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Intervento alla Tavola Rotonda “L’ambiente tra diritto individuale e interesse collettivo”, Università di Roma La Sapienza, 21 gennaio 2010

di - 30 Aprile 2010
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Il problema dell’ambiente può essere filosoficamente affrontato in due modi.
Il primo modo è abbastanza tranquillizzante e coincide con la teoria dello sviluppo sostenibile; per esso i problemi ambientali si sono accentuati con l’industrialismo, con l’età della tecnica, con la pretesa della crescita illimitata legata allo sviluppo della vita cittadina ed alla moderna economia industriale capitalistica. In fondo, però, secondo questa visione, il rimedio rispetto ai possibili squilibri, sta nella stessa tecnica, che produrrà soluzioni come ne produce di continuo, per cui non c’è troppo da spaventarsi.
Tra l’altro in un mondo popolato da milioni di persone che hanno bisogno di un’economia in continua espansione per poter sopravvivere, ci sono ottimi segnali che ci inducono, secondo il modello dello sviluppo sostenibile, a non preoccuparci troppo della questione ambientale.
Questo è il primo modo di affrontare il problema, il quale fa affidamento su una sorta di logica della temperanza: non c’è bisogno di sconvolgere il nostro modo di vita, in quanto sicuramente il rapporto con la natura è stato profondamente modificato dalla società industriale, ma deve essere soltanto gestito.
C’è un’altra visione della tematica ambientale, invece, nella quale si colgono segnali di allarme, in quanto essa mette in luce la rottura profonda del legame fra uomo e natura, indotta dal modo di produzione capitalistico.
Questa visione ritiene che la riflessione sull’ambiente metta in crisi tutti i modi tradizionali di vedere il rapporto degli uomini fra loro, degli uomini con le cose e degli uomini con la natura, secondo un’impostazione non solo di carattere giuridico, ma anche fisico–filosofica.
Si ritiene che in fondo questo rapporto uomo/natura sia il motore dello sviluppo economico di tutte le società e della società capitalistica in particolare e che, con l’emersione delle criticità ambientali legate all’industralesimo, sia messo in crisi il concetto di società capitalistica.
Fra i primi scritti a sviluppare queste teorie critiche in modo compiuto vi sono quelli dei francofortesi, ad es. “Il principio di responsabilità” di Hans Jonas; nella filosofia continentale lo sbocco teorico di questa visione pessimistica critica il mito della crescita e dello sviluppo, inteso in termini puramente quantitativi. In Francia si è fatto portatore di una visione di questo genere un economista e filosofo, Serge Latouche, portavoce della teoria della decrescita economica (La scommessa della decrescita).
Altre impostazioni distinguono fra una visione di tipo antropocentrico che, nel rapporto uomo /natura, mette al centro l’uomo ed una visione di tipo ecocentrico, la quale mette al centro la natura.
In una visione di tipo antropocentrico l’ambiente va tutelato perché conviene all’uomo, serve per la sopravvivenza della vita umana; nella visione di tipo ecocentrico l’uomo viene invece visto come parte di un sistema biologico, col supporto delle scienze che dimostrano come ci siano base teoriche anche per i comportamenti più sofisticati dell’uomo.
Queste visioni teoriche cambiano impostazione a seconda che l’uomo sia inteso o meno come al centro del rapporto della natura, come parte di un sistema complesso, dove gli interventi che possono essere dettati per la protezione della natura abbiano un impatto più incisivo, proporzionato alla capacità dell’uomo di riconoscere come essenziale (dissolvendo la sua soggettività) l’importanza dell’ambiente circostante.
Addirittura si parla, in questa prospettiva, di nuova soggettività e di una nuova nozione di soggetto giuridico, per avvicinarle ai beni giuridici; questa nuova nozione di soggetto di diritto dovrebbe arrivare a tener conto ad es. degli animali come soggetti, visti quindi non come oggetto dei reati di maltrattamento, non come oggetto di protezione, ma come soggetti attivi perché esseri senzienti.
Dinanzi a queste visioni siamo un po’ perplessi, in quanto non riusciamo a pensare che picchiare un uomo sia la stessa cosa che picchiare un cane. Ma lo spaesamento può avere le sue ragioni.
In fondo il diritto ambientale è relativamente giovane, in realtà non ha che pochi decenni di vita.
Potremmo dire che è nato, nella sua età aurorale, per effetto di una serie di scoperte iniziali, ed anticipo che l’età aurorale o eroica del diritto ambientale e della filosofia che riflette sull’ambiente è ormai passata, in quanto ora siamo in un’età matura del diritto ambientale, in cui le sue regole si fanno estremamente complesse e sono pezzo del diritto dell’economia, così che è difficile distinguere i profili del diritto dell’economia dai profili del diritto dell’ambiente.
Il diritto ambientale nella sua fase aurorale si forma perché nasce una domanda sociale in relazione all’ambiente con riferimento agli inquinamenti; si risponde a questa domanda facendo uso degli strumenti giuridici di cui si disponeva quando essa è sorta, e gli strumenti iniziali di intervento sono essenzialmente derivati dai quattro codici, le prime controversie sono state sottoposte ai pretori negli anni 70/80.

Nota:
Trascrizione dell’intervento del Consigliere Giancarlo Montedoro al Master universitario di II livello in Diritto dell’Ambiente dell’Università La Sapienza di Roma in occasione della Tavola rotonda “L’ambiente tra diritto individuale e interesse collettivo”.

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