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Intervento alla Tavola Rotonda “La questione ambientale”, Università di Roma La Sapienza, 15 gennaio 2010

di - 26 Febbraio 2010
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Noi abbiamo detto che l’ambiente non è un bene giuridico, ma qual è il problema dell’azione per il risarcimento del danno? Il problema è che l’azione per il risarcimento del danno ambientale non può essere lasciata al singolo: il singolo che sarà proprietario dei terreni inquinati sicuramente avrà una protezione, ma il problema reale dell’inquinamento è che non interessa solo i proprietari dei terreni, per cui serve un’azione esercitata nell’interesse della collettività.
Quando nel 1986 è stato creato il Ministero dell’Ambiente, era previsto, all’art 18 di quella legge, che le azioni di risarcimento del danno ambientale fossero esperite dalle amministrazioni dinanzi al giudice ordinario.
Potevano agire anche Comuni, Regioni e Province e poi si diede una legittimazione ad agire anche alle associazioni ambientalistiche.
Non si è mai trattato di un’azione facile, anche perché in queste controversie di danno ambientale si sono sempre intersecati i cambiamenti di proprietà e di gestione delle varie industrie, che hanno reso complicatissima l’individuazione del responsabile.
Nella maggior parte delle controversie arrivate al C.d.S., abbiamo come parte una società, a cui si sono succedute varie proprietà, nonché trasformazioni societarie, e ciò comporta che il vero responsabile del danno ambientale possa riuscire a farla franca, magari avendo inquinato per anni senza mettere nel bilancio questa esternalità.
Questo sistema è stato complicato dall’ultima riforma, in cui l’azione di danno ambientale è stata accentrata in capo al solo Stato; alle Regioni, Comuni e Province è stato dato solo il potere di intervento nell’azione ed è stata tolta la legittimazione alle associazioni ambientalistiche.
L’accentramento in capo allo Stato è stato accompagnato dal fatto che lo Stato può non solo esperire il tipico giudizio civile di azione risarcitoria per il danno ambientale, ma può anche adottare poteri unilaterali di ordinanza con cui ordinare il ripristino e condannare anche al risarcimento del danno.
L’impressione è che ultimamente si sia ridotto l’utilizzo di questo strumento, che rimane non efficace.
Il problema è di risarcire la collettività per il danno creato alla salute e, rispetto a questo risarcimento, gli strumenti di tutela che offre l’ordinamento sono inadeguati.
In conclusione, tornando alle problematiche ambientali più generali, si osserva che un approccio corretto al problema si deve fondare su conoscenze scientifiche, che sono in corso di acquisizione, ed è necessario uno spostamento dei livelli decisionali anche a livello sovranazionale.
Dalla capacità del sistema tutto, non solo quello nazionale, di coniugare l’innovazione tecnologica con quel concetto un po’ sfuggente di sviluppo sostenibile dipenderà la risoluzione di molte problematiche che forse trascendono la questione giuridica e attengono a problemi più delicati e complessi.
Bisogna trovare un equilibrio fra i modelli di consumo degli Stati industrializzati e le condizioni di vita dei paesi in via di sviluppo.
Sicuramente c’è lo spazio per la pubblica autorità, forse il diritto ambientale è lo spazio in cui più vi è l’esigenza di misure pubbliche, dato il carattere non individuale del bene ambiente, ed è importante che le decisioni siano prese dal potere pubblico.
Premesso questo, l’approccio non può essere solo giuridico: anzi esso viene in secondo ordine rispetto alla parola degli scienziati.

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