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Il diritto societario europeo

di - 1 Settembre 2010
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Il Trattato delle Comunità europee (dallo scorso primo dicembre Trattato sul funzionamento delle comunità europee) riconosce il diritto di stabilimento alle società costituite in uno degli Stati membri e aventi la sede sociale (o sede legale), l’amministrazione centrale o il centro di attività principale (o sede effettiva) all’interno della Comunità. Il diritto di stabilimento comprende il diritto dell’impresa di insediarsi in uno Stato membro per una durata indeterminata al fine di esercitarvi un’attività economica. Esso si articola sia nella possibilità di stabilire la propria sede legale in uno Stato membro diverso da quello di origine, sia nella possibilità di aprire agenzie, filiali o succursali in un altro Stato membro rispetto a quello della sede legale secondo la legislazione dello Stato membro di destinazione. Il Trattato in sostanza tende ad equiparare le società alle persone fisiche cittadine degli Stati membri per quanto riguarda la libertà di stabilimento.

Tuttavia, poiché per il Trattato la società non esiste se non in forza dell’ordinamento nazionale che ne prevede la costituzione, il relativo stabilimento nel territorio di uno Stato diverso presuppone il mutuo riconoscimento delle società tra i vari Stati membri. Alla sua entrata in vigore nel 1958, il Trattato di Roma non assicurava la piena libertà di stabilimento per le società, non consentendone la piena mobilità, in particolare la possibilità di trasferire la sede legale in un altro stato membro senza la previa dissoluzione. Un secondo ostacolo era rappresentato dalla mancanza di una previsione che permettesse di trasferire la sede effettiva senza previa dissoluzione della società, nel caso in cui lo Stato membro di costituzione richiedesse che anche la sede effettiva si trovasse nel territorio dello Stato. Un terzo ostacolo riguardava la mancanza di una previsione che permettesse fusioni di società soggette a legislazioni nazionali diverse. Alla nascita delle Comunità europee, un quarto e ulteriore ostacolo alla mobilità delle società e alla libertà di stabilimento era rappresentato dalle diverse previsioni del diritto societario dei vari Stati membri, quali fra le altre le modalità di costituzione delle società, i requisiti di pubblicità, il regime del capitale, l’organizzazione interna, i diritti degli azionisti, la partecipazione dei lavoratori alla gestione sociale, la dissoluzione.

Il Trattato peraltro riconosceva tali limitazioni e proponeva come prima soluzione l’adozione di convenzioni tra gli Stati membri per il mutuo riconoscimento delle forme societarie nazionali e per il mantenimento della personalità giuridica nell’ipotesi di trasferimento della sede da uno Stato membro ad un altro e la possibilità di fusioni di società soggette a legislazioni nazionali diverse senza che questo ne richiedesse la previa dissoluzione. In secondo luogo, il Trattato introduceva le basi costituzionali per consentire alle autorità comunitarie di adottare delle misure volte a coordinare i diritti nazionali al fine di facilitare la realizzazione della libertà di stabilimento.

Obiettivo di questo articolo è delineare sinteticamente il cammino intrapreso dalle istituzioni comunitarie per assicurare la piena libertà di stabilimento delle società europee e la libertà di circolazione dei capitali, dalle iniziative adottate nei primi anni delle Comunità europee alle ultime proposte legislative al momento all’esame del Consiglio e del Parlamento.

Dapprima si tentò la strada di una convenzione tra gli Stati membri di coordinamento delle norme rispettive di diritto internazionale privato e delle norme sul conflitto di leggi, vale a dire di quelle norme con le quali gli Stati membri disciplinano l’uscita di una società dal proprio ordinamento giuridico e l’ingresso di una società nel proprio ordinamento giuridico. Il passo in avanti che si realizzava era però limitato alla rinuncia da parte degli Stati membri della possibilità di impedire l’uscita di una società che rispettasse la legislazione dello Stato di origine e destinazione. Questa convenzione non fu mai ratificata dai Paesi Bassi, in quanto non permetteva una mobilità delle società condizionata soltanto alle norme giuridiche dello Stato membro di destinazione. I Paesi Bassi in quel periodo ritenevano di avere la normativa societaria più flessibile per le società e si consideravano quindi potenzialmente beneficiari di un flusso migratorio nel loro paese, flusso che non sarebbe stato pienamente consentito dalla Convenzione che lasciava agli altri Stati membri la possibilità di porre limitazioni all’uscita di società dal proprio ordinamento giuridico, ad es. condizionandola al trasferimento anche della sede effettiva.

All’emersione del pericolo del forum shopping come elemento ostativo al raggiungimento di un accordo sulla libertà di stabilimento societaria seguì una risposta da parte delle istituzioni comunitarie che, adottando alla fine degli anni ’60 un piano di armonizzazione sistematica del diritto societario degli Stati membri, di fatto mirarono a ridurre al massimo gli effetti della concorrenza fra legislazioni nazionali e quindi a permettere l’adesione degli Stati membri alla piena mobilità delle società. Se questa scelta ha permesso un’ampia armonizzazione nel successivo decennio, essa non è stata in grado di superare le differenze fondamentali tra i diritti societari degli Stati membri, il cui numero intanto aumentava progressivamente, in primo luogo riguardo alla partecipazione obbligatoria dei lavoratori alla gestione e alla disciplina dei gruppi di società.

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