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Intervento alla Tavola Rotonda “La questione ambientale”, Università di Roma La Sapienza, 15 gennaio 2010

di - 26 Febbraio 2010
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  • La politica dell’ambiente:

Più volte si è parlato del concetto di “sviluppo sostenibile”: il Trattato della Unione Europea e i più recenti studi in materia di diritto ambientale riprendono il concetto.
Il concetto, anche se viene utilizzato dal giurista, non è strettamente giuridico, forse più economico – è stato prima sottolineato, per esempio, come la decrescita non sia strumento adeguato per risolvere le problematiche ambientali e crei ulteriori problemi -.
Il concetto di sviluppo sostenibile si interseca con i profili di carattere economico: prendendo l’esempio della montagna, il problema del riscaldamento nelle zone montane è avvertito con preoccupazione per tutti quei comuni dove l’economia turistica si basa soprattutto sul turismo invernale, legato alla neve e allo sport dello sci. Qui il tema dello sviluppo sostenibile si interseca anche nei dibattiti sull’adeguatezza delle scelte di chi continua ad investire sugli impianti sciistici a determinate quote di altitudine (scelte che possono variare in funzione del problema del surriscaldamento dell’atmosfera).
Abbiamo avuto al Consiglio di Stato una serie di controversie per la contestazione dell’ampliamento di alcuni comprensori sciistici sul territorio montano, ampliamento preceduto dal procedimento di VIA: è evidente che nuovi impianti sciistici producono un maggiore impatto ambientale, ma non per questo l’ampliamento è da considerarsi non consigliato, altrimenti la risposta a tali procedure sarebbe sempre negativa, esso va considerato all’interno del concetto di sviluppo sostenibile, valutando i pro e i contro e quali delimitazioni siano possibili.
A noi giudici molto spesso è assegnato il compito non facile di verificare se la valutazione di impatto ambientale (che spesso attiene più a profili economici – scientifici che giuridici), sia corretta e molto spesso ci si scontra con l’esigenza di carattere economico di consentire lo sviluppo in determinate zone – che altrimenti rimarrebbero limitate se non avessero l’ampliamento delle possibilità legate all’imprenditoria sciistica -, e con le previsioni sui benefit che può dare quello che, in maniera più o meno grave, è un sacrificio all’ambiente.
In Svizzera sostengono di non investire più al di sotto di 2000-2500 metri di altitudine, in Italia abbiamo quote più basse e si sta continuando ad investire, ma tutto questo è oggetto di discussioni, nell’ambito delle quali la politica non riesce a dare risposte adeguate.
Nel nostro ordinamento viene portata avanti con estrema difficoltà una vera politica ambientale, perché l’esigenza del politico spesso è legata al contingente, per dare risposte in un orizzonte temporale molto ma molto limitato, in quello di una o due legislature, mentre spesso le previsioni legate all’ambiente riguardano decenni, o comunque molti anni.
Quindi molto spesso la politica dell’ambiente, la gestione politica dell’ambiente è fatta da persone non del tutto adeguate.
Un po’ ci ha aiutato l’ordinamento comunitario, come ricordava il Prof. Satta all’inizio. L’ordinamento comunitario ha tre principi cardini dal punto di vista giuridico dell’ambiente: il classico principio di prevenzione, che intende prevenire gli effetti negativi sull’ambiente, il principio di precauzione e il principio del “chi inquina paga”.
Il principio “chi inquina paga”, badate bene, non è il classico principio relativo riferito a chi causa dei danni all’ambiente colposamente, e cioè con comportamento colposo o doloso, ma riguarda anche chi senza violare nessuna norma, perché autorizzato, causa un pregiudizio ambientale e per questo si deve far carico anche del ripristino.
In Italia abbiamo una serie di attività industriali che causano delle immissioni nell’atmosfera, nelle acque, nel terreno: queste immissioni devono rimanere entro dei limiti legali, ma ciò non significa che entro quei limiti l’impatto ambientale non ci sia; entro quei limiti l’impatto è accettabile e ciò sottointende il concetto di sviluppo sostenibile.
Allora è corretto che nell’esternalità a cui si faceva riferimento prima, rientrino una serie di prescrizioni imposte a quei soggetti a cui viene consentito di immettere qualcosa nell’atmosfera, nell’acqua. Perchè si facciano carico anche del rischio ambientale di queste opere.

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