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Alcune riflessioni di Emilio Giardina

di - 17 Agosto 2010
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Ma tornando alla ricerca interdisciplinare, come prima definita, cosa impedisce che un medesimo studioso che intende varcare i confini della sua disciplina originaria, si impegni a coltivare nuovi orticelli, intrecciando all’interno della sua ricerca, e all’interno della sua mente, quella comunicazione che avviene tra diversi studiosi nel caso della ricerca multidisciplinare? Non si può essere nel contempo specialisti in diverse discipline? Bravi specialisti, o addirittura specialisti di eccellenza in utroque jure?
La seconda considerazione interessa gli studiosi italiani di Scienza delle finanze in quanto richiama una questione che ha agitato la nostra disciplina soprattutto nella prima metà del secolo scorso: quella del rapporto tra diritto ed economia finanziaria. Combinare lo studio delle due discipline avrebbe significato qualcosa di simile alla combinazione del legno con il ferro, scrisse Luigi Einaudi in polemica con le posizioni di Griziotti e della sua scuola. E l’atteggiamento critico di Einaudi ebbe convergente eco nel versante dei giuristi. Certo in quel caso l’approccio interdisciplinare soffriva di alcuni difetti, che qui non è il caso di analizzare. Ma muoveva da un’esigenza di completezza della ricerca che lo svilupparsi dell’approccio Law and Economics ha dimostrato essere non trascurabile. Ritorneremo su questo argomento tra poco, quando prenderemo in esame il contributo di Luisa Giuriato che, prendendo le mosse dalla Tradizione italiana in materia di giustizia tributaria, si sofferma sul pensiero di due giuristi, L.V. Berliri e Ezio Vanoni, che hanno adottato un approccio che potremmo definire antesignano della Law and Economics.

2. Ma prima vorrei fare qualche breve considerazione sul secondo lavoro di Brennan ed Eusepi presente nel volume. Si tratta di un contributo alla pulizia terminologica, nel senso non dell’eliminazione di parole dal linguaggio degli economisti e dei filosofi, ma dell’eliminazione degli equivoci verbali, delle confusioni terminologiche che spesso sono alla radice del dibattito scientifico nei nostri campi di ricerca. Sono molto simpatetico con i nostri autori, dato che leggendo il loro scritto mi è venuto di riflettere che diversi miei lavori in sostanza sono stati un’opera di chiarificazione dei concetti e dei termini impiegati nella letteratura sull’argomento da me trattato, come ad esempio la “capacità contributiva” nella dottrina economica e giuridica, o il concetto di “onere del debito pubblico” o quello di massimo paretiano di utilità
L’affermazione di B. e E. che gli economisti, a differenza dei filosofi, hanno poco gusto ad estendere l’analisi concettuale all’uso dei termini del linguaggio, riservando il loro rigore per le equazioni, trova alleati in altri studiosi. Di recente Kotlikoff e Green hanno concluso un saggio dal significativo titolo “On general relativity of fiscal language”, dicendo che molto di quanto è stato scritto e detto in materia di politica fiscale (imposte, deficit, trasferimenti, ecc.) è stato un esercizio nella linguistica e non nella scienza economica.
I chiarimenti che i nostri autori hanno dato sul significato dei termini e dei concetti in economia e in filosofia di valore e valori, di credenze, desideri, gusti, soddisfazione, prezzo, benessere, utilità, e dei loro reciprochi rapporti, rimangono un punto fermo che non potrà essere ignorato da chi si accinga ad impiegarli nella sua ricerca. Dato che siamo in argomento di valori, dico che meritano una medaglia al valore scientifico. E così possono rientrare nelle statistiche che Frey pone a base del suo contributo al volume in esame sul tema dei premi e delle onorificenze.
Il loro lavoro è denso di argomentazioni che impongono una riflessione più approfondita di quella che può emergere da una prima lettura. Mi limito qui a dire che mi ha colpito il loro rilievo secondo cui gli economisti non sono attenti a chiarire come gli individui ordinano le loro credenze e i loro desideri, e come questi si trasformino in preferenze. E ciò in un mondo di informazione limitata, e quindi di preferenze anche male informate. O la considerazione che la massimizzazione della soddisfazione delle preferenze non è la constatazione di un fatto, ma un assunto normativo, la proposta di un valore.
Ma che relazione c’è tra valori e preferenze? Sono indipendenti? Come distinguerli? I nostri autori propongono diverse soluzioni, che si muovono sia sul piano dei valori morali di ciascuno che su quello delle interrelazioni con gli altri, nel mercato o nel campo delle azioni collettive. E a questo proposito analizzano i comportamenti, morali e no, che derivano dalle convenzioni, dai comportamenti che adottiamo perché sono adottati dagli altri, dalle regole che seguiamo perché le seguono gli altri. L’argomento mi richiama alla mente un recente dibattito tra il filosofo del diritto Guastini e il costituzionalista-contrattualista Baldassarre a proposito del positivismo giuridico, che nella versione esclusiva rigetta e in quella inclusiva accetta il recepimento di valori nell’analisi giuridica.
Oltre alle preferenze come valori e ai valori come preferenze, B. e E. analizzano anche la relazione di possibile contrapposizione tra i due concetti quando le preferenze vengono distinte nella categoria dei valori e in quella dei gusti. La primazia spetta alla prima categoria? La risposta è sì secondo i filosofi, se l’individuo agisce in modo razionale. Ma gli economisti distinguono il comportamento razionale da quello morale.
Alcuni economisti peraltro recepiscono i valori morali nelle preferenze, considerando ad esempio l’altruismo come fonte di utilità per chi è generoso con gli altri. O richiamando il concetto di metapreferenze. Ma i nostri autori tengono fermo il punto che esiste una tensione tra valori e gusti, e che non ci comportiamo sempre in conformità ai nostri valori. Essi ne traggono un’implicazione di grande rilievo: il principio della sovranità del consumatore viene così a perdere quella generale connotazione morale che usualmente gli si attribuisce. Con soddisfazione degli economisti pubblici che hanno cercato di percorrere lo sdrucciolevole terreno dei beni meritori e de meritori.

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