Accordi di ristrutturazione del debito

Gli accordi di ristrutturazione rappresentano lo strumento più veloce e duttile tra quelli offerti dall’ordinamento per risolvere, a costi contenuti ed in via quasi del tutto stragiudiziale (l’unico intervento del giudice è infatti l’omologazione dell’accordo già raggiunto tra imprenditore, creditori ed eventualmente terzi), una situazione di crisi dell’imprenditore sia nel senso del risanamento sia con finalità liquidatorie attraverso la ristrutturazione del debito. Lo strumento è però nuovo ed in quanto tale presenta alcune incertezze applicative che rendono necessaria una attenta redazione e valutazione dell’accordo da parte delle banche, che intervengano sia in qualità di creditori sia in qualità di soggetti che apportino nuova finanza ed in tale veste prendano parte all’accordo, non solo da un punto di vista prettamente economico/contabile ma anche e soprattutto di diritto.

INTRODUZIONE
La presente nota offre una sintetica disamina della disciplina, come recentemente modificata[1]degli accordi di ristrutturazione del debito, previsti all’articolo 182-bis del R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito “Legge Fallimentare”), ed è suddivisa nei seguenti paragrafi:

  1. Nozione di accordo di ristrutturazione del debito e raffronto con il concordato preventivo e i piani di risanamento;
  2. Requisiti per richiedere l’omologazione di un di accordo di ristrutturazione del debito;
  3. Procedimento: dalla presentazione della richiesta alla omologazione del tribunale;
  4. Effetti dell’accordo di ristrutturazione del debito;
  5. Inadempimento dell’accordo di ristrutturazione del debito;
  6. Transazione fiscale.
  7. Profili di responsabilità civile e penale (cenni)

1. Nozione di accordo di ristrutturazione del debito e raffronto con il concordato preventivo e i piani di risanamento

1.1 Nozione di accordo di ristrutturazione del debito
Gli accordi di ristrutturazione del debito, introdotti con la legge 14 maggio 2005, n. 80[2] e poi ritoccati da due ulteriori interventi normativi integrativi e correttivi[3], sono strumenti di risoluzione della crisi d’impresa, con un fine di un suo risanamento[4] ovvero anche con finalità prettamente liquidatorie[5].
Il legislatore ha introdotto così uno strumento snello in quanto nella prima fase, cioè quella della formazione e conclusione degli accordi, non vi è bisogno di alcun intervento dell’autorità giudiziaria, mentre, nella seconda fase, grazie all’omologazione del tribunale i detti accordi e gli atti in essi previsti godono dell’automatica esenzione dall’azione revocatoria e di una temporanea sottrazione del patrimonio del debitore da azioni esecutive o cautelari dei creditori[6].
L’accordo di ristrutturazione è dunque un contratto di diritto privato, negoziato e concluso dall’imprenditore in crisi e da alcuni o tutti i suoi creditori, cui possono partecipare anche soggetti terzi non creditori o non debitori (ad es. portatori di finanza aggiuntiva, terzi acquirenti, soci della società in crisi, etc.[7]); è un contratto a contenuto fondamentalmente libero, avente ad oggetto una – almeno parziale – rimodulazione del passivo, con interventi tanto sul passivo quanto sull’attivo dell’impresa (eventualmente contenenti anche regole in materia di governance del debitore) in cui si possono trovare, ad esempio, previsioni di remissioni e dilazioni per i debiti, cessioni di beni, costituzione di garanzie, concessione di nuova finanza, conversione di credito in capitale, dismissione di cespiti ma anche creazione di nuovo indebitamento[8].

1.2 Raffronto con il concordato preventivo e i piani di risanamento
Gli accordi di ristrutturazione del debito sono una via intermedia tra il concordato preventivo, vera e propria procedura concorsuale, e i piani di risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e di riequilibrio della sua situazione finanziaria, di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, che non sono sottoposti ad alcun vaglio giudiziale né a forme di pubblicità.

L’accordo di ristrutturazione ed il concordato preventivo
Gli accordi di ristrutturazione sono (i) accordi stragiudiziali conclusi dal debitore con creditori che detengono almeno il 60% dei crediti, che vengono poi sottoposti al vaglio del giudice; (ii) vincolano solo coloro che vi aderiscono mentre i creditori che non vi aderiscano hanno diritto al regolare pagamento dei propri crediti; (iii)  godono della sospensione – per 60 giorni dalla loro pubblicazione – delle azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, da parte dei soli creditori anteriori alla pubblicazione dell’accordo.
Nel concordato preventivo (i) il consenso dei creditori sulla proposta di concordato del debitore è raggiunto nell’ambito della procedura giudiziale (con tutti i costi anche amministrativi della relativa procedura), a cui tutti i creditori hanno diritto di partecipare votando a favore o contro e (ii) la decisione della maggioranza (calcolata in vario modo) vincola anche i creditori dissenzienti; (iii) la protezione da azioni di terzi contro il patrimonio del debitore, inoltre, inizia dalla data di presentazione del ricorso che apre la procedura di omologazione del concordato preventivo stesso e permane sino a quando il decreto di omologazione diviene definitivo.
L’assimilabilità o meno degli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo in via diretta o analogica è un importante, talvolta decisivo, filo conduttore nel determinare scelte interpretative di non poco conto[9].

L’accordo di ristrutturazione e i piani di risanamento
I piani di risanamento, di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, (i) non richiedono approvazione del giudice, (ii) godono dell’esenzione da revocatoria per gli atti previsti dal piano (iii) devono tendere al risanamento dell’impresa e non possono avere finalità liquidatoria.

2. Requisiti per richiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito
Può proporre domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito, l’imprenditore commerciale non piccolo, ove ricorrano i seguenti presupposti:

2.1 stato di crisi dell’imprenditore;
2.2 adesione di almeno il 60% dei creditori (percentuale calcolata in base al valore dei crediti) alla proposta di accordo di ristrutturazione;
2.3 deposito di specifica documentazione[10] (vedi infra);
2.4 relazione di un esperto che attesti attuabilità dell’accordo e, in particolare, l’idoneità del medesimo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo.

2.1 Lo stato di crisi
Lo stato di crisi non è stato definito dal legislatore, soccorre la giurisprudenza che ha già fornito delle prime ed utili indicazioni e ha esplicitato con specifico riferimento agli accordi di ristrutturazione che lo stato di crisi ricomprende tutte le situazioni di difficoltà economica e finanziaria dell’impresa non ancora sfociate nello stato di crisi irreversibile (secondo alcuni includendo lo stato di insolvenza, per altri escludendolo).

2.2 Adesione del 60% dei creditori alla proposta di accordo di ristrutturazione
L’accordo di ristrutturazione per essere omologato deve essere stipulato con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. Ai fini del computo deve essere presa in considerazione l’intera esposizione debitoria dell’imprenditore, senza escludere i crediti privilegiati e quelli non muniti di titolo esecutivo[11]. La soglia del 60% secondo certa giurisprudenza può essere raggiunta anche successivamente alla proposizione della domanda di omologazione[12]. È discutibile se nel computo dell’ammontare dei crediti necessari a raggiungere la percentuale minima di adesione debbano escludersi i crediti delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo rispetto alla società in stato di crisi oggetto della procedura ex articolo 182-bis, analogamente alla preclusione dal voto cui queste medesime società sono soggette ai sensi dell’articolo 127, comma 6, della Legge Fallimentare in caso di concordato. Proprio sul punto una recente decisione[13] ha risolto l’incertezza negando l’applicazione diretta e analogica dell’articolo 127, comma 6, della Legge Fallimentare non solo in forza della lettera della legge ma anche per la deficienza dei presupposti del procedimento analogico: la mancanza di una lacuna e, quel che qui maggiormente interessa, l’assenza dell’eadem ratio, poiché il concordato è ritenuta disciplina coattiva dei rapporti tra debitore e creditori tesa a dare esecuzione alla responsabilità patrimoniale del primo e quindi compatibile con l’adozione di regole maggioritarie totalmente estranee al principio fondativo e ineliminabile del consenso proprio dell’autonomia privata. Mentre, pertanto, nel concordato la volontà della maggioranza dei crediti, calcolata peraltro in maniera peculiare (ossia anche per classi), si impone ai creditori di minoranza, negli accordi di ristrutturazione, l’accordo di oltre il 60% dei creditori non vincola i dissenzienti cui, anzi, almeno in linea teorica e, salvo quanto si osserverà più avanti, nel paragrafo 5, spetta la soddisfazione integrale e alla scadenza dei propri crediti.

2.3 Deposito di specifica documentazione
L’imprenditore deve depositare con la domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione la seguente documentazione:
a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;
b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;
c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
2.4 Relazione dell’esperto
L’imprenditore deve depositare con la domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, oltre alla documentazione di cui all’elenco che precede (paragrafo 2.3), anche una relazione di un professionista[14] iscritto nel registro dei revisori contabili che sia un avvocato, o un dottore commercialista o un ragioniere o un ragioniere commercialista, ovvero uno studio professionale associato o società tra professionisti[15], iscritto nel registro dei revisori contabili e delle società di revisione istituito presso il Ministero della Giustizia.
La relazione deve attestare che il piano di ristrutturazione contemplato nell’accordo abbia due requisiti: (i) sia attuabile (primo requisito), ossia concretamente realizzabile in funzione – prospettica e finalistica – di assicurare (ii) l’idoneità (secondo requisito) dell’accordo attuato a garantire il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo medesimo allineando i flussi finanziari in entrata e in uscita[16]. L’attuabilità deve intendersi quindi come concreta realizzabilità delle previsioni contenute nell’accordo, che non deve chiaramente essere inteso come strumentale ad ottenere l’esenzione dall’azione revocatoria nonché la protezione temporanea (per i 60 giorni decorrenti dalla data di pubblicazione del piano di ristrutturazione) dall’instaurazione ovvero dalla prosecuzione di azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore (art. 182-bis, n.3). L’attuabilità non è dunque un fine ma una qualità che deve caratterizzare necessariamente l’accordo, diversamente l’idoneità a consentire il pagamento regolare dei creditori estranei all’accordo è uno dei fini precipui dell’accordo da accertarsi e attestarsi da parte dell’esperto nella sua relazione. E ciò in quanto le risorse liberate dalla ristrutturazione devono essere tali da soddisfare regolarmente le obbligazioni del debitore verso i creditori estranei, cosicché lo stato di insolvenza sia definitivamente scongiurato o rimosso a seconda della gravità della crisi in cui versava l’imprenditore al momento della conclusione dell’accordo di ristrutturazione[17]. Ciò giustifica anche la protezione temporanea del patrimonio del debitore dall’instaurazione ovvero dalla prosecuzione di azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore che interviene già prima della omologazione da parte del tribunale.
L’accordo dovrà essere dunque teso ad assicurare il soddisfacimento integrale e, in particolare, il piano dovrà prevedere i termini e le modalità di soddisfazione dei creditori estranei all’accordo di ristrutturazione dei debiti[18].
Il professionista è da ritenersi civilmente responsabile: contrattualmente nei confronti dell’imprenditore che lo abbia incaricato ma è certamente responsabile a titolo extracontrattuale nei confronti dei creditori, aderenti o meno all’accordo.
È invece da escludersi una responsabilità penale ai sensi dell’articolo 64 c.p.c. in quanto la posizione del professionista relatore non è quella di consulente tecnico del giudice.

3. Procedimento: dalla presentazione della richiesta alla omologazione del tribunale
Superata la fase di negoziazione e stipulazione dell’accordo, per il quale risulta preferibile l’adozione della forma della scrittura privata autenticata[19], l’iter degli accordi di ristrutturazione per ottenere l’omologa si sviluppa come segue:

1. Deposito presso il tribunale
L’imprenditore o il legale rappresentante della società deposita la domanda di omologazione – tecnicamente un ricorso – dell’accordo di ristrutturazione del debito, corredata da tutta la documentazione (come descritto al paragrafo 2 che precede) presso il Tribunale nella cui circoscrizione è sita la sede dell’impresa (codesto è infatti il Tribunale al quale deve essere richiesta l’omologazione dell’accordo[20]).

2. Pubblicazione
L’imprenditore o il legale rappresentante della società deve richiedere alla Camera di Commercio Industria e Artigianato presso cui la società è iscritta la pubblicazione dell’accordo nel Registro delle Imprese. In realtà il termine pubblicazione è generico in quanto la disciplina del Registro delle Imprese conosce solo iscrizioni o depositi degli atti. Si ritiene che sia preferibile far riferimento all’iscrizione[21] e non al semplice deposito e dal giorno dell’iscrizione, dunque, dell’accordo, nel competente Registro delle Imprese opererà automaticamente la salvaguardia del patrimonio del debitore da azioni esecutive o cautelari (cd. “automatic stay”), diversamente dalla non revocabilità degli atti posti in esecuzione dell’accordo per la quale è necessaria l’omologazione dell’accordo da parte del Tribunale.

3. Opposizioni (fase eventuale)
Ai creditori dissenzienti o estranei all’accordo nonché ad ogni altro interessato[22], è concesso il termine di 30 giorni dalla pubblicazione nel Registro Imprese dell’accordo per proporre avanti al Tribunale opposizione all’omologazione del medesimo.

4. Procedimento di Omologazione
Il Tribunale, decise le eventuali opposizioni in contraddittorio, in camera di consiglio adotta:

Pare invece inammissibile che il tribunale possa apportare modifiche all’accordo in sede di omologazione.
La giurisprudenza ha avuto già occasione di pronunciarsi circa la valutazione che deve essere operata dal giudice dell’omologazione, ovvero se si tratti di una valutazione di merito del ricorso e dunque di effettiva idoneità delle previsioni dell’accordo a realizzare gli obiettivi dichiarati[23] ovvero se si tratti di un mero controllo di legalità e di correttezza della procedura svolta[24]. La prima soluzione sembra quella maggiormente fondata e seguita dai tribunali rendendo il giudice dell’omologazione garante della sussistenza di quel necessario grado di probabilità di realizzazione dello stesso e dunque del superamento della crisi dell’impresa.
In particolare, poiché il confine tra merito e forma appare molto labile, è forse preferibile definire il sindacato del giudice nei termini di una valutazione di legalità (simile a quella propria del giudice amministrativo per gli atti sottoposti al proprio vaglio) che, oltre a coinvolgere il profilo estrinseco formale, riguardi l’intima coerenza, completezza e ragionevolezza della prospettazione finanziaria ed economica fatta dell’esperto.
Una simile valutazione è poi calata nel contesto di un giudizio prognostico che proietta le azioni ipotizzate e le valutazioni formulate dall’esperto dalla situazione concreta del momento di crisi ad un futuro di breve, medio termine soggetto a rischi più o meno definibili di natura generale (inerenti il mercato in senso lato) o particolare (incertezze o rischi riguardanti specifici progetti di sviluppo).
A un vero e proprio esame del merito di singole partite, voci, dati, ricostruzioni o proiezioni della relazione dell’esperto il giudice potrebbe essere chiamato[25] da contestazioni, osservazioni, analisi condotte da chi promuova opposizioni all’omologazione dell’accordo.
In ogni caso, quanto più analitico e penetrante sarà l’intervento del giudice dell’omologazione, tanto minore sarà la responsabilità civile del professionista.

4. Pubblicazione del decreto di omologazione
Del decreto di omologazione o di diniego di omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito l’imprenditore deve richiedere alla Camera di Commercio competente la pubblicazione presso il Registro delle Imprese. Non è previsto un termine entro il quale provvedere, tuttavia è utile ricordare che il termine per proporre eventuali reclami avverso il decreto di omologazione (o mancata omologazione) dell’accordo decorre proprio da tale pubblicazione.

5. Reclamo (fase eventuale)
Entro 15 giorni dalla data della pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione del debito gli interessati possono proporre reclamo alla Corte d’Appello avverso il decreto di omologazione o di diniego di omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito.

4. Effetti dell’accordo di ristrutturazione del debito

4.1 Effetti decorrenti dalla pubblicazione del piano di ristrutturazione del debito nel registro imprese:

4.1.1  Il “blocco” delle azioni esecutive
Stabilisce il 3° comma dell’art. 182-bis che «Dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese e per un periodo di sessanta giorni i creditori per titolo o causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore».
Il divieto, che ha lo scopo di impedire che eventuali azioni esecutive[26] o cautelari, intraprese in particolare dai creditori estranei all’accordo, possano mettere in pericolo la riuscita e/o l’attuabilità dello stesso, si rivolge a tutti i creditori (con titolo o causa anteriore alla data della pubblicazione), compresi quindi i creditori che non siano parte dell’accordo.
Il divieto inizia a decorrere dalla data della pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione nel Registro delle Imprese, per un periodo non superiore a sessanta giorni e quindi prescindendo dalla conclusione del procedimento di omologazione[27]. Il termine, secondo la prevalente dottrina, non potrebbe essere soggetto a proroga[28].

4.1.2 Le opposizioni
Dalla data di pubblicazione del piano nel registro delle imprese, decorre altresì il termine di trenta giorni[29] per «i creditori e ogni altro interessato» per proporre opposizione al piano di ristrutturazione presentato dal debitore.
I soggetti legittimati all’opposizione sono, dunque, in primo luogo, i creditori estranei al piano, in quanto, ad esempio, non convinti che lo stesso assicuri l’integrale soddisfazione dei propri crediti; ma potrebbero in teoria reputarsi legittimati anche i creditori che abbiano dato il loro consenso, allorché successivamente abbiano avuto un ripensamento sulla base di ulteriori riscontri[30]; infine, è legittimato a proporre opposizione ogni altro soggetto interessato, ovvero che può avere un interesse giuridicamente tutelabile a che il piano non venga omologato[31].

4.2 Gli effetti successivi alla omologa: le esenzioni dalla revocatoria
Nel caso in cui il piano di ristrutturazione presentato dal debitore, pur avendo ottenuto l’omologa del Tribunale, non riesca a salvare il debitore proponente dal dissesto e quest’ultimo venga dunque dichiarato fallito, tutti gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione di un piano di ristrutturazione omologato ai sensi dell’art. 182-bis, non sono assoggettabili ad azione revocatoria. L’esenzione riguarda ogni atto e/o pagamento e/garanzia sia essa compiuta con mezzi normali (ex art. 67, comma 2 l.fall.), sia essa attuata con mezzi anormali (art. 67, comma 1° l.fall.).

5. Inadempimento dell’accordo di ristrutturazione del debito
È molto dibattuto in dottrina quali siano le conseguenze dell’eventuale inadempimento da parte del debitore agli obblighi derivanti dal piano di ristrutturazione, dato che manca in proposito una disciplina legislativa.
Se si propende per la tesi secondo cui l’accordo di ristrutturazione, pur omologato, è un contratto di diritto privato, non vi è dubbio che i rimedi in caso di inadempimento delle obbligazioni derivanti dallo stesso, siano i rimedi previsti dal codice civile in materia di risoluzione o annullamento del contratto[32]. Naturalmente, le problematiche connesse alla risoluzione saranno diverse, a seconda che il piano si configuri come un contratto plurilaterale, o un contratto bilaterale plurisoggettivo (in tal caso, si applicherà l’art. 1459 c.c., secondo il quale  l’inadempimento nei confronti di un solo creditore, non comporta la risoluzione del contratto rispetto alle altre, a meno che la prestazione mancata sia da considerarsi essenziale); oppure alla stregua di un fascio di contratti bilaterali, collegati da una causa comune ovvero con comunione di scopo[33] (in tal caso la risoluzione di uno solo di tali accordi può provocare la risoluzione dell’intero piano, ove incida sugli elementi essenziali dello stesso).
In ogni caso, tuttavia, resta il fatto che la risoluzione di un solo rapporto contrattuale e/o il venir meno di un solo creditore, inciderà, verosimilmente, in maniera determinante sull’intero piano, tanto da farlo molto probabilmente venir meno. Ciò non solo nell’ipotesi in cui l’uscita di un creditore dall’accordo incida sul raggiungimento della percentuale del 60% dei crediti posseduto dai creditori aderenti; ma, soprattutto, perché il creditore “uscente” quale creditore estraneo, dovrà essere soddisfatto per l’intero.
La presenza di un nuovo creditore che debba essere soddisfatto per intero potrebbe molto verosimilmente incidere sulla l’attuabilità e idoneità dell’accordo (garantita dalla relazione del professionista), potendo rendere non più utile e/o attuale tale relazione e travolgendo in tal modo il complessivo iter procedimentale.
Proprio le incertezze di una soluzione tutta privatistica inducono altri autori[34] a ritenere che l’omologazione e, quindi, l’imprimatur giudiziale sull’accordo ne modifichino radicalmente la natura assimilandola a quella di un concordato preventivo, al punto che si invoca l’applicazione analogica dell’articolo 186 della Legge Fallimentare e, di conseguenza, l’articolo 137 della Legge Fallimentare che disciplina gli effetti della risoluzione del concordato fallimentare.
La qualificazione dell’accordo di ristrutturazione ex articolo 182-bis come procedimento concorsuale avrebbe inoltre l’effetto di dar forza all’applicabilità dell’articolo 111 della Legge Fallimentare e, quindi, potenzialmente, di riconoscere alla “nuova finanza” la tutela propria delle somme in prededuzione.
Nel caso in cui invece l’accordo di ristrutturazione non sia omologato, esso dovrà essere trattato, salvo l’effetto paralizzante su azioni esecutive e cautelari, alla stregua di un qualunque accordo stragiudiziale[35] teso alla rimozione dello stato di insolvenza con tutte le implicazioni civilistiche e penalistiche che ciò comporta.
In ogni caso, qualsiasi sia la ricostruzione in termini di istituti giuridici della figura in esame, è certo che i creditori non aderenti ad un accordo di ristrutturazione che, pur omologato, non produca l’effetto di risanare l’impresa, saranno fortemente penalizzati in quanto subiranno, assieme all’effetto della falcidia fallimentare, l’ulteriore diminuzione patrimoniale del proprio debitore dovuta alla protezione degli atti compiuti dai creditori aderenti, immuni da revocatoria. Il sacrificio dei creditori non aderenti sarebbe poi aggravato per alcuni di essi e, nel contempo, radicalmente eliminato per altri, quando alcuni creditori non aderenti fossero soddisfatti integralmente proprio in esecuzione dell’accordo cui non aderiscano.

5.1 Le conseguenze della risoluzione del piano e della mancata omologazione
Alla risoluzione dell’accordo di ristrutturazione, così come alla mancata omologa dello stesso non segue automaticamente il fallimento.
Al tal fine, sarà in ogni caso necessario che venga seguito l’iter completo, che ha inizio con il deposito di una istanza da parte di un creditore, o su richiesta del Pubblico Ministero (a cui sia giunta la “segnalazione” dello stato di insolvenza da parte del Tribunale che abbia risolto l’accordo o che non abbia omologato lo stesso) e volto a verificare, in contraddittorio con il debitore, la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento.
Non è escluso inoltre che il debitore possa presentare una proposta di concordato preventivo a tutti i creditori.

6. Transazione fiscale
La ristrutturazione può riguardare anche debiti di natura fiscale: il debitore può infatti proporre il pagamento parziale o anche dilazionato[36] dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori[37], nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme e di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria. anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea (art. 182-ter, ultimo comma Legge Fallimentare) e anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione.
L’Agenzia delle Entrate, con circolare 18/04/2008 n. 40 ha fornito alcune precisazioni in merito alla tipologia dei tributi che possono essere oggetto di transazione fiscale ed in particolare ha stabilito che “rientrano nella transazione fiscale unicamente i crediti tributari, con esclusione, quindi, delle altre entrate di natura non tributaria gestite dall’Agenzia delle entrate, per le quali potranno trovare applicazione, al verificarsi dei presupposti previsti dalla L.F., le disposizioni in tema di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione dei debiti. Nelle ipotesi, peraltro, che il piano di concordato preventivo o la proposta di accordo di ristrutturazione preveda una falcidia dei crediti non tributari, è necessario che gli Uffici valutino attentamente la natura del credito, al fine di verificare l’effettiva sussistenza del potere di disporre la remissione parziale del credito stesso. È da ritenere inammissibile, ad esempio, una riduzione del credito avente ad oggetto somme dovute a seguito di una sentenza di condanna per danno erariale.”

7. Profili di responsabilità civile e penale (cenni)
È noto che la fase prefallimentare rappresenta un momento delicato per le decisioni dei creditori professionali (ossia le banche) circa l’interruzione o, al contrario, la concessione di nuova finanza, in quanto dalla scelta della banca possono discendere conseguenze sia sul piano civilistico sia sul piano penale, in particolare quando all’accordo segua il fallimento e dunque l’applicabiltà delle norme penali fallimentari. Con riferimento a quest’ultimo, che rappresenta il profilo di maggiore preoccupazione per i creditori finanziari dell’impresa in crisi, la riforma fallimentare non ha previsto modifiche delle condotte penalmente illecite in ragione dell’introduzione di nuovi strumenti di intervento prefallimentare da parte dei creditori e dell’impresa debitrice. Le ipotesi che vengono in considerazione sono innanzitutto il reato di bancarotta semplice, bancarotta preferenziale e il reato di abusiva concessione del credito. Il vantaggio dell’accordo di ristrutturazione, in quanto sottoposto a giudizio di omologazione, specialmente se tale giudizio viene inteso come valutazione del merito o comunque non formale, stricto sensu, dell’accordo, dovrebbe tuttavia escludere in radice l’integrazione del reato di bancarotta preferenziale in quanto il giudizio di omologazione dovrebbe poter consentire di dimostrare l’assenza di dolo. Per quanto concerne la fattispecie di abusiva concessione del credito e possibili profili di responsabilità civile, ad essi è possibile opporre argomentazioni basate sulla presunzione semplice di liceità dovuta all’omologazione, alla pubblicazione dell’accordo e dunque alla conoscibilità dello stato di crisi dell’impresa che, se non escludere, potranno senz’altro fortemente limitare l’imputabilità dell’illecito civile o penale alla banca. Tuttavia, si tratta di tematiche, queste rapidissimamente accennate, che richiederebbero ben altra considerazione che quella di una brevissima nota introduttiva agli elementi essenziali di uno tra gli strumenti della nuova normativa fallimentare.

Note

1.  Le ultime modifiche sono state apportate dal D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

2.  Legge di conversione del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, c.d. “decreto sulla competitività”.

3.  D. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e d. lgs. 12 settembre 2007 n. 169. Le modifiche all’art. 182-bis introdotte da questo ultimo decreto si applicano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1 gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente.

4.  Cfr. A. Bello, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella riforma della legge fallimentare”, in Riv. Notariato 2006, 02, 321.

5.  L’espressione “ristrutturazione dei debiti” è solo sintetica ma non può certo intendersi come se limitasse lo scopo degli accordi di cui all’articolo 182-bis alla sola liquidazione.

6.  G. Presti, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in Banca borsa e tit. cred. 2006, 01, 16.

7.  “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, cap. LX, in Fallimento e altre procedure concorsuali, AA. VV., diretto da G. Fauceglia e L. Panzani.

8.  “Storicamente il contenuto degli accordi di ristrutturazione è stato una miscela di remissioni, dilazioni e nuova finanza assistita da garanzie; e può immaginarsi che così continuerà a essere.”, così G. Presti, cit. Quanto al nuovo debito non è infrequente il caso in cui il debitore emetta strumenti di debito più o meno vicini al capitale (es. obbligazioni convertibili o titoli obbligazioni cosiddetti “convertendi”).

9.  Discende da questo elenco di differenze che, nonostante l’inserimento degli accordi di ristrutturazione nell’ambito della disciplina del concordato preventivo, a differenza di quest’ultimo gli accordi ex articolo 182-bis hanno natura squisitamente privatistica e non gravitano nell’area delle procedure concorsuali ossia di procedure di regolamentazione coattiva del rapporto tra debitore e creditore o dei creditori tra di essi come nel concordato preventivo, vera e propria fase “endoprocessuale”. Non mancano, tuttavia, opinioni del tutto diverse (in particolare, E. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009) che vedono negli accordi di ristrutturazione ex articolo 182-bis, per vari motivi, non esclusa la collocazione della relativa normativa sotto il Capo V del titolo II della Legge Fallimentare dedicata al concordato preventivo, un vero e proprio procedimento concorsuale. Non manca l’opinione di chi definisce sostanzialmente gli accordi stragiudiziali ex articolo 182-bis come un concordato preventivo semplificato, P. Valensise, sub articolo 182-bis, Accordi di ristrutturazione dei debiti, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare (a cura di) A. Nigro – M. Sandulli, Torino, 2006, II, pagg, 1088 e ss.;
Questa conclusione fa dire alla giurisprudenza del Tribunale di Milano, decr. 11 gennaio 2007 (http://www.tribunale.milano.it/documenti/Documentazione/Sentenze_rilevanti/Sentenze_13_12_07.pdf) che le differenze tra le due figure, concordato preventivo e accordi di ristrutturazione ex articolo 182-bis, non consentono nemmeno l’applicazione in via analogica al secondo della disciplina detta per il primo. Si vedrà infra nel testo come la scelta di campo sul rapporto tra i due istituti appena menzionati possa influenzare momenti essenziali del procedimento di cui all’articolo 182-bis della Legge Fallimentare.

10.  Elencata all’art. 161 della Legge Fallimentare.

11.  In particolare il Tribunale di Roma (16 ottobre 2006) ha considerato non omologabile un accordo di ristrutturazione dei debiti che prevedeva che ai fini del computo del 60% dei creditori aderenti fossero considerati solo quelli muniti di titolo esecutivo. Sul fatto che il 60% dei crediti debba essere calcolato sull’intera esposizione debitoria, compresa quella privilegiata, anche G. Presti, cit. e G. D’Ambrosio, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, cap. LX, in Fallimento e altre procedure concorsuali, AA. VV., diretto da G. Fauceglia e L. Panzani. È dubbio, tuttavia, se nel calcolo dell’esposizione debitoria si debba invece tener conto dei crediti condizionali, di regresso, postergati (per una risposta dubitativamente affermativa si veda A. Nigro –D. Vattermoli, in Diritto della crisi delle imprese, Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, p. 384.

12.  Nel senso della sufficienza alla data dell’omologazione Trib. Milano, 23 gennaio 2007; contra Trib. Brescia, 22 febbraio 2006.

13.  Trib. Milano, 15 ottobre 2009.

14.  Così come stabilito dall’articolo 67, terzo comma, lettera d)

15.  L’art. 67, terzo comma, lettera d), richiama a sua volta l’articolo 28, lettere a) e b) della Legge Fallimentare.

16.  È stato affermato (E. Bertacchini, Accordi di ristrutturazione dei debiti (art.182-bis) e piani di risanamento (art. 67, comma 3, lettera d)), brevi considerazioni sul ruolo dei professionisti, in Diritto e pratica commerciale, n. 10, 2007, p. 1386), che l’attestazione di attuabilità e idoneità dell’accordo, come descritte nel testo, logicamente e implicitamente presuppongono che l’esperto verifichi i dati contabili che ne sono alla base benché l’articolo 182-bis non faccia esplicito rinvio al comma 3 dell’articolo 161 che, invece, in tema di concordato preventivo esplicitamente chiede al professionista di attestare la “veridicità dei dati aziendali”. In questo senso anche le decisioni del Tribunale di Milano (già citata, v. supra n. 12) e del Tribunale di Roma del 4 novembre 2009 riguardante la società La Cascina, soc. coop per azioni.

17.  Normalmente la relazione conterrà: 1) un piano finanziario il cui scopo consiste nell’adozione delle misure che si rivelano necessarie ai fini di riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, sostenere e reperire liquidità e, quindi, in ultima analisi garantire a breve e medio termine il pagamento di tutti i creditori; e 2) un piano industriale ossia di rilancio dell’attività produttiva dell’impresa tale da assicurare verosimilmente in futuro il recupero della produzione.

18.  «non può essere omologato l’accordo di ristrutturazione che non preveda espressamente le modalità di pagamento dei creditori non aderenti», Tribunale di Roma, 16 ottobre 2006. Così la dottrina maggioritaria, tra cui il più recente L. Boggio, “Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliano” a tre anni del “Decreto Competitività””, in Banca borsa e tit. cred. 2009, 01,46 che a favore di tale tesi adduce le seguenti motivazioni «non potendosi annoverare il diritto al processo (ed all’espropriazione forzata) tra quelli indisponibili, non può essere negata la liceità della rinunzia da parte di ciascun creditore alla tutela giurisdizionale – attraverso l’esecuzione concorsuale – del proprio credito; tuttavia, non può essere consentito che la volontà di terzi – e pur maggioritaria tra i creditori – pregiudichi il diritto del singolo alla giurisdizione (di cognizione e di esecuzione). Lo vieta, infatti, l’art. 24 Cost., il quale è certamente applicabile anche al processo esecutivo, in quanto fase finale dell’azione di tutela giurisdizionale del diritto del creditore.»

19.  Tribunale di Bari, 21 novembre 2005, in Foro It. 2006, 1, 229 e Trib. Udine, 27 giugno 2007, in Fall., 2008, p. 701. Così pare accada prevalentemente nella prassi, come ad esempio nel recente accordo di ristrutturazione avente ad oggetto lo stato di crisi del gruppo facente capo a Risanamento S.p.A.

20.  Incertezza rispetto alla identificazione del tribunale competente potrebbe sorgere nel caso del trasferimento della sede nell’imminenza delle presentazione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione.

21.  L’iscrizione presso il Registro delle Imprese a sua volta richiederebbe la sottoscrizione autenticata dell’accordo.

22.  V. infra Quale ad esempio un socio di minoranza dissenziente rispetto all’accordo di ristrutturazione del debito sottoscritto della società debitrice.

23.  “intesa come il rispetto coerente degli accordi prospettati sulla base delle concrete prospettive di realizzo, basandosi su un ragionevole grado di monetizzazione, con particolare attenzione alla posizione dei creditori estranei all’accordo” così il citato (v. supra nota 8) decreto del Tribunale di Milano del 23 gennaio 2007 ed anche parte della dottrina (G. Presti, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in Banca borsa e tit. cred. 2006, 01, 16).

24.  Tribunale di Bari, 21 novembre 2005.

25.  Tribunale di Milano, cit., p.12

26.  Nel divieto la dottrina fa rientrare anche la presentazione di un’istanza di fallimento, cfr. C. D’Ambrosio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento e altre procedure concorsuali, 3, Torino 2009, p. 1799 ss. In senso difforme si è pronunciato il più volte citato Tribunale di Milano sulla base di più argomentazioni, dal tenore letterale del comma terzo dell’articolo 182-bis della Legge Fallimentare che copre le sole azioni esecutive e cautelari cui, a stretto rigore, l’istanza di fallimento non sarebbe ascrivibile, all’osservazione, più sostanziale, per cui esisterebbe un nesso logico inscindibile tra l’accertamento dell’insolvenza e l’omologazione degli accordi in parola, posto che consentire alla seconda significa negare accoglienza al primo. È anche vero che la specifica pronuncia in commento apparirebbe condizionata dalla circostanza di fatto, proprio del caso giudicato in cui l’istanza di fallimento era stata depositata prima del deposito da parte del debitore del ricorso per omologazione degli accordi di ristrutturazione. Proprio l’effetto di precludere la dichiarazione di insolvenza è considerato effetto precipuo e caratterizzante dell’omologazione da parte del giudice (A. Nigro – D. Vattermoli, op.cit, 2009, p. 388).

27.  È possibile, pertanto, che trascorsi i sessanta giorni, non sia ancora intervenuto il decreto di omologa e che un creditore promuova un’azione esecutiva o depositi un’istanza di fallimento del debitore.

28.  Secondo alcuni autori, il Tribunale potrebbe concedere una proroga del termine fino alla pubblicazione del decreto, nel solo caso in cui, pendente una opposizione all’omologazione dell’accordo, nei sessanta giorni, il Tribunale non si sia ancora pronunciato (C. D’Ambrosio op. cit. ed ivi ulteriori riferimenti).

29.  Si tratta di termine perentorio, decorso il quale, l’opposizione sarà inammissibile.

30.  Così, C. D’Ambrosio, op. cit. È discutibile se nel caso ipotizzato dall’autore appena citato il rimedio disponibile per i creditori aderenti all’accordo possa consistere in un’opposizione all’omologazione o, piuttosto, debba coincidere con gli ordinari, se disponibili e nella misura in cui fossero disponibili nel caso concreto, rimedi contrattuali tipici della sfera privata in cui opera l’accordo.

31.  Tra questi ultimi la dottrina menziona i creditori dei creditori aderenti, perché per effetto del piano, una parte della garanzia del proprio credito è destinata a ridursi (S. Ambrosini, op. cit.) nonché i soci illimitatamente responsabili.

32.  Nardecchia, Crisi di impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, Ipsoa, 2007, p. 86.

33.  A. Jorio, Introduzione a Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2008, pagg. XI e segg., sostiene, per contro, che necessariamente imprenditore e creditori abbiano finalità diverse.

34.  E. Frascaroli Santi, op. cit., p. 175;

35.  Per una diffusa disamina della tematica si veda E. Frascaroli Santi, Concordato stragiudiziale, Padova, 1984.

36.  Si precisa che con riguardo all’IVA è possibile proporre esclusivamente la dilazione del pagamento e non anche il pagamento parziale

37.  La circolare 18/04/2008 n. 40 della Agenzia delle Entrate ha chiarito che: “l’art. 182-ter individua i crediti suscettibili di transazione fiscale in base alla tipologia di imposta, includendovi i soli tributi “amministrati dalle agenzie fiscali “. Ne consegue che restano esclusi dall’ambito applicativo della disposizione in commento i tributi locali (ad esempio, ICI, TARSU, TOSAP, imposta sulle pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni). Si osserva, inoltre, che l’art. 182-ter pone l’accento sulla circostanza che il tributo sia amministrato dalle agenzie fiscali, prescindendo dalla tipologia del gettito che si origina dal tributo. Ciò costituisce ulteriore connotato di distinzione rispetto alla previgente disciplina di cui al D.L. n. 138/2002, che ammetteva la transazione per i soli tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello Stato. Pertanto, con riferimento all’IRAP, si ritiene che tale imposta debba essere ricompresa nell’ambito applicativo della transazione fiscale, in quanto, pur dando luogo ad un gettito non erariale, essa è amministrata dall’Agenzia delle entrate”.