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Introduzione all’ambiente

di - 22 Febbraio 2010
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Ma si deve dire qualche cosa di più, che riguarda ciascuno di noi. Ognuno nel proprio ambito è responsabile dell’ambiente nel quale si trova in un dato momento. La ragione è che tendenzialmente nessuna azione in materia ambientale è isolata. Non solo può essere ripetuta un numero n di volte – da chiunque si trovi in una certa situazione –, ma anche con effetti non prevedibili. L’esempio più macroscopico è stato quello dei balenotteri giunti morenti su una spiaggia qualche settimana fa. Erano stati uccisi da un piccolo numero di irresponsabili che avevano trovato tanto comodo disfarsi dei propri rifiuti buttando in mare le celebrate e nefaste buste di plastica.
Questo punto è di cruciale importanza. Noi concepiamo il diritto dell’ambiente come un settore del diritto pubblico, perché pensiamo l’ambiente come affidato alle cure dell’autorità amministrativa, che autorizza, vieta, reprime (c.d. command and control). La conseguenza è che tendenzialmente le persone pensano di non portare responsabilità ambientale, se non in casi estremi.
Ma è pensiero profondamente errato. Chi accende il riscaldamento e poi apre le finestre perché ha caldo – o semplicemente si mette in maniche di camicia – non viola alcuna norma e certamente reca un danno ambientale limitato nella sua individualità: né più né meno di quello che reca chi viaggia con automobili pesanti dai grandi consumi e dalle grandi emissioni. Immette nell’atmosfera una quantità di residui superiore a quella necessaria. Secondo le terribili leggi dei numeri i residui però si sommano, producendo un effetto fisico inimmaginabile se si pensa in termini di caso singolo. L’effetto serra non è altro che questo.
Si può dunque porre un punto fermo di questo genere: le norme, a qualunque fonte riferibili (dalla legge alle singole autorizzazioni), che dettano prescrizioni ambientali devono certamente essere rispettate. Ma il loro rispetto tendenzialmente non è sufficiente, proprio per effetto della legge dei grandi numeri. E ciò a prescindere dal fatto che il minimo medio può essere violato da qualcuno e quindi è indispensabile che ognuno cerchi di indurre spontaneamente consumi inferiori.
Ben consapevoli di questo, molti Stati stanno facendo ricorso alla leva economica per conseguire risultati, irraggiungibili con il sistema del command and control. La possibilità di essere ambientalmente virtuosi e quindi di poter cedere a terzi, a titolo oneroso, il diritto di immettere gas nell’atmosfera, costituisce un fortissimo incentivo allo sviluppo tecnologico in senso favorevole alla qualità dell’aria; lo stesso risultato perseguono gli ecoincentivi, ivi compreso il c.d. ecolabel, vale a dire una sorta di certificato di origine, riferito alla produzione.

5. Emergono così chiaramente sia il grandissimo fascino che il diritto dell’ambiente esercita sullo studioso, sia le difficoltà di fronte alle quali pone. Il fascino è che si tratta di un diritto intrinsecamente incompiuto. Il diritto privato conosce un sistema complessissimo di diritto sostanziale e processuale, capace di assorbire in sé la dinamicità propria della vita (si pensi semplicemente al contratto), chiudendola in una morsa giuridica – il giudicato e l’esecuzione. Si può legittimamente presumere che la tutela degli interessi sia la più piena possibile. Al diritto dell’ambiente tutto ciò è sconosciuto. Si deve conciliare la conservazione con la vita e la vita con la conservazione; conta il fatto che si siano ridotte le emissioni, senza che alcun giudicato possa avere effetti – anzi, forse senza poter essere neppure pensabile. Non a caso il diritto comunitario assume come canone fondamentale il principio di precauzione, e la correzione alla fonte del danno – che quindi resta!
La difficoltà è figlia o sorella, difficile dire, del fascino. Richiede l’azione di tutti. Gli ultimi sono forse i giuristi.

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