Diritto negoziale della crisi d’impresa e prospettive di riforma dell’amministrazione straordinaria
11. – La questione ora abbozzata non è nuova, per essere già nota quale aspetto del diverso problema dei rapporti tra amministrazione straordinaria e procedure concorsuali diverse dal fallimento: e, specialmente, tra amministrazione straordinaria e concordato preventivo.
L’art. 3 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 fissa il primato dell’amministrazione straordinaria sul fallimento disponendo che il tribunale, verificata la sussistenza dei requisiti dimensionali per l’ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, dichiari in ogni caso lo stato di insolvenza, e ciò anche quando dovrebbe farsi luogo alla dichiarazione di fallimento dell’impresa vanamente ammessa alle procedure di amministrazione controllata e di concordato preventivo. Per il successivo art. 27, comma 1, l’impresa oggetto di dichiarazione di insolvenza accede alla procedura di amministrazione straordinaria qualora si presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico; altrimenti, prosegue l’art. 30, il tribunale dichiara con decreto motivato il fallimento [36].
Per questa regola, l’impresa che può accedere all’amministrazione straordinaria non può essere dichiarata fallita; deve al contrario essere assoggettata, anche d’ufficio, alla procedura di amministrazione straordinaria. Come è razionale, poiché quest’ultima procedura è predisposta per la tutela di interessi diversi e prevalenti rispetto al credito, che invece costituisce oggetto esclusivo di tutela nel fallimento.
Tuttavia, sempre per questa regola – e nonostante ogni dubbio sedimentatosi in materia nel vigore della precedente disciplina [37] – mentre non può ottenersi il fallimento dell’impresa che può accedere all’amministrazione straordinaria, invece la grande impresa in crisi può certamente essere ammessa al concordato preventivo [38].
Il che non appare altrettanto consequenziale, giacché anche la procedura di concordato preventivo, come il fallimento, è finalizzata alla tutela del credito; pertanto, non sembrano porsi esigenze diverse da quelle che determinano il rapporto tra amministrazione straordinaria e fallimento [39].
Nella relazione illustrativa (sub 3.1.) la scelta è motivata secondo questi passaggi argomentativi: i) poiché l’ammissione al concordato non realizza l’effetto di spossessamento proprio del fallimento e dell’amministrazione straordinaria, un immediato parallelismo tra queste procedure – traducentesi in un più severo trattamento per l’impresa di grandi dimensioni rispetto alla impresa di dimensioni più ridotte – non sarebbe giustificato; ii) inoltre, il concordato preventivo con garanzia, per essere compatibile con la finalità conservativa, vale come via ‘privatistica’ alla ristrutturazione, alternativa alla via ‘pubblicistica’ data dall’amministrazione straordinaria; iii) il concordato preventivo con cessione dei beni, per l’evidente carattere liquidatorio, non presenta un finalismo altrettanto compatibile; tuttavia, escluderne la fruizione potrebbe risultare irrazionale laddove si rifletta che la dichiarazione di insolvenza (a tal punto alternativa alla ammissione al concordato preventivo) non garantirebbe l’accesso alla procedura di amministrazione straordinaria, richiedendosi anche una prognosi favorevole sul risanamento economico [40].
Si tratta di argomenti non decisivi.
Il primo, perché prova troppo: se la dimensione dell’impresa non giustificherebbe diversità di trattamento tra grandi e piccole imprese, resta ingiustificata per necessità logica anche la procedura di amministrazione straordinaria, che proprio alle grandi imprese, e con esclusione delle piccole, è rivolta.
Il secondo e il terzo argomento, perché evidenziando come l’incompatibilità funzionale tra concordato preventivo e amministrazione straordinaria sia non assoluta – come accade nel rapporto tra la seconda e il fallimento – ma relativa, portano a concludere che mentre il concordato preventivo è compatibile con l’amministrazione straordinaria quando risulta orientato al recupero dell’equilibrio economico (perciò perseguibile anche ‘privatisticamente’), invece quando risulta orientato alla liquidazione si mostra incompatibile con l’amministrazione straordinaria. Dunque, in tale secondo caso, la scelta concordataria potrebbe essere inibita: e lo dovrebbe quando risultasse effettuata da una impresa suscettibile di essere ammessa alla amministrazione straordinaria: ossia non solo in possesso dei requisiti dimensionali ma anche oggetto di una prognosi favorevole sulle possibilità di superamento della crisi.
Né varrebbe obbiettare che tale ultima caratteristica non sarebbe immediatamente accertabile: infatti ciò non è connaturato alla procedura ma si verifica nell’attuale (ed eventuale) struttura bifasica della stessa, permanente solo nella amministrazione straordinaria ‘comune’ e in via di superamento nella prospettiva di riforma [41].
La dimensione sociale del problema suscitato dalla normativa vigente è emblematicamente dimostrata dalla vicenda in cui i lavoratori subordinati della società istante per il concordato preventivo richiesero, senza ottenerla, la dichiarazione di insolvenza preliminare all’ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria [42].
Vi è poi da aggiungere che il problema è certamente destinato ad aggravarsi in ragione dell’intervenuta riforma del concordato preventivo e della sopravvenuta atipicità contenutistica della relativa domanda. L’esperienza sedimentatasi nell’ultimo biennio dimostra che, come in passato, la maggioranza delle domande di concordato preventivo ha ad oggetto non il recupero dell’attività ma la liquidazione del patrimonio; inoltre, la quasi totalità delle domande offre in soddisfazione dei creditori pagamenti o beni o utilità sufficienti a coprire solo un modesta percentuale del credito chirografario, ben inferiore alla soglia previgente del quaranta per cento. Dunque, l’ambito operativo del concordato preventivo sembra destinato ad ampliarsi in modo inversamente proporzionale all’ambito riservato all’amministrazione straordinaria [43].
Nella prospettiva della riforma, una possibile soluzione potrebbe individuarsi nella soggezione della domanda di concordato preventivo – presentata dall’impresa in possesso dei requisiti per l’ammissione alla amministrazione straordinaria – alla approvazione ministeriale.
L’approvazione potrebbe essere decisa in base alla tipologia di concordato e alle concrete prospettive di recupero dell’attività (così da autorizzarsi non soltanto i concordati di risanamento o di cessione a terzi dell’azienda ma anche i concordati con cessione dei beni presentati da imprese in assenza di ragionevoli prospettive di recupero).
La importante limitazione alla libertà negoziale dell’impresa e dei suoi creditori che ne deriverebbe non dovrebbe sollevare dispetto: mostrandosi assolutamente conseguente alla presenza, nell’ordinamento positivo, della procedura di amministrazione straordinaria.
Cosicché, sotto il profilo culturale, quella limitazione di libertà svolgerebbe semplicemente l’importante servizio di segnalare la specificità tecnica e politica della scelta per l’amministrazione straordinaria, quale opzione assiologica attualmente presente e sufficientemente condivisa ma sempre suscettibile di critica e ripensamento [44].
Note
36. Può non essere superfluo ricordare che nella disciplina previgente dettata dall’art. 1 d.l. 30 gennaio 1979, conv. in l. 3 aprile 1979, n. 95, l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, con esclusione della dichiarazione di fallimento, era determinata dal riscontro di requisiti esclusivamente dimensionali, a prescindere da valutazioni prognostiche sulle possibilità di risanamento. Fu immediata, in dottrina, la denuncia di incostituzionalità di una procedura che realizzava l’espropriazione senza indennizzo dei creditori antecedenti all’apertura del concorso (cfr. Schlesinger, Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Nuove leggi civ. comm., 1979, 750 ss.; Id., Imprese insolventi e credito bancario: considerazioni introduttive, in Fallimento, 1985, 243); mentre, sulla scia di altro avviso (Bonsignori, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1980, 58 ss.), la giurisprudenza ritenne manifestamente infondata la questione, valorizzando la natura pubblicistica degli interessi tutelati (cfr. Cass. 20 aprile 1985, n. 2619, in Dir. fall., 1985, II, 326). Come si legge nella relazione illustrativa al provvedimento del 1999 ( sub 1.2) la negativa esperienza applicativa consigliò per la riforma, e per l’introduzione della condizione di ammissione data dalla prognosi favorevole sul recupero dell’equilibrio economico (cfr. anche Napoleoni, Finalità e filosofia della nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, cit., 30 ss.).↑
37. Sul che cfr. F. Vassalli, Castiello D’Antonio, Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi, in Enc. giur., Roma, 1996.↑
38. Cfr. Trib. Milano 13 marzo 2003, in Galioto, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Milano, 2003, 192; Trib. Biella, 21 luglio 2004, in Giur. comm., 2006, II, 551; per una posizione critica, cfr. Castiello D’Antonio, Coordinamento dell’amministrazione straordinaria con le altre procedure di crisi, in Bonfatti, Falcone (cur.), La riforma della amministrazione straordinaria, cit., 72 ss.; 82 ss.
Nessuna questione si pone più per l’amministrazione controllata, la cui disciplina è stata abrogata dall’art. 147, comma 1, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.↑
39. Sulla estraneità del fine conservativo alla disciplina del concordato preventivo (invece volta alla realizzazione della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore) cfr. il lavoro, ancora attuale, di Jorio, Concordato preventivo e impresa, in Riv. dir. civ., 1972, I, 241 ss.↑
40. Nella giurisprudenza pratica si richiama a tale impostazione Trib. Biella, 21 luglio 2004, cit.↑
41. Come si evince dal principio direttivo sub art. 1, comma 4, lett. a) AC 1741, secondo cui nella unificazione delle leggi in vigore deve individuarsi quale provvedimento iniziale della procedura il decreto di ammissione alla medesima da parte del ministro dello sviluppo economico. A prescindere dalla problematicità del principio (non potendo certamente pronunciarsi il ministro se non – al limite – su istanza del debitore, e mai su istanza del creditore o del pubblico ministero, pena l’evidente incostituzionalità della disposizione), risulta chiara la volontà legislativa di superare l’attuale struttura bifasica della procedura comune la quale reca, oltretutto, proprio l’inconveniente di separare cronologicamente l’accertamento dei requisiti dimensionali e dello stato di insolvenza da un lato dall’accertamento sulle possibilità di recupero dell’equilibrio economico dall’altro.↑
42. Cfr. Trib. Milano 13 marzo 2003, cit.↑
43. Né potrebbe obbiettarsi che, in realtà, la sopravvenuta atipicità della domanda di concordato preventivo non incide effettivamente gli equilibri tra procedure in quanto la soddisfazione minimale dei creditori dipende dalla irrecuperabilità dell’attività d’impresa: infatti nessuna implicazione si evidenzia in tal senso; piuttosto, la domanda si determina su ragioni scaturenti – soprattutto – dalle innumerevoli variabili del rapporto debitore-creditori.↑
44. A commento della l. 30.7.1998, n. 274, di delega all’intervento del 1999, scrive Jorio, Luci ed ombre della nuova Prodi, in Giur. comm., 1999, I, 10: «viene spontaneo chiedersi se ancora sussistano nel nostro paese, alle soglie di una rapida accelerazione del processo di integrazione europea, sufficienti ragioni per giustificare una linea che fa della nostra disciplina dell’insolvenza un unicum nel panorama degli ordinamenti europei».↑