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Diritto negoziale della crisi d’impresa e prospettive di riforma dell’amministrazione straordinaria

di - 9 Luglio 2010
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5. – Contratto e deliberazione sono metodi di composizione degli interessi in conflitto non preordinabili negli esiti finali. Scopo del contratto, e pure della deliberazione, è infatti la definizione di un assetto di interessi tutelabile dal diritto. Qualsiasi assetto di interessi tutelabile dal diritto può essere dedotto in contratto o offerto alla deliberazione. Trattare la crisi d’impresa con il metodo dell’autonomia negoziale significa non poter indirizzare la soluzione verso un esito prestabilito.
Debitore e creditori potranno determinarsi allo stesso modo per la conservazione dell’attività, per la sua cessione o per la liquidazione del patrimonio. Quindi, l’antica e non sopita aspirazione alla conservazione dell’impresa in crisi costituisce in realtà solo uno degli esiti possibili,e in nessun caso l’esito aprioristicamente privilegiato.
Mentre nella versione precedente alla riforma il sistema fallimentare mirava alla liquidazione del patrimonio ed era a volte forzato dagli interpreti nella opposta direzione della conservazione dell’attività [27], invece la nuova legge mira semplicemente ad assecondare la soluzione che nel caso concreto si riveli economicamente più efficiente: imponendo la liquidazione nel fallimento; lasciando ai protagonisti della relazione economica (debitore e creditori) la scelta tra liquidazione e conservazione nelle soluzioni negoziali.
Per queste attuali modalità di tutela del credito – utili alla selezione delle imprese in crisi sul mercato – può concludersi che il diritto negoziale della crisi d’impresa si caratterizza per la neutralità rispetto agli scopi strumentali. Essenziale è risolvere la crisi d’impresa; rimane invece libera la via da prescegliersi. Conservazione o liquidazione si imporranno non secondo gerarchie valoriali prestabilite, ma per criterio di convenienza.

6. – Per questa caratteristica costitutiva, il diritto negoziale si mostra alquanto incompatibile con il governo della crisi d’impresa attraverso procedure amministrative.
In primo luogo, per le finalità assegnate: riassumibili nella efficiente composizione del debito piuttosto che nella conservazione dell’impresa.
In secondo luogo, per lo strumento attribuito: l’esercizio della autonomia negoziale e la valorizzazione, attraverso di esso, dell’interessi dei creditori piuttosto che dell’interesse generale connesso con la conservazione dell’impresa.
Sotto il primo aspetto, va tuttavia osservato che tra gli scopi assegnati alle procedure amministrative vi è anche la tutela del credito. L’incompatibilità appare perciò essere non assoluta ma relativa: e dipendente nella esatta misura dal grado di conciliabilità, nel caso che si presenta, tra salvaguardia dell’interesse primariamente tutelato e protezione del subordinato interesse dei creditori.
Sotto il secondo aspetto, invece, l’incompatibilità si mostra più netta: contrapponendosi la scelta dei creditori alla realizzazione del pubblico potere. Il pieno esercizio della potestà amministrativa presuppone in effetti una rilevante compressione dell’ambito di  autodeterminazione riconosciuto ai creditori (il quale, inopportunamente esteso, funzionerebbe da ostacolo).
Poiché l’autodeterminazione dei creditori si manifesta nelle forme dell’esercizio della autonomia negoziale, a dover essere contenuto è proprio l’essenziale fattore costitutivo del diritto dei privati [28].

Note

27.  Cfr. le osservazioni di Caselli, La crisi aziendale, cit., 624 ss.

28.  Cfr., nel passato, G. Minervini, Le misure per il risanamento delle grandi imprese in crisi, in Riv. soc., 1978, 1247 ss., secondo il quale riconoscere ruolo ai creditori avrebbe significato risolvere «tanto fumo pubblicistico in un arrosto capitalistico»; di recente, v. Fimmanò, Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I, 980.

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