la propria sede in uno di questi Stati. Infine, anche la mobilità di una SE assoggettata al regime di codeterminazione nello Stato di provenienza viene condizionata al mantenimento di tale regime. Tali previsioni di fatto introducono due diverse tipologie di SE in considerazione dell’applicabilità dell’istituto della codeterminazione limitando quindi il diritto di stabilimento – a causa dell’impopolarità della codeterminazione in quegli Stati nei quali questa non è prevista in via obbligatoria – principalmente agli Stati “omogenei”. L’esperienza dei primi anni di applicazione dello Statuto SE mostra infatti che le SE, di numero peraltro ridotto,  sono state costituite essenzialmente in paesi caratterizzati dall’obbligatorietà della partecipazione dei lavoratori alla gestione. Inoltre, il numero dei trasferimenti della sede (legale e effettiva, secondo quanto richiesto dallo statuto SE), è stato fino ad ora trascurabile.

La SE, ad ogni modo, permettendo lo spostamento della sede legale (sia pure accompagnato dallo spostamento della sede effettiva), lascia all’imprenditore la scelta dell’ordinamento giuridico più confacente alla propria organizzazione interna, di fatto riconoscendo il principio della concorrenza degli ordinamenti.  Questo principio è stato riconosciuto più ampiamente dalla Corte di giustizia per le società di prima costituzione. A partire dalla sentenza Daily Mail del 1988, la Corte ha progressivamente riconosciuto il diritto per un’impresa di trasferire la propria sede effettiva in un altro paese dell’Unione senza previa liquidazione, pur riconoscendo la possibilità per lo Stato di origine di condizionare questo trasferimento ad alcuni adempimenti. A partire poi dalla sentenza Centros del 1999 la Corte ha riconosciuto alle società di prima costituzione il diritto di separare il regime della sede legale da quello della sede effettiva e di stabilire quest’ultima anche in Stati membri la cui legislazione societaria riconosce la sede effettiva come un requisito irrinunciabile della costituzione in quel paese, con la conseguenza che ogni impresa di prima costituzione può scegliere il regime legale che ritiene più confacente alla propria organizzazione interna. Le società di prima costituzione possono quindi costituirsi nello Stato membro di loro scelta e svolgere anche la loro intera attività sociale in un altro Stato membro, senza che quest’ultimo possa rifiutare di riconoscere la loro capacità giuridica né possa applicare loro, nemmeno in parte, il proprio diritto societario.

La direttiva fusioni transfrontaliere (decima direttiva) prevede la possibilità di porre in essere la fusione di società di capitali stabilite nell’UE senza la previa dissoluzione di nessuna delle entità coinvolte attraverso l’applicazione delle previsioni nazionali sulle fusioni interne, in primo luogo relative al processo decisionale e alla protezione di creditori e stakeholders delle singole entità coinvolte nel progetto di fusione, e da previsioni della direttiva analoghe a quelle della Società europea relativamente alla nuova entità risultante dal processo di fusione. In particolare, la decima direttiva contiene da un lato delle previsioni sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione della società con ampi riferimenti al regime della SE e dall’altro alcuni, sia pur limitati, aspetti di semplificazione. Rispetto alla possibilità offerta dallo statuto SE di porre in essere fusioni transfrontaliere, la decima direttiva estende tale possibilità ad altre forme societarie oltre che alle sole S.p.A. La direttiva permette poi di trasferire la sede legale di una società in un altro Stato membro attraverso la fusione per incorporazione in una società veicolo del paese desiderato, sia pure a condizione di rispettare, tra l’altro, dei requisiti in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione societaria nonché i requisiti della legislazione nazionale in materia di sede. D’altra parte, non vi è ancora una norma generale che permetta il libero trasferimento della sede legale in un altro Stato membro, sebbene secondo alcuni l’introduzione di una tale norma sia stata sollecitata dalla Corte di giustizia nella sentenza Daily Mail. Di recente, con la sentenza Cartesio, la Corte ha negato agli Stati membri la possibilità di opporsi ad un trasferimento della sede legale di una società registrata nel proprio territorio, riconoscendo quindi alle società il diritto di trasferire la sede legale in un altro Stato membro qualora il paese di destinazione non richieda anche lo spostamento della sede effettiva. Tuttavia, bisogna tenere presente che anche in questo caso la mobilità della sola sede legale non sarebbe comunque possibile verso quegli Stati dove la possibilità di registrare la sede legale di una società è condizionata al trasferimento in questo stesso Stato anche della sede effettiva, tra i quali anche il nostro. Infine, soltanto alcuni Stati membri sembrano prevedere, al momento, l’ipotesi della migrazione della sede legale di una società straniera nel proprio ordinamento.

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