Diritto negoziale della crisi d’impresa e prospettive di riforma dell’amministrazione straordinaria

Sommario: -1. Premessa. – 2. Sugli interessi tutelati nel diritto positivo della crisi d’impresa. -3. In particolare. Sugli interessi tutelati nella amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. – 4. Riforma ‘fallimentare’ e diritto negoziale della crisi d’impresa. – 5. Diritto negoziale e neutralità delle opzioni strategiche per la soluzione della crisi d’impresa. – 6. Sintesi delle conclusioni. Diritto negoziale e tutela del credito nelle procedure concorsuali amministrative. – 7. Eterotutela amministrativa e giudiziaria dei creditori e autonomia ‘autorizzata’. – 8. Concordati coattivi vs. concordati deliberati. – 9. Prospettive del diritto negoziale nella riforma dell’amministrazione straordinaria. – 10. Accordi di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria. – 11. Concordato preventivo e amministrazione straordinaria. – 12. Il concordato nella amministrazione straordinaria. – 13. Infine. Tutela del credito e negozialità nella amministrazione straordinaria.

1. – Scopo di questo contributo è di indagare, de iure condendo, il ruolo della autonomia negoziale nella amministrazione straordinaria: e dunque, essenzialmente, i limiti esplicativi dell’accordo (con i creditori) e del concordato approvato dai creditori in questo settore del diritto della crisi d’impresa [1].
Una adeguata impostazione del tema impone di inquadrare, preliminarmente, le differenze che si pongono tra diritto ‘ordinario’ della crisi d’impresa (fallimento, concordato preventivo, accordi sulla crisi d’impresa), in cui l’autonomia negoziale trova oggi ampio riconoscimento, e diritto ‘amministrativo’ (liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria delle grandi imprese), così da verificare in che limiti tali differenze possono determinare o anche solo influenzare la soluzione della questione nell’uno e nell’altro settore.
Le diversità sono vistose e si colgono sotto il profilo degli interessi tutelati: mentre il diritto ordinario è posto a tutela dei creditori dell’imprenditore insolvente, invece il diritto amministrativo è indirizzato alla conservazione dell’impresa quale organizzazione di strumenti produttivi, e alla tutela degli interessi connessi a tale esito, primo fra tutti la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Poiché nella gestione della crisi d’impresa l’autonomia negoziale si realizza nel rapporto tra debitore e creditori, e al fine del superamento della crisi attraverso la composizione del debito, nella amministrazione straordinaria l’esercizio della autonomia negoziale sconta la difficoltà consistente nell’obbiettivo della conservazione dell’impresa, da perseguirsi primariamente e dunque anche in pregiudizio dell’interesse, eventualmente configgente, dei creditori.
Cosicché l’autonomia dei privati, piuttosto che affermarsi pienamente, sembra dover soggiacere a controlli e autorizzazioni sulla sua compatibilità assiologia e teleologica con il sistema della procedura concorsuale all’interno della quale richiede di essere riconosciuta.

2. – Le divergenti finalità intorno alle quali sono organizzati i due insiemi disciplinari del diritto della crisi d’impresa, e la rilevante peculiarità dell’amministrazione straordinaria, ne rendono difficile una considerazione unitaria [2].
Il diritto ordinario della crisi d’impresa realizza la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore. Oggetto di tutela è il credito verso l’imprenditore insolvente. Tutti gli altri interessi coinvolti nell’attività non trovano protezione autonoma, ma sempre condizionata alla tutela dell’interesse – perciò primario – dei creditori [3].
Questo assetto valoriale caratterizza la procedura fallimentare: nella versione del codice di commercio [4], nella versione del 1942 [5] e così pure nella versione in vigore (in cui, per il recupero di soluzioni in qualche misura già sperimentate nell’Ottocento, i poteri gestori e le decisioni di merito sono largamente affidati al comitato dei creditori quale organo esponenziale del ceto protetto) [6].
Per facile intuizione, stesse conclusioni valgono per i concordati: nei quali la domanda è assoggettata alla approvazione dei creditori (cfr. artt. 127 e 177 l.f.).
E lo stesso è a dirsi per i contratti (a volte sintetizzati nella figura del c.d. ‘concordato stragiudiziale’, ma oggetto di attenzione normativa negli artt. 67, comma 3, lett. d) ed f) e 182 bis l.f. ): fondati come sono sull’accordo tra debitore e creditori.
Proprio l’avvertita esigenza di assicurare in determinati casi protezione a interessi diversi e anche configgenti (in potenza o in atto) rispetto alla tutela del credito ha innescato il dibattito, tuttora in qualche misura aperto, sulle finalità del diritto ordinario [7].
Tuttavia, che il diritto comune realizzi la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore insolvente è corollario sistematico e applicativo del diritto generale, i cui principi si trovano affermati, e niente affatto derogati, nel diritto speciale [8].
Inoltre, che finalità del diritto comune della crisi d’impresa sia la tutela del credito traspare, per contrasto, dalle discipline amministrative della crisi le quali si giustificano per assicurare protezione a interessi trascurati nel diritto comune: e riassumibili, per diffusa opinione, nell’interesse pubblico alla estinzione dell’ente per la liquidazione coatta [9] e nell’interesse collettivo nella salvaguardia dell’attività produttiva e dei livelli occupazionali  per la amministrazione straordinaria [10].
Per questi ordini di scopi, le procedure amministrative sono strutturate intorno alla relativa compressione dei diritti dei creditori a vantaggio della migliore emersione di istanze configgenti e ritenute prevalenti. Trattandosi di procedure ampiamente condizionate da valutazioni di carattere economico-sociale, per le quali il giudice è forse privo di competenza ed è inoltre ritenuto sfornito di legittimazione, esse sono sottratte alla gestione giudiziaria e affidate alla gestione amministrativa [11].

3. – La riduzione assiologica degli interessi coinvolti nella crisi d’impresa determinata dalla tutela pressoché esclusiva del credito nel diritto ordinario – e dunque la considerazione di ogni interesse e di ogni posizione coinvolta nella crisi esclusivamente nello spettro della tutela del credito [12] – non ha mai sollevato problemi in punto di frizione con prevalenti interessi pubblici (riferibili, come si usa dire, allo Stato-persona). Infatti alla protezione di tali interessi sono classicamente deputate le discipline sulla liquidazione coatta amministrativa [13], peraltro nemmeno costruite sull’insolvenza come presupposto necessario (rilevando anche altri presupposti, e così l’irregolarità gestoria dell’ente).
Invece, per le imprese non connesse con l’attività del pubblico potere secondo lo speciale vincolo che legittima le procedure di liquidazione coatta, il presupposto oggettivo torna a essere costituito dall’insolvenza dell’imprenditore; tende perciò a riaffermarsi nella sua esclusività la tutela del credito.
La ritenuta insufficienza di una simile prospettiva rispetto alla crisi dell’impresa grande o grandissima ha determinato negli ultimi decenni – e a partire dalla crisi economica degli anni Settanta – le legislazioni sull’amministrazione straordinaria: sensibili alla protezione del vasto e poliedrico ordine di interessi (riferibili allo Stato-comunità) connessi alla conservazione dell’impresa [14] e volte a consentirne l’affermazione anche in pregiudizio dei creditori [15].
La differenza tra amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa dipende dalla diversità degli obbiettivi della conservazione dell’impresa e della estinzione dell’ente deputato all’attività [16]. La distanza tra amministrazione straordinaria e diritto ordinario della crisi d’impresa è invece misurata dal conflitto che usualmente si instaura tra esigenze conservative dell’impresa e piena tutela degli interessi dei creditori: realizzabile quest’ultima non solo conservando l’impresa ma anche – e spesso in maniera più efficiente – liquidando il patrimonio [17].
Sotto quest’ultimo profilo il dibattito dottrinale non appare del tutto sopito. Si è autorevolmente escluso che la conservazione dell’attività possa configgere con l’interesse dei creditori, giacché la prosecuzione dell’impresa non potrebbe autorizzarsi in pregiudizio di coloro alla soddisfazione dei quali sarebbe esitalmente indirizzata la procedura concorsuale [18]. Si discute inoltre sui rapporti tra interessi pubblici e privati, ravvisando l’affermazione dei primi nella apertura della procedura mentre l’affermazione dei secondi sarebbe nello svolgimento della stessa, quale procedura concorsuale finalizzata alla sistemazione dell’insolvenza; proprio il carattere concorsuale dimostrerebbe inoltre che non i primi ma i secondi interessi sono effettivamente prevalenti [19].
Per questo ordine di idee, la conservazione dell’impresa sarebbe legittimata solo in quanto strumentale alla soddisfazione dei creditori o per lo meno a questa non pregiudizievole. Va però osservato che, a differenza di altre legislazioni chiare sul punto, nessuna norma del diritto settoriale prevede un tale rapporto strumentale tra conservazione dell’impresa e soddisfacimento dei creditori [20]; così come, e a differenza del diritto ordinario della crisi d’impresa, non si rinvengono disposizioni che inibiscano la prosecuzione dell’attività in pregiudizio dei creditori [21].
La considerazione olistica del diritto ordinario e del diritto amministrativo avverte, in definitiva, sulla diversa gerarchizzazione degli interessi nelle due branche, le quali si legittimano reciprocamente proprio per tali differenze, che poste in evidenza consentono la armonica sistematizzazione dell’intero diritto della crisi d’impresa [22].

4. – La riforma del diritto comune della crisi d’impresa conclusasi nel 2007 con il c.d. ‘decreto correttivo’ si è svolta, come si usa dire, all’insegna della ‘privatizzazione’ [23].
Il nucleo concettuale riposto nel termine (e sul quale può conquistarsi una concordia di opinioni) è nel superamento, anche in questo settore del diritto patrimoniale, della vecchia regola pubblicistica di stampo corporativo – e con essa dell’idea del governo statuale della crisi d’impresa –  a vantaggio della regola di diritto privato.
Nel significato minimo (e tecnico) ‘privatizzazione’ descrive pertanto il movimento di riconduzione del diritto della crisi d’impresa nell’ambito suo proprio e originario: il diritto privato.
Prova eloquente di questa dinamica è nelle ‘soluzioni negoziali’ della crisi d’impresa. Sia le fattispecie semplicemente presupposte dal legislatore (come gli accordi stragiudiziali) sia quelle disciplinate per accenni (come i piani attestati) sia quelle tradizionali e profondamente rivisitate (come i concordati) sia, infine, quelle nuove (come gli accordi di ristrutturazione) si declinano oggi secondo due paradigmi costitutivi del diritto patrimoniale: il contratto e la deliberazione.
Si tratta di paradigmi nuovissimi (rispettivamente, per previsione e per conformazione) per il diritto concorsuale italiano del secolo scorso ma, come pure testimoniano storicamente gli abrogati codici di commercio, costitutivi del diritto privato.
Il paradigma contrattuale era in precedenza del tutto assente. Nel vigore delle vecchie regole la soluzione consensuale della crisi d’impresa si conduceva a prescindere da previsioni legali, dedicate esclusivamente alle procedure concorsuali. Le quali, in quanto ‘procedure’, manifestavano una natura diversa da quella contrattuale. L’accordo sulla crisi, conseguito al di fuori di procedure concorsuali, era qualificato ‘stragiudiziale’: e l’aggettivo, sottolineando una estraneità, rimarcava pure lo statuto inferiore (e la dubbia legittimazione) di queste pratiche rispetto alle soluzioni procedurali. Nella nuova legge gli accordi hanno piena legittimazione, e in caso di insuccesso possono essere esentati dall’azione revocatoria. Per di più, degli accordi che soddisfino determinati presupposti può essere richiesta l’omologazione; ed è chiaro che il deposito dell’accordo in tribunale ne assicura la piena legittimazione anche nel mondo delle ‘procedure’.
A differenza del paradigma contrattuale, il paradigma deliberativo non integra una novità assoluta. Particolarmente innovativa è però la conformazione che esso assume. Secondo le disposizioni abrogate, l’approvazione del concordato preventivo da parte dei creditori costituiva uno dei fattori necessari al successo della procedura; ma, di tutti quanti, non era certo il prevalente. Perché i creditori potessero deliberare, era necessario che il debitore fosse ammesso dal tribunale alla procedura. Il giudizio sull’ammissione era condizionato da valutazioni di ‘meritevolezza’ condotte sulla figura del debitore; e da valutazioni di merito espresse sul contenuto della proposta. Inoltre, l’approvazione del concordato poteva essere vanificata in sede di omologazione: dal giudizio del tribunale sulla non convenienza della proposta. Disposizioni similari governavano il concordato fallimentare.
Le regole in vigore restituiscono ai creditori il pieno potere determinativo sulla domanda di concordato. Al giudice è attribuito il compito di assicurare la legalità della procedura; il controllo si arresta dunque su profili di legittimità, e non invade il merito della proposta. In fase di omologazione, il giudizio sulla convenienza è esperibile soltanto nel caso di opposizione spiegata dal creditore dissenziente appartenente a classe dissenziente; dunque, proprio come impone il principio dispositivo, su istanza di parte [24]. Disciplina similare vale per il concordato fallimentare, nel quale si segnala, inoltre, l’apertura della legittimazione attiva a ogni interessato.
Accordi sulla crisi d’impresa e concordati recano una matrice accomunante, data dall’essere gli uni e gli altri manifestazioni di autonomia negoziale del debitore e dei creditori. È per questo che le espressioni di sintesi finora adoperate per coniugare accordi sulla crisi d’impresa e concordati sono incentrate sul concetto di ‘soluzione della crisi d’impresa’ attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale. Si discorre infatti di ‘soluzioni negoziate’ oppure ‘concordate’ della crisi d’impresa [25].
Per un guadagno in precisione terminologica occorrerebbe tuttavia accantonare ogni locuzione empirica e atecnica, come pure si mostra essere quella su (generiche) ‘soluzioni negoziali’.
Potrebbe allora discorrersi di ‘diritto negoziale della crisi d’impresa’.
In questa espressione, l’aggettivo ‘negoziale’ descrive uno specifico settore del diritto rilevante: discriminato non solo in positivo (per l’aggregazione dei fattori negoziali costituiti da accordi e concordati) ma anche in negativo (per esservi estranea la procedura di fallimento) [26].

5. – Contratto e deliberazione sono metodi di composizione degli interessi in conflitto non preordinabili negli esiti finali. Scopo del contratto, e pure della deliberazione, è infatti la definizione di un assetto di interessi tutelabile dal diritto. Qualsiasi assetto di interessi tutelabile dal diritto può essere dedotto in contratto o offerto alla deliberazione. Trattare la crisi d’impresa con il metodo dell’autonomia negoziale significa non poter indirizzare la soluzione verso un esito prestabilito.
Debitore e creditori potranno determinarsi allo stesso modo per la conservazione dell’attività, per la sua cessione o per la liquidazione del patrimonio. Quindi, l’antica e non sopita aspirazione alla conservazione dell’impresa in crisi costituisce in realtà solo uno degli esiti possibili,e in nessun caso l’esito aprioristicamente privilegiato.
Mentre nella versione precedente alla riforma il sistema fallimentare mirava alla liquidazione del patrimonio ed era a volte forzato dagli interpreti nella opposta direzione della conservazione dell’attività [27], invece la nuova legge mira semplicemente ad assecondare la soluzione che nel caso concreto si riveli economicamente più efficiente: imponendo la liquidazione nel fallimento; lasciando ai protagonisti della relazione economica (debitore e creditori) la scelta tra liquidazione e conservazione nelle soluzioni negoziali.
Per queste attuali modalità di tutela del credito – utili alla selezione delle imprese in crisi sul mercato – può concludersi che il diritto negoziale della crisi d’impresa si caratterizza per la neutralità rispetto agli scopi strumentali. Essenziale è risolvere la crisi d’impresa; rimane invece libera la via da prescegliersi. Conservazione o liquidazione si imporranno non secondo gerarchie valoriali prestabilite, ma per criterio di convenienza.

6. – Per questa caratteristica costitutiva, il diritto negoziale si mostra alquanto incompatibile con il governo della crisi d’impresa attraverso procedure amministrative.
In primo luogo, per le finalità assegnate: riassumibili nella efficiente composizione del debito piuttosto che nella conservazione dell’impresa.
In secondo luogo, per lo strumento attribuito: l’esercizio della autonomia negoziale e la valorizzazione, attraverso di esso, dell’interessi dei creditori piuttosto che dell’interesse generale connesso con la conservazione dell’impresa.
Sotto il primo aspetto, va tuttavia osservato che tra gli scopi assegnati alle procedure amministrative vi è anche la tutela del credito. L’incompatibilità appare perciò essere non assoluta ma relativa: e dipendente nella esatta misura dal grado di conciliabilità, nel caso che si presenta, tra salvaguardia dell’interesse primariamente tutelato e protezione del subordinato interesse dei creditori.
Sotto il secondo aspetto, invece, l’incompatibilità si mostra più netta: contrapponendosi la scelta dei creditori alla realizzazione del pubblico potere. Il pieno esercizio della potestà amministrativa presuppone in effetti una rilevante compressione dell’ambito di  autodeterminazione riconosciuto ai creditori (il quale, inopportunamente esteso, funzionerebbe da ostacolo).
Poiché l’autodeterminazione dei creditori si manifesta nelle forme dell’esercizio della autonomia negoziale, a dover essere contenuto è proprio l’essenziale fattore costitutivo del diritto dei privati [28].

7. – Se la tutela del credito non configge necessariamente con la realizzazione di interessi primari, deve concludersi che residua pur sempre un variabile ambito di protezione dell’interesse dei creditori.
È tuttavia difficile che la tutela del credito possa affermarsi per esercizio di autonomia negoziale dei creditori, essendo questo esercizio insensibile alle ragioni conservative dell’impresa [29].
È sembrata allora preferibile la scelta della eterotutela: della tutela del credito affidata non all’interessato (che la realizza esercitando l’autonomia negoziale) ma alla autorità amministrativa, che ne calibrerà la misura concreta in considerazione degli interessi prevalenti; e giudiziaria, alla quale è riservata la decisione finale, per l’esclusiva competenza costituzionale che essa ha a decidere sul credito [30].
Appare nondimeno incontestabile che un parziale recupero della autodeterminazione dei creditori è possibile nei limiti in cui non contraddica alla affermazione del diverso interesse prevalente sulla tutela del credito.
A escludere in radice una simile contraddizione è efficace il preventivo vaglio affidato alla autorità amministrativa. Qualora dunque un assetto compositivo sia giudicato compatibile con gli interessi prevalenti dalla autorità che ha il compito di imporne il rispetto sovrintendendo alla procedura, l’esercizio di autonomia può essere autorizzato.
Questa forma di autonomia negoziale ‘autorizzata’ può esser riconosciuta a due categorie di soggetti: coloro che possono presentare una proposta compositiva e coloro che, quali creditori, possono approvare o respingere la stessa.
Il riconoscimento ai primi non implica il riconoscimento ai secondi.
Infatti, la libertà di formulare una proposta non impone che sulla stessa si pronunci il ceto creditorio, potendo provvedere l’autorità preposta alla procedura, sempre in affermazione degli interessi tutelati. In tali casi il vaglio è preventivo, e assume forma di autorizzazione (dovendosi rimettere – come accennato – la decisione finale alla autorità giudiziaria). Ai creditori può essere invece riconosciuto un mero potere di opposizione alla approvazione (il quale, se restituisce parzialmente voce ai creditori, non costituisce esercizio dell’autonomia negoziale ma della difesa dei diritti in giudizio) [31].
Allo stesso modo, il riconoscimento della autonomia negoziale ai proponenti non esclude tale riconoscimento anche ai creditori.
Anzi, alla libertà di formulare una proposta – previa autorizzazione amministrativa concessa in ragione della compatibilità di tale proposta con gli interessi di prevalente affermazione – dovrebbe simmetricamente contrapporsi la possibilità che sulla stessa si pronunci il ceto creditorio.

8. – Per la rischiarata insussistenza di stringenti condizionamenti logici nell’assemblaggio degli elementi costitutivi del potere di proposta e del potere di approvazione, le discipline del concordato nelle procedure amministrative si presentano in una varietà di soluzioni.
Circa la liquidazione coatta amministrativa, le regole generali – a cui si limitano queste osservazioni – espresse dalle disposizioni della legge fallimentare riformata prevedono un particolare schema concordatario, parzialmente costruito sulle regole procedurali del concordato fallimentare (cfr. art. 214 s. l.f.). Il potere di presentare una proposta è attribuito all’impresa in liquidazione, a uno o più creditori e a qualsiasi terzo interessato. Tali soggetti devono essere autorizzati al deposito della proposta concordataria in tribunale dalla autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione (e che provvede su parere del commissario liquidatore e sentito il comitato di sorveglianza). La proposta è comunicata ai creditori, che possono opporsi alla omologazione del concordato.
Il d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 sulla amministrazione straordinaria c.d. ‘comune’ prevede una soluzione concordataria assimilabile alla precedente (cfr. artt. 78 s.). Il potere di presentare una proposta è attribuito all’imprenditore dichiarato insolvente e a qualsiasi terzo interessato. Tali soggetti devono essere autorizzati al deposito della proposta concordataria in tribunale dal ministero dello sviluppo economico (che provvede su parere del commissario straordinario e sentito il comitato di sorveglianza). La proposta è comunicata ai creditori che possono opporsi alla omologazione del concordato secondo lo schema precedentemente illustrato.
In entrambi i casi, poiché non è prevista la fase di approvazione della proposta per deliberazione dei creditori, il concordato ha natura coattiva: se costituisce espressione di autonomia privata del proponente non costituisce espressione di autonomia dei creditori. Quest’ultimo carattere è decisivo per la ricostruzione sistematica degli istituti, i quali appaiono ontologicamente diversi dai concordati assoggettati a deliberazione.  Mentre questi sono approvati dai creditori, invece quelli sono in effetti approvati, per omologazione, dal tribunale.
Il d.l. 23 dicembre 2003 n. 347, conv. in l. 18 febbraio 2004, n. 39 sulla amministrazione straordinaria c.d. ‘speciale’, nella versione oggi in vigore prevede una diversa fattispecie concordataria (cfr. art. 4). L’iniziativa è riservata al commissario straordinario, il quale può proporre la soddisfazione dei creditori mediante concordato nel programma di ristrutturazione aziendale sottoposto alla autorizzazione del ministero. Il concordato è inoltre presentato ai creditori che ne deliberano l’approvazione a maggioranza. È infine soggetto al sindacato del tribunale, che provvede a sua volta alla approvazione con sentenza (decise le eventuali opposizioni).
Poiché è prevista la fase di approvazione della proposta per deliberazione dei creditori, il concordato manifesta un chiaro profilo negoziale. Tuttavia, se costituisce espressione di autonomia privata dei creditori, non costituisce espressione di autonomia dei proponenti. Infatti, la legittimazione è in primo luogo non generale (come accade nel concordato fallimentare e nei concordati amministrativi prima esaminati) ma riservata; ed è, in secondo luogo, esclusiva (non del debitore, come accade nel concordato preventivo ma) del commissario straordinario (il quale, nel potere di proposta non esplica nessuna autonomia negoziale quanto piuttosto un potere di gestione amministrativa).

9. – Qualche anno addietro un’attenta dottrina constatava che «la composizione negoziale della crisi dell’impresa è fenomeno vastissimo, presente in tutto il sistema delle procedure concorsuali», e rinveniva lo strumento operativo per l’esposta finalità nel concordato [32].
La riforma della legge fallimentare, e la legittimazione del diverso fenomeno dei contratti sulla crisi d’impresa nelle regole sui piani attestati di risanamento e sugli accordi di ristrutturazione dei debiti non solo ha dato conferma ulteriore a quella osservazione, ma ha anche consentito una più comprensiva considerazione della prassi giuridica in materia in modo da raccogliere nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresa anche le soluzioni effettivamente (non deliberative ma) contrattuali. Così da legittimare la proposta ricostruttiva – prima accennata – del ‘diritto negoziale della crisi d’impresa’.
Il disegno di legge sulla riforma organica delle procedure di amministrazione straordinaria è in istruttoria da oltre un anno. Negli ultimi mesi, presso il ministero per lo sviluppo economico è stata istituita una commissione tecnica a cui è affidato il compito di elaborare emendamenti al disegno di legge delega e poi di attuare la delega medesima.
L’indirizzo riformatore è nel segno della unificazione delle procedure, e dunque della eliminazione del doppio binario costituito dalla amministrazione straordinaria ‘comune’ e ‘speciale’ [33].
Questo indirizzo di politica del diritto, collocato nel più vasto contesto disegnato dalla riforma del diritto della crisi d’impresa, apre nuove prospettive al diritto negoziale.
L’unificazione delle procedure di amministrazione straordinaria può certamente avvenire sia privilegiando gli elementi negoziali sparsi nelle une e nelle altre sia privilegiando, all’opposto, soluzioni improntate alla compressione delle istanze negoziali e dei diritti dei creditori. Che tuttavia la prima opzione sia la più probabile emerge dalla osservazione degli interventi di riforma per come succedutisi nell’ultimo lustro. Il concordato nell’amministrazione straordinaria speciale – quale ultimo prodotto legislativo in materia – manifesta un carattere di negozialità ampiamente superiore al concordato nella procedura comune. Inoltre, appare significativo che la riforma del diritto ordinario dei concordati sia stata influenzata dalle scelte adottate in sede di disciplina della amministrazione straordinaria speciale. Così come appare condizionante la tendenza legislativa alla ‘privatizzazione’ del diritto della crisi d’impresa.
Resta da considerare la peculiare finalità delle procedure di amministrazione straordinaria: la conservazione, in qualsiasi forma utile, dell’attività di impresa. A questo finalismo soggiacciono interessi pur tutelati ma potenzialmente e anche concretamente configgenti: come l’interesse dei creditori alla massima soddisfazione possibile.
Poiché la negozialità si esplica nel dialogo tra debitore e creditori teso alla composizione del debito, e poiché il finalismo negoziale è neutro, prescegliendosi di volta in volta dalle parti dell’accordo o del concordato l’opzione funzionale alla migliore composizione del debito (non necessariamente ristrutturazione, ma anche liquidazione), l’autonomia privata nei contratti e nei concordati sulla crisi della grande impresa (come tale assoggettata a amministrazione straordinaria) si presta a subire un inevitabile condizionamento di carattere pubblicistico: presentandosi preliminarmente e necessariamente come autonomia autorizzata.

10. – Una rilevante novità del disegno di legge sulla amministrazione straordinaria è nel principio  direttivo sugli accordi di ristrutturazione dei debiti. Si dispone infatti – all’art. 1 lett. i) – una regolamentazione di tali accordi i quali, se organizzati anche con il ricorso a risorse pubbliche [34], devono essere approvati dall’autorità amministrativa (oltre che omologati del tribunale).
La menzione degli accordi anche nel contesto dell’amministrazione straordinaria ne rafforza la legittimità quale generale strumento di gestione della crisi d’impresa.
La previsione della approvazione ministeriale per gli accordi stipulati con risorse pubbliche armonizza l’aprioristica libertà di contratto con il finalismo di sistema, che nel particolare contesto della crisi della grande impresa l’accordo è chiamato ad assecondare. Pertanto, ove l’accordo non attuasse un piano aziendale volto alla conservazione dell’attività economica, ma mirasse a realizzare un programma di liquidazione patrimoniale, esso non potrebbe giovarsi del sostegno pubblico, e il ministero dovrebbe negare l’autorizzazione.
Al contratto sulla crisi d’impresa è dunque riconosciuta funzione gestoria della crisi; l’ampio ventaglio di obbiettivi astrattamente a disposizione è sottolineato dalla necessità della approvazione ministeriale di un accordo organizzato anche sulla base di risorse pubbliche.
Resta irrisolta, de iure condendo, la questione dell’accordo di liquidazione realizzato senza richiesta di sussidio pubblico.
Allo stato, è indubitabile che la grande impresa in crisi possa realizzare contrattualmente piani aziendali dal più vario contenuto, e dunque anche orientati verso obbiettivi diversi e configgenti con la conservazione dell’organizzazione produttiva [35].
Nella prospettiva della riforma, va discusso se tale assetto del diritto rilevante si mostri sufficientemente compatibile con i generali interessi di sistema compresi quelli promossi nelle leggi sulla amministrazione straordinaria: giacché, sotto tale profilo, appare evidente che rimettere all’impresa in crisi la preferenza dello strumento gestorio equivale a consegnare a uno solo dei protagonisti della crisi d’impresa la scelta decisiva sulle possibilità concrete della piena tutela di tutti gli interessi in gioco, non ultimo l’interesse alla conservazione dei livelli occupazionali.  Il che, mentre non appare discutibile nel caso in cui l’imprenditore versi in stato di temporanea difficoltà ad adempiere o in preinsolvenza, appare viceversa ampiamente discutibile nel caso in cui l’imprenditore sia già divenuto insolvente.

11. – La questione ora abbozzata non è nuova, per essere già nota quale aspetto del diverso problema dei rapporti tra amministrazione straordinaria e procedure concorsuali diverse dal fallimento: e, specialmente, tra amministrazione straordinaria e concordato preventivo.
L’art. 3 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 fissa il primato dell’amministrazione straordinaria sul fallimento disponendo che il tribunale, verificata la sussistenza dei requisiti dimensionali per l’ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, dichiari in ogni caso lo stato di insolvenza, e ciò anche quando dovrebbe farsi luogo alla dichiarazione di fallimento dell’impresa vanamente ammessa alle procedure di amministrazione controllata e di concordato preventivo. Per il successivo art. 27, comma 1, l’impresa oggetto di dichiarazione di insolvenza accede alla procedura di amministrazione straordinaria qualora si presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico; altrimenti, prosegue l’art. 30, il tribunale dichiara con decreto motivato il fallimento [36].
Per questa regola, l’impresa che può accedere all’amministrazione straordinaria non può essere dichiarata fallita; deve al contrario essere assoggettata, anche d’ufficio, alla procedura di amministrazione straordinaria. Come è razionale, poiché quest’ultima procedura è predisposta per la tutela di interessi diversi e prevalenti rispetto al credito, che invece costituisce oggetto esclusivo di tutela nel fallimento.
Tuttavia, sempre per questa regola – e nonostante ogni dubbio sedimentatosi in materia nel vigore della precedente disciplina [37] – mentre non può ottenersi il fallimento dell’impresa che può accedere all’amministrazione straordinaria, invece la grande impresa in crisi può certamente essere ammessa al concordato preventivo [38].
Il che non appare altrettanto consequenziale, giacché anche la procedura di concordato preventivo, come il fallimento, è finalizzata alla tutela del credito; pertanto, non sembrano porsi esigenze diverse da quelle che determinano il rapporto tra amministrazione straordinaria e fallimento [39].
Nella relazione illustrativa (sub 3.1.) la scelta è motivata secondo questi passaggi argomentativi: i) poiché l’ammissione al concordato non realizza l’effetto di spossessamento proprio del fallimento e dell’amministrazione straordinaria, un immediato parallelismo tra queste procedure – traducentesi in un più severo trattamento per l’impresa di grandi dimensioni rispetto alla impresa di dimensioni più ridotte – non sarebbe giustificato; ii) inoltre, il concordato preventivo con garanzia, per essere compatibile con la finalità conservativa, vale come via ‘privatistica’ alla ristrutturazione, alternativa alla via ‘pubblicistica’ data dall’amministrazione straordinaria; iii) il concordato preventivo con cessione dei beni, per l’evidente carattere liquidatorio, non presenta un finalismo altrettanto compatibile; tuttavia, escluderne la fruizione potrebbe risultare irrazionale laddove si rifletta che la dichiarazione di insolvenza (a tal punto alternativa alla ammissione al concordato preventivo) non garantirebbe l’accesso alla procedura di amministrazione straordinaria, richiedendosi anche una prognosi favorevole sul risanamento economico [40].
Si tratta di argomenti non decisivi.
Il primo, perché prova troppo: se la dimensione dell’impresa non giustificherebbe diversità di trattamento tra grandi e piccole imprese, resta ingiustificata per necessità logica anche la procedura di amministrazione straordinaria, che proprio alle grandi imprese, e con esclusione delle piccole, è rivolta.
Il secondo e il terzo argomento, perché evidenziando come l’incompatibilità funzionale tra concordato preventivo e amministrazione straordinaria sia non assoluta – come accade nel rapporto tra la seconda e il fallimento – ma relativa, portano a concludere che mentre il concordato preventivo è compatibile con l’amministrazione straordinaria quando risulta orientato al recupero dell’equilibrio economico (perciò perseguibile anche ‘privatisticamente’), invece quando risulta orientato alla liquidazione si mostra incompatibile con l’amministrazione straordinaria. Dunque, in tale secondo caso, la scelta concordataria potrebbe essere inibita: e lo dovrebbe quando risultasse effettuata da una impresa suscettibile di essere ammessa alla amministrazione straordinaria: ossia non solo in possesso dei requisiti dimensionali ma anche oggetto di una prognosi favorevole sulle possibilità di superamento della crisi.
Né varrebbe obbiettare che tale ultima caratteristica non sarebbe immediatamente accertabile: infatti ciò non è connaturato alla procedura ma si verifica nell’attuale (ed eventuale) struttura bifasica della stessa, permanente solo nella amministrazione straordinaria ‘comune’ e in via di superamento nella prospettiva di riforma [41].
La dimensione sociale del problema suscitato dalla normativa vigente è emblematicamente dimostrata dalla vicenda in cui i lavoratori subordinati della società istante per il concordato preventivo richiesero, senza ottenerla, la dichiarazione di insolvenza preliminare all’ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria [42].
Vi è poi da aggiungere che il problema è certamente destinato ad aggravarsi in ragione dell’intervenuta riforma del concordato preventivo e della sopravvenuta atipicità contenutistica della relativa domanda. L’esperienza sedimentatasi nell’ultimo biennio dimostra che, come in passato, la maggioranza delle domande di concordato preventivo ha ad oggetto non il recupero dell’attività ma la liquidazione del patrimonio; inoltre, la quasi totalità delle domande offre in soddisfazione dei creditori pagamenti o beni o utilità sufficienti a coprire solo un modesta percentuale del credito chirografario, ben inferiore alla soglia previgente del quaranta per cento. Dunque, l’ambito operativo del concordato preventivo sembra destinato ad ampliarsi in modo inversamente proporzionale all’ambito riservato all’amministrazione straordinaria [43].
Nella prospettiva della riforma, una possibile soluzione potrebbe individuarsi nella soggezione della domanda di concordato preventivo – presentata dall’impresa in possesso dei requisiti per l’ammissione alla amministrazione straordinaria – alla approvazione ministeriale.
L’approvazione potrebbe essere decisa in base alla tipologia di concordato e alle concrete prospettive di recupero dell’attività (così da autorizzarsi non soltanto i concordati di risanamento o di cessione a terzi dell’azienda ma anche i concordati con cessione dei beni presentati da imprese in assenza di ragionevoli prospettive di recupero).
La importante limitazione alla libertà negoziale dell’impresa e dei suoi creditori che ne deriverebbe non dovrebbe sollevare dispetto: mostrandosi assolutamente conseguente alla presenza, nell’ordinamento positivo, della procedura di amministrazione straordinaria.
Cosicché, sotto il profilo culturale, quella limitazione di libertà svolgerebbe semplicemente l’importante servizio di segnalare la specificità tecnica e politica della scelta per l’amministrazione straordinaria, quale opzione assiologica attualmente presente e sufficientemente condivisa ma sempre suscettibile di critica e ripensamento [44].

12. – Si è accennato che il concordato nella amministrazione straordinaria assume una duplice e incompatibile conformazione. Con riguardo alla autonomia del proponente, essa è affermata nella disciplina comune  (nella quale la legittimazione è attribuita a ogni interessato) ed è invece negata nella disciplina speciale (nella quale la legittimazione è riservata al commissario straordinario). Con riguardo alla autonomia dei creditori, essa è negata nella versione ‘coattiva’ propria della disciplina comune ed è invece affermata nella versione ‘deliberativa’ propria della disciplina speciale.
Nella prospettiva della riforma, e secondo il metodo della unificazione delle leggi, si pone il problema della soluzione da prescegliere. In astratto, si apprezzano quattro possibilità:

i) legittimazione generalizzata alla proposta ed esclusione della deliberazione dei creditori (modello dell’intervento del 1999);
ii) legittimazione esclusiva del commissario straordinario e deliberazione dei creditori (modello dell’intervento del 2004);
iii) legittimazione generalizzata alla proposta e deliberazione dei creditori;
iv) legittimazione esclusiva del commissario straordinario ed esclusione della deliberazione dei creditori.

Si è ricordato più volte come le vicende legislative degli ultimi cinque anni, inaugurate proprio dalla legge sulla amministrazione straordinaria speciale, si sono svolte nel segno di una coerente valorizzazione della autonomia privata non solo nelle procedure concorsuali ma, più in generale, nell’intero diritto della crisi d’impresa. Il fenomeno, divulgato nei termini approssimativi della ‘privatizzazione’ delle procedure concorsuali, si riassume nella valorizzazione dell’autonomia privata quale strumento appropriato (perché costitutivo della relazione di mercato) per la soluzione del conflitto debitore-creditori, e dunque anche per il superamento della crisi d’impresa.
È adesso importante annotare come la ‘privatizzazione’ non conformi le finalità di sistema: anche nella precedente versione la c.d. legge fallimentare era deputata alla tutela dell’interesse creditorio.  L’obbiettivo era però ampiamente affidato alla eterotutela giudiziaria di quell’interesse: deciso non tanto dai creditori  a maggioranza quanto dal tribunale in solitudine [45].
Ciò che la ‘privatizzazione’ realizza è la sostituzione della eterotutela con l’autotutela dell’interesse creditorio. La quale autotutela si esplica nell’esercizio dell’autonomia privata consistente nel voto sulla proposta concordataria approvata a maggioranza e insuscettibile, in tali limiti, di nuova e indipendente valutazione da parte del tribunale [46].
La corrispondenza di una simile scelta alla sensibilità liberale che informa non soltanto l’ordinamento interno ma anche l’ordinamento comunitario ne assicura lo stabile successo.
È facile previsione, pertanto, che delle quattro modalità possibili si realizzi quella schematizzata sub iii).
Allo stesso modo, è facile prevedere che il modello disciplinare del momento deliberativo sarà costituito dal concordato fallimentare. La attuale disciplina dell’istituto è stata influenzata dalla riforma del concordato preventivo avvenuta nel 2005. Quest’ultima era stata a sua volta influenzata dalla legge sulla amministrazione straordinaria del 2004. Dunque, il processo di riforma trasse origine proprio dal settore del diritto rilevante in cui si tratta di intervenire di nuovo e che pertanto appare plausibilmente riformabile sulla scorta degli esiti disciplinari inizialmente originatisi proprio in tema di amministrazione straordinaria [47].
Il modello della legittimazione generalizzata alla proposta concordataria (dietro l’esperienza della amministrazione straordinaria comune) e della approvazione del concordato per deliberazione maggioritaria dei creditori (dietro l’esperienza della amministrazione straordinaria speciale) presuppone pur sempre la preliminare autorizzazione amministrativa della proposta, necessaria ad assicurare la compatibilità della stessa con gli interessi primariamente tutelati per mezzo della procedura concorsuale amministrativa.
Ciononostante, la soluzione normativa prospettata realizzerebbe egualmente un ampio riconoscimento del diritto negoziale nella nuova legge sulla amministrazione straordinaria, sancendo il superamento definitivo della opaca soluzione della eterotutela amministrativa e giudiziaria dell’interesse creditorio.
Non appare superfluo avvertire che tale ampio riconoscimento, attenuando in qualche misura la vistosa peculiarità di un concorso finalizzato (non al soddisfacimento dei creditori quanto, e soprattutto) alla conservazione dell’impresa, può facilitare un più armonico inserimento della procedura di amministrazione straordinaria nel sistema generale del diritto della crisi d’impresa.

13. – Si è posto in chiaro come i limiti razionali e operativi della modalità negoziale nella amministrazione straordinaria siano dipendenti dalla scelta ordinamentale di apprestare tutela, in occasione della crisi della grande impresa, a interessi e valori ulteriori e anche incompatibili rispetto al credito.
Nondimeno, un apposito principio direttivo [48] è dedicato alla previsione di adeguate forme di tutela di creditori e di terzi, compatibili con le esigenze di celerità della procedura.
L’apparente contraddizione svanisce considerando che la limitazione della modalità negoziale non è corrispondente, per necessità logica, alla compressione della tutela dell’interesse creditorio. La prima è infatti meramente strumentale all’affermazione del secondo. Pertanto, la limitazione dell’autonomia non determina necessariamente una corrispondente compressione della tutela. Ciò accadrebbe se essa fosse modalità esclusiva, ma non anche se essa fosse – come è nel caso della amministrazione straordinaria – una tra le possibili modalità.
Proprio su questa base è stato possibile sostenere che l’interesse creditorio trovi tutela primaria anche nella amministrazione straordinaria: nelle forme non della autotutela ma della eterotutela (amministrativa e giudiziaria).
Ma è facile denunciare il carattere finzionistico del ragionamento: giacché l’interesse patrimoniale dell’impresa difficilmente può ricevere effettiva tutela a prescindere dalla attivazione in tal senso dell’impresa stessa, quale portatrice dell’interesse asseritamene protetto.
Dovrebbe allora ammettersi che un’adeguata forma di tutela dell’interesse dei creditori in un contesto che ne prevede la compressione e il relativo sacrificio (a vantaggio di altri interessi preferiti) è ravvisabile soprattutto nel rigore con cui la legge futura disegnerà le modalità attuative degli obbiettivi di sistema.
In altri termini, in un simile contesto la migliore tutela dell’interesse dei creditori coincide, in ampia misura,  con la giustificazione obbiettiva della sua compressione (e del suo sacrificio); e dunque con il perseguimento effettivo degli interessi promossi dalla legge quale condizione di legittimazione del sacrificio del credito.
Le modalità attuative degli interessi preferiti, sintetizzati nell’obbiettivo finale della conservazione dell’impresa (attraverso operazioni semplici o composte di ristrutturazione, cessione e affitto del patrimonio aziendale), si individuano nei contenuti e nelle finalità del programma  approvato dal ministero e nel tempo massimo per la realizzazione dello stesso.
Maggiore sarà il rigore della legge sui contenuti del programma (che dovrebbero strettamente attenersi all’obbiettivo conservativo, costituendone diretta modalità realizzativa) e sui termini concessi per la realizzazione del piano (che dovrebbero prevedersi in misura adeguata, ossia nella misura ragionevolmente necessaria alla realizzazione degli obbiettivi, e non in più ampia e ingiustificata misura), maggiore potrà dirsi la tutela dei creditori: certamente sacrificata alla realizzazione dell’interesse superiore, ma negli stretti limiti di ragionevolezza che impongono l’abbandono dello sterile tentativo e la conversione della amministrazione straordinaria in fallimento ogni qual volta al sacrificio dell’interesse creditorio non possa corrispondere una effettiva promozione degli interessi potenzialmente configgenti e connessi alla conservazione dell’organizzazione d’impresa.

Materiale collegato: Atto Camera n. 1741 (XVI Legislatura)

Note

1.  La prospettiva della riforma è giustificata dal disegno di legge AC n. 1741 recante «delega al governo per il riordino della legislazione in materia di gestione delle crisi aziendali» presentato il 2 ottobre 2008.

2.  Come sottolinea l’autorevole monito, ancor oggi pienamente condivisibile, di Oppo, Sistematica dell’amministrazione straordinaria e l. 1982, n. 119, in Riv. dir. civ., 1982, II, 480: «una riforma generale dei procedimenti concorsuali non passa attraverso l’amministrazione straordinaria nella sua caratterizzazione attuale».

3.  Nella tipica propensione sistematica del legislatore germanico, il §1 InsO dichiara che la finalità della procedura di insolvenza è il soddisfacimento concorsuale dei creditori: attuabile o attraverso la liquidazione patrimoniale o secondo la disciplina di un piano di insolvenza sulla conservazione dell’impresa. Come ricorda Kießner, in Insolvenzordnung (InsO), Kommentar herausgeben von Braun, München, 20073, 19 ss., nel progetto governativo le finalità della procedura si estendevano (oltre alla tutela degli interessi del debitore e della sua famiglia) alla protezione dei lavoratori. Tuttavia, e più in generale, l’iniziale aspirazione per un diritto del risanamento dell’impresa, nel quale la liquidazione ricoprisse un ruolo residuale, non ha trovato accoglimento nel legge il cui definitivo assetto è definito in una disposizione introduttiva non solo peculiare dell’ordinamento tedesco ma anche sfornita di precedenti.

4.  Cfr., per tutti, Bonelli, Del fallimento, I, Milano, 19232, 2, che individua nella liquidazione del patrimonio del debitore a favore dei creditori la finalità del fallimento.

5.  Cfr., esaustivamente, Andrioli, Fallimento, cit., 282 e, successivamente, Jorio, Le crisi d’impresa. Il fallimento, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2000, 5 ss.

6.  Cfr. Jorio, Fallimento (dir. priv. e proc.), in corso di pubblicazione su Enc. dir., Annali 2010, secondo cui il fallimento era e resta una procedura la cui funzione tipica è la liquidazione patrimoniale nell’esclusivo interesse dei creditori.

7.  Il quale dibattito, nella antinomia innescata dalla considerazione sintetica dell’interesse dei creditori e della salvaguardia dell’impresa, è risalente (Cfr., per tutti, i contributi di Andrioli, Pubblico e privato nel processo di fallimento, in Riv. it. sc. giur., 1967, 223; Caselli, La crisi aziendale, in Caselli e altri, L’azienda e il mercato, in Trattato Galgano, III, Padova, 1979, 635 ss.; d’Alessandro, Politica della crisi d’impresa: risanamento o liquidazione dell’azienda?, [1980] in Scritti di Floriano d’Alessandro, Milano, 1997, 751; Ag. Gambino, Tutela del debitore e dei creditori nelle procedure concorsuali conservative dell’impresa, in Giur. comm., 1982, 723; V. Greco, Il fallimento da esecuzione collettiva ad espropriazione dell’impresa, Milano, 1984). La discussione fu storicamente pervasa da profondi condizionamenti ideologici, emblematizzati nella proposta di strumentalizzare le procedure concorsuali in chiave di politica del diritto, e dunque secondo un ‘uso alternativo’ della risorsa giuridica la cui teoria e anche pratica erano in voga negli anni Settanta (Cfr., esaustivamente, Andrioli, Fallimento, cit., 282 e, successivamente, Jorio, Le crisi d’impresa. Il fallimento, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2000, 5 ss.). Tuttora, e nonostante il radicale cambiamento che ha investito la scena politica e sociale, il contrasto non può dirsi sopito: riproponendosi, sia pure in forme sfumate e problematiche, nelle articolate posizioni censibili in letteratura (Cfr., a titolo meramente esemplificativo, Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza. Il diritto fallimentare tra diritto ed economia, Bologna, 2006 34 ss.; Stanghellini, La crisi d’impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, 67 ss.; Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, I, Bologna, 20073, 253; nonché, in prospettiva comparata, di Flessner, La conservazione delle imprese attraverso il diritto fallimentare. Uno sguardo di diritto comparato, in Dir. fall., 2009, 1 ss.).

8.  Non si vuole contraddire agli avvisi secondo cui nelle discipline della crisi d’impresa la responsabilità patrimoniale assume connotazioni specifiche (la finalità conservativa non si esaurisce nella salvaguardia del patrimonio staticamente considerato ma interessa anche la gestione produttiva dello stesso: cfr. G. Ferri jr., Impresa in crisi e garanzia patrimoniale, in A.a.V.v., Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, 63 s.). Simili innegabili differenze non implicano, infatti, che la realizzazione della garanzia patrimoniale dei creditori si conformi diversamente nell’uno e nell’altro caso.

9.  Cfr., per tutti, Belviso, Tipologia e normativa della liquidazione coatta amministrativa, Napoli, 1973, 48 ss.

10.  Cfr., di recente, Farenga, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Milano, 2005, 3 ss.; e prima ancora Bonsignori, Processi concorsuali minori, in Trattato Galgano, Padova, 1997, 125, che scrive di come per la finalità conservativa l’amministrazione straordinaria si ponga in netto contrasto «con tutta la nostra secolare tradizione legislativa in materia di fallimento, che è di carattere spiccatamente liquidatorio, sul quale poi è stata modellata la liquidazione coatta amministrativa». Tra le indagini monografiche cfr. Piepoli, Interessi individuali e interessi collettivi nel risanamento della grande impresa, Milano, 1983, e, più in generale, Maisano, la tutela concorsuale dei creditori tra liquidazione e riassetto delle imprese in crisi, Milano, 1989, 6 ss.
In sintesi, può convenirsi che mentre fallimento, concordato preventivo e contratti sulla crisi d’impresa perseguono una finalità esecutivo-satisfattiva, invece la liquidazione coatta amministrativa persegue una finalità estintiva, e l’amministrazione straordinaria una finalità di conservazione dell’impresa (cfr. M. Sandulli, La crisi dell’impresa. Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 13 ss.).

11.  Cfr. Caselli, La crisi aziendale, cit., 643.

12.  Lo stesso lavoratore riceve tutela concorsuale ordinaria in quanto creditore: cfr., per tutti, d’Alessandro, Crisi dell’impresa e tutela dei lavoratori, [1974] in Scritti, cit., 736 ss.

13.  Anche la dottrina maggiormente restia ad ammettere, in tale procedura, la subordinazione dell’interesse dei creditori al superiore interesse pubblico (su cui cfr., chiaramente, De Martini, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, Milano, 1956, 26 ss.) annota come, nel concordato, il ruolo svolto dalla autorità amministrativa (su cui cfr. oltre) dimostra che interesse pubblico e interesse dei creditori non possono essere posti sullo stesso piano (così Bonsignori, Processi concorsuali minori, cit., 1997, 631).

14.  Per la qualificazione di tali interessi come di ordine pubblico, cfr. Guglielmucci, Una procedura concorsuale amministrativa sotto controllo giudiziario, in Fallimento, 2000, 133.

15.  Cfr. d’Alessandro, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: due anni di esperienze, [1981] in Scritti, cit., 786 s. che – con rinnovata attualità – polemizza con la scelta legislativa rilevando come la procedura, perseguendo sia la finalità di tutela del credito che la finalità di conservazione dell’impresa, sembrerebbe tesa verso obbiettivi contraddittori e non realizzabili contestualmente mentre in realtà l’obbiettivo avuto di mira sarebbe unico: la gestione della crisi della grande impresa «che poi […] diventa una gestione non della crisi ma dell’economia in generale, visto che l’economia è tutta in crisi».
La concreta esperienza della amministrazione straordinaria ha confermato come la compressione dell’interesse dei creditori antecedenti alla apertura della procedura sia stata gravissima, poiché l’antieconomica prosecuzione dell’attività commissariata ha favorito il lievitare incontrollato dei crediti prededucibili con conseguente erosione degli attivi (cfr., in generale, Paolucci, Imprese in crisi (amministrazione straordinaria), in Digesto disc. priv. sez. comm., VII, Torino, 1992, 210, e il censimento di Napoleoni, Finalità e filosofia della nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, in Bonfatti, Falcone (cur.), La riforma della amministrazione straordinaria, Roma, 2000, 26 ss.; da ultimo, v. Stanghellini, La crisi d’impresa fra diritto ed economia, cit., 346, che così liquida quell’esperienza: «in nome degli interessi dei lavoratori vennero tenute in vita, all’unica condizione i dipendenti fossero almeno 300, imprese decotte, che quasi sempre bruciarono ai danni dei creditori tutta la ricchezza residua»). Per la ricostruzione del problema cfr. Corapi, Creditori anteriori e creditori di massa nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Riv. dir. civ., 1982, I, 291.

16.  Cfr., per tutti, de Ferra, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1989, 385.

17.  Emblematica, sul punto, la normativa fallimentare. Essa si presenta esclusivamente come una disciplina della liquidazione, in cui l’attività gestoria si organizza e si svolge secondo un preciso programma, detto nell’art. 104 ter l.f. «di liquidazione» (per essere, invero, di recupero e poi di liquidazione dell’attivo: sia censito e inventariato che recuperato).

18.  Cfr. Oppo, Profilo sistematico dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Riv. dir. civ., 1981, I, 246 ss., a cui aderiscono, tra gli altri, Corapi, Creditori anteriori e creditori di massa nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, cit., 292 ss.; Lanfranchi, La natura liquidatorio-satisfattiva dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e le sentenze 22 maggio 1987 nn. 181 e 185 della Corste Costituzionale, in Riv. dir. civ., 1987, II, 610, nota 44.

19.  Cfr., tra gli altri, F. Vassalli, I casi di chiusura dell’amministrazione straordinaria, in Atti del Convegno Sisco del 27 novembre 1987 su L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi . Esperienze, riflessioni, prospettive, Milano, 1989, 125; Pacchi, Effetti dell’amministrazione straordinaria nei confronti dei creditori, in Bonfatti, Falcone (cur.), La riforma della amministrazione straordinaria, cit., 149 ss.

20.  Cfr. invece lo schema concettuale del ricordato § 1 InsO.

21.  Nel fallimento è possibile anche l’esercizio dell’impresa; ma tale esercizio è definito, nella legge stessa, «provvisorio»; ed è condizionato dalla tutela dell’interesse dei creditori. Come emerge chiaramente dall’art. 104 l.f. (ancora più eloquente sul punto del vecchio art. 90 l.f.), l’istituto è funzionale alla conservazione dell’impresa, ma compatibilmente con l’interesse dei creditori: il quale interesse si realizza compiutamente proprio nella liquidazione delle attività. La tutela di ogni altro e diverso interesse è provvisoriamente (precariamente) possibile purché – avverte la legge – l’esercizio dell’impresa nel fallimento non arrechi pregiudizio ai creditori e sempre che il comitato dei creditori non ravvisi opportuna la sua cessazione (cfr., per la perdurante attualità, lo studio di Rivolta, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Milano, 1969, spec. 135 ss.). Nemmeno l’introduzione nella legge riformata della figura dell’affitto di azienda (che pure intensifica la rilevanza dell’autonomia negoziale nel fallimento) incrina la vocazione liquidatoria della procedura: potendo disporsi l’affitto esclusivamente «al fine di una più proficua vendita» (cfr. art. 104 bis, comma 1, l.f.). Esercizio provvisorio e affitto di azienda (unitamente alla vendita di azienda disciplinata nell’art. 105 l.f.) si spiegano nella concezione, accolta nella legge, della conservazione dell’impresa (ma) a fini liquidatori e nell’interesse dei creditori (sempre per la perdurante attualità, v. l’ulteriore studio di Rivolta, L’affitto e la vendita dell’azienda nel fallimento, Milano, 1973, spec. 84 ss.) seppure, e beninteso, si tratti di nuova concezione, detta della liquidazione «conservativa» e «riallocativa» (cfr., Fimmanò, Art. 104 l.f., in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2006, 1576 ss.; Id., Art. 104 bis l.f., ivi, 1618 ss.).

22.  Plausibilmente edificabile, anziché attraverso i classici approcci riduzionistici, secondo la classificazione sistematica delle differenze. Nella teoria del diritto cfr., per questo avviso, Coleman, La pratica dei principi. In difesa di un approccio pragmatista alla teoria del diritto, (trad. it.) Bologna, 2006, 97 s., nota 4, secondo cui «una buona spiegazione può mostrare in che modo le varie parti dell’intero differiscano l’una dall’altra in modo sistematico o di principio, e in che modo il farlo contribuisca alla coerenza dell’intero».

23.  Per una proficua lettura introduttiva cfr. Rovelli, I nuovi aspetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria, in Fallimento, 2009, 1029 ss.; per le implicazioni sulla attività bancaria, A. Nigro, «Privatizzazione» delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in Guerrera e altri, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, Torino, 2007, 1 ss.

24.  Né deve essere trascurata la struttura della legittimazione alla opposizione: ristretta a un caso specifico, in modo da valorizzare al massimo la stabilità della deliberazione assunta a maggioranza (secondo una linea di intervento sulle legittimazioni all’impugnativa già sperimentata nella riforma del diritto societario).

25.  Il termine ‘soluzione’ indica funzionalmente il senso (la direzione semantica) dell’incontro concettuale tra autonomia negoziale e crisi d’impresa: quest’ultima è presentata come un problema accusato dall’impresa nel suo svolgersi; la dimensione del ‘problema’ giustifica l’approccio in termini di ‘soluzione’; il metodo perseguito per attingere al risultato è l’esercizio della autonomia negoziale. Ecco dunque, nell’uso recente, il riferimento alle soluzioni ‘negoziate’ o ‘concordate’. In realtà, l’autonomia negoziale si esplica, nell’ambito in esame, non solo nelle forme dell’accordo, ma anche nelle forme della deliberazione. Appare dunque alquanto criticabile l’uso dottrinale di discorrere di ‘soluzioni negoziate’, ossia di ‘soluzioni contrattuali’, escludendo (o alludendo all’esclusione) dall’insieme (de)i concordati preventivo e fallimentare (infatti e del resto concepiti esclusivamente come procedure concorsuali). Maggiormente appropriato è discorrere di ‘soluzioni negoziali’ della crisi d’impresa. Sul punto, interessanti notazioni in Stanghellini, La crisi d’impresa fra diritto ed economia, cit., 329 ss.

26.  Per la precisazione sull’uso del termine ‘negoziale’, si comprende come in questo lavoro non interessi discutere della attualità – peraltro ormai revocata in dubbio dai più – della categoria del ‘negozio giuridico’ quale sintesi concettuale di ogni ‘atto di volontà’ produttivo di effetti giuridici. In particolare, l’aggettivo non vuole certo suggerire un simile (improbabile) riduzionismo logico per i due istituti implicati dal diritto rilevante: ‘contratto’ e ‘deliberazione’. Invece, si propone di richiamarli entrambi per il contenuto di autonomia privata che ognuno di essi esplica costitutivamente. Lo stesso ha già fatto chi, pur combattendo la categoria negoziale, vi ha dedicato una opera impegnativa: sottolinenando nella premessa la sfiducia verso la sintesi concettuale veicolata dalla classica locuzione; preferendo pertanto alla sintesi l’analisi; e mostrando che, proprio in forza di quella, accanto alla usuale materia contrattuale può trovare spazio e ragione di essere trattata la (generalmente trascurata) materia della deliberazione (cfr. Galgano, Il negozio giuridico, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano, 20022, VII).

27.  Cfr. le osservazioni di Caselli, La crisi aziendale, cit., 624 ss.

28.  Cfr., nel passato, G. Minervini, Le misure per il risanamento delle grandi imprese in crisi, in Riv. soc., 1978, 1247 ss., secondo il quale riconoscere ruolo ai creditori avrebbe significato risolvere «tanto fumo pubblicistico in un arrosto capitalistico»; di recente, v. Fimmanò, Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I, 980.

29.  Cfr. anche le osservazioni di Corapi, Creditori anteriori e creditori di massa nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, cit., 293.

30.  Su questo presupposto di fondo è imperniata la tesi di Oppo, Profilo sistematico dell’amministrazione straordinaria, cit., sulla primaria tutela del credito – sia pure concorrente con la tutela dell’occupazione e delle strutture produttive – nella amministrazione straordinaria (cfr. infatti 247 ss., e 249: «la tutela dell’interesse dei creditori, come è nelle parole della legge, così deve realizzarsi non solo nei provvedimenti del ministro ma anche nella condotta del commissario»).

31.  Mentre la ‘approvazione’ si riferisce a un atto di terzi che necessita di condivisione, e che dunque è insufficiente all’effetto finale (al quale contribuisce infatti anche l’approvazione), invece la ‘opposizione’ presuppone, quale oggetto, un atto già perfetto e idoneo all’affetto finale, a cui si decide di resistere tendendo a ostacolarne il compimento o a impedirne l’efficacia. Di modo che mentre l’approvazione costituisce esercizio di autonomia negoziale, invece l’opposizione costituisce esercizio di un mero potere processuale sopra un atto da altri autonomamente formato.

32.  Cfr. Punzi, Le procedure di amministrazione straordinaria nel sistema delle procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, 273.

33.  L’art. 1, lett. a) del disegno di legge prevede la riunificazione della disciplina della crisi delle grandi imprese, oggi divisa nelle due leggi del 1999 e del 2004, in un solo atto normativo.

34.  Il riferimento è al fondo per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà di cui all’art. 11, comma 3, d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. l. 14.5.2005, n. 80.

35.  Parte della dottrina (così Piscitello, Piani di risanamento e posizione delle banche, in Guerrera e altri, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, cit., 112 s.), ritenendo sussistere una differenza ontologica tra piani attesti e accordi attestati afferma anche che mentre sono ammissibili accordi di liquidazione, invece piani di liquidazione sarebbero inammissibili. In realtà, il piano non costituisce istituto diverso dall’accordo, ma il mero fatto aziendale attuato per mezzo dell’accordo. Dunque, nessuna plausibile ragione porta a escludere l’ammissibilità di accordi di liquidazione, redatti o meno secondo la previsione dell’art. 182 bis l.f.

36.  Può non essere superfluo ricordare che nella disciplina previgente dettata dall’art. 1 d.l. 30 gennaio 1979, conv. in l. 3 aprile 1979, n. 95, l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, con esclusione della dichiarazione di fallimento, era determinata dal riscontro di requisiti esclusivamente dimensionali, a prescindere da valutazioni prognostiche sulle possibilità di risanamento. Fu immediata, in dottrina, la denuncia di incostituzionalità di una procedura che realizzava l’espropriazione senza indennizzo dei creditori antecedenti all’apertura del concorso (cfr. Schlesinger, Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Nuove leggi civ. comm., 1979, 750 ss.; Id., Imprese insolventi e credito bancario: considerazioni introduttive, in Fallimento, 1985, 243); mentre, sulla scia di altro avviso (Bonsignori, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1980, 58 ss.), la giurisprudenza ritenne manifestamente infondata la questione, valorizzando la natura pubblicistica degli interessi tutelati (cfr. Cass. 20 aprile 1985, n. 2619, in Dir. fall., 1985, II, 326). Come si legge nella relazione illustrativa al provvedimento del 1999 ( sub 1.2) la negativa esperienza applicativa consigliò per la riforma, e per l’introduzione della condizione di ammissione data dalla prognosi favorevole sul recupero dell’equilibrio economico (cfr. anche Napoleoni, Finalità e filosofia della nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, cit., 30 ss.).

37.  Sul che cfr. F. Vassalli, Castiello D’Antonio, Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi, in Enc. giur., Roma, 1996.

38.  Cfr. Trib. Milano 13 marzo 2003, in Galioto, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Milano, 2003, 192; Trib. Biella, 21 luglio 2004, in Giur. comm., 2006, II, 551; per una posizione critica, cfr. Castiello D’Antonio, Coordinamento dell’amministrazione straordinaria con le altre procedure di crisi, in Bonfatti, Falcone (cur.), La riforma della amministrazione straordinaria, cit., 72 ss.; 82 ss.
Nessuna questione si pone più per l’amministrazione controllata, la cui disciplina è stata abrogata dall’art. 147, comma 1, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

39.  Sulla estraneità del fine conservativo alla disciplina del concordato preventivo (invece volta alla realizzazione della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore) cfr. il lavoro, ancora attuale, di Jorio, Concordato preventivo e impresa, in Riv. dir. civ., 1972, I, 241 ss.

40.  Nella giurisprudenza pratica si richiama a tale impostazione Trib. Biella, 21 luglio 2004, cit.

41.  Come si evince dal principio direttivo sub art. 1, comma 4, lett. a) AC 1741, secondo cui nella unificazione delle leggi in vigore deve individuarsi quale provvedimento iniziale della procedura il decreto di ammissione alla medesima da parte del ministro dello sviluppo economico. A prescindere dalla problematicità del principio (non potendo certamente pronunciarsi il ministro se non – al limite – su istanza del debitore, e mai su istanza del creditore o del pubblico ministero, pena l’evidente incostituzionalità della disposizione), risulta chiara la volontà legislativa di superare l’attuale struttura bifasica della procedura comune la quale reca, oltretutto, proprio l’inconveniente di separare cronologicamente l’accertamento dei requisiti dimensionali e dello stato di insolvenza da un lato dall’accertamento sulle possibilità di recupero dell’equilibrio economico dall’altro.

42.  Cfr. Trib. Milano 13 marzo 2003, cit.

43.  Né potrebbe obbiettarsi che, in realtà, la sopravvenuta atipicità della domanda di concordato preventivo non incide effettivamente gli equilibri tra procedure in quanto la soddisfazione minimale dei creditori dipende dalla irrecuperabilità dell’attività d’impresa: infatti nessuna implicazione si evidenzia in tal senso; piuttosto, la domanda si determina su ragioni scaturenti – soprattutto – dalle innumerevoli variabili del rapporto debitore-creditori.

44.  A commento della l. 30.7.1998, n. 274, di delega all’intervento del 1999, scrive Jorio, Luci ed ombre della nuova Prodi, in Giur. comm., 1999, I, 10: «viene spontaneo chiedersi se ancora sussistano nel nostro paese, alle soglie di una rapida accelerazione del processo di integrazione europea, sufficienti ragioni per giustificare una linea che fa della nostra disciplina dell’insolvenza un unicum nel panorama degli ordinamenti europei».

45.  Così, per es., nella versione precedente alla riforma, l’art. 181, comma 1, l.f. disponeva che in sede di omologazione del concordato preventivo il tribunale valutasse non soltanto il raggiungimento delle prescritte maggioranze e la regolarità della procedura, ma anche la convenienza economica del concordato per i creditori. Il tribunale, piuttosto che limitarsi a omologare il concordato, ne decideva l’approvazione; e ciò valutando per suo conto la convenienza del concordato per i creditori, ossia la sussistenza nel caso concreto della comunanza dell’interesse al concordato, per come approvato dalla maggioranza. Se anche il concordato fosse stato approvato all’unanimità, il tribunale avrebbe comunque potuto giudicarlo non conveniente per i creditori e respingere la proposta (come argomentò, per primo, e nel vigore della legge del 1903 sul concordato preventivo, Ascarelli, Sulla natura dell’attività del giudice nell’omologazione del concordato, in Riv. dir. proc., 1928, II, 231).

46.  Cfr., sempre con riguardo alla omologazione del concordato preventivo, la versione attuale dell’art. 180 l.f.

47.  Cfr. anche le osservazioni di Bonfante, Il concordato nella liquidazione coatta amministrativa, in Ambrosini (cur.), Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma «organica» al decreto «correttivo», Bologna, 2008, 625 ss.

48.   Cfr. art. 1, comma 4, lett. l)  AC 1741.