Intervento alla Tavola Rotonda “La questione ambientale”, Università di Roma La Sapienza, 15 gennaio 2010

Intervento alla Tavola rotonda del Master universitario di II livello in Diritto dell’Ambiente: “La questione ambientale” che si è tenuta a Roma il 15 gennaio 2010

Io sono un fisico, il ruolo che mi hanno affidato è quello di fare il profeta di sventura, ruolo che mi si addice perfettamente visto il contenuto di quello che vi devo raccontare: io vi dirò che cosa vuol dire, che cos’ è il c.d. surriscaldamento globale.
Dal punto di vista ambientale è sicuramente la più grande sfida che ci troviamo d’avanti, ed è una sfida che amplia molto i confini della responsabilità nazionale, molto aldilà dell’Unione Europea e dei paesi occidentali avanzati fino a coinvolgere, per la verità, tutti gli abitanti di questo pianeta.
Esiste un organismo incaricato dalle Nazioni Unite di studiare le conseguenze del riscaldamento globale, si chiama I.P.C.C. (Intergovernmental Panel on Climate Change), lo stesso che ha vinto il Premio Nobel per la pace del 2007, insieme ad Al Gore.
Circa l’anno scorso nel mese di agosto-settembre è uscita la prima raccomandazione dell’I.P.C.C.: incomincia a dire, prima di tutto, che il surriscaldamento globale c’è, ed è misurabile; ricorderete forse, che a lungo si è detto che questa serie di estati particolarmente calde, di inverni tiepidi, sono compatibili con la naturale variabilità del tempo, è un fatto noto che esistano estati più calde e meno calde e cose di questo tipo.
Nella metà degli anni ‘90 quando ancora la statistica mancava, il dubbio che questo fosse semplicemente una serie di anni eccezionali era ritenuto possibile, se non probabile, da molte persone di buon senso.
La prima conclusione dell’I.P.C.C. è che non ci troviamo di fronte ad una fluttuazione statistica ma ad una deriva verso temperature sempre più alte. La loro esplicita conclusione è che questa affermazione non è soggetta ad incertezze scientifiche; questo vuol dire che, al momento, non abbiamo nessuna misura né osservazione contraria a questa conclusione.
Per darvi un’idea di quanto è il riscaldamento, e vi potrà sembrare pochissimo, si parla di 0,7 gradi centigradi a partire dal 1900.
Voi siete troppo giovani per ricordarlo, ma i più anziani di questa stanza si ricorderanno di quelle belle estati in cui c’erano solo 3-4 giorni di caldo l’anno, non c’era bisogno di condizionatore, in inverno in montagna, sulle Alpi, cadevano fra i 5 e gli 8 metri di neve (ora ne cadono solamente fra 1 e 3); quest’enorme differenza, se non altro nelle memorie dei nostri genitori, è il prodotto di 0,7 gradi di riscaldamento, ve lo dico perché presto arriveremo ad  un riscaldamento di 6 gradi che voi siete sufficiente giovani per vedere, ciò serve a darvi la misura. Questa, cioè che il riscaldamento globale esiste, è la prima delle conclusioni dell’I.P.C.C..

La seconda conclusione è meno sicura: secondo l’I.P.C.C. siamo sicuri al 90% che il riscaldamento sia opera dell’attività umana, questa è la grossa seconda conclusione.
Dopodiché l’I.P.C.C. ha emesso una serie di altri rapporti su quello che si può fare per mitigare e affrontare la situazione da un punto di vista tecnico-scientifico, ove, si badi bene, il punto di vista tecnico scientifico assume un budget illimitato e una disponibilità dei governi totale.
La conclusione che “è colpa nostra” è la conclusione sulla quale è stato espresso maggior scetticismo, ma ci tengo a sottolineare che le conclusioni della I.P.C.C. sono state sottoscritte dalle 40 accademie scientifiche più importanti del mondo: americane, francesi, tedesche, svizzere, russe, ecc.. L’argomento principale di critica contro il riscaldamento globale riguarda l’inadeguatezza dei modelli scientifici di predizione dell’entità dell’aumento della temperatura.
Una (forse la principale) maniera in cui l’I.P.C.C. ha aggirato queste critiche utilizza uno strumento totalmente diverso: lo studio della correlazione tra la temperatura della terra e la quantità di gas serra nell’atmosfera nel passato. Può sembrare una cosa strana se non siete dei geologi o dei biologi (che lo sanno benissimo!) ma la Terra non ha mai avuto una temperatura fissa, basta pensare che l’Italia è stata in passato popolata da leoni e gazzelle. Forse non sapete che a Reggio Calabria nel Museo Nazionale della Magna Grecia è presente una sezione dedicata agli animali che abitavano l’Italia: tra questi gli elefanti nani siciliani, esempio da manuale del classico “nanismo da isola”, perché non essendoci predatori, non vi era, infatti, l’esigenza di essere di grosse dimensioni per difendersi, gli scheletri di questi elefanti nani sono stati trovati tra la Sicilia e la Calabria, che allora erano unite da un lembo di terra naturale; in passato la parte dell’Italia del Nord è stata sotto i ghiacci, come dimostrano le popolazioni di animali dei climi freddi, che sono sopravvissute  in Europa, dopo che i ghiacci si sono ritirati, solo vicino alle Alpi: una volta, infatti, stambecchi e mufloni correvano liberi e felici lungo quello che era affiorato della pianura padana.

Nota
Trascrizione dell’intervento del Prof. Mario Vietri al Master universitario di II livello in Diritto dell’Ambiente dell’Università La Sapienza di Roma in occasione della Tavola rotonda “La questione ambientale”.

Il clima della terra ha oscillato tra temperature molto più fredde e molto più calde del clima attuali. In particolare le ere geologiche fredde ultimamente si susseguono ogni 100 mila anni circa con un breve periodo di ere inter-glaciali di circa 10 mila anni. In questo momento ci troviamo verso la fine dell’era interglaciale (cioè verso la fine della fase calda). Probabilmente non è nemmeno un caso che le nostre civiltà si siano sviluppate proprio all’inizio della calda fase interglaciale: la scoperta/invenzione dell’agricoltura nella Mezza Luna fertile, e poi in Cina e in Sud America, che ci ha essenzialmente affrancato dalla fame, ha luogo poco dopo l’inizio della fase calda del clima terrestre.
Il fatto che la terra non abbia avuto sempre la stessa temperatura ci permette di chiedere: quando era più calda la temperatura vi era più CO2? Vi era più metano? E per contro quando era più fredda la temperatura vi erano meno CO2 e metano?
La risposta che fornisce l’I.P.C.C. è sì.
Siamo in grado di tracciare questa correlazione fra i due elementi soltanto per un periodo di circa 60 milioni di anni (la Terra ha 4 miliardi e mezzo di anni), durante i quali quando la concentrazione di CO2 era elevata la temperatura era alta, quando più bassa la temperatura era più bassa: fra i due c’è una stretta correlazione. In compenso noi sappiamo, per misure dirette, che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è passata dai 270 a 380 parti per milione, dall’inizio alla fine del 1900.
Noi ne siamo la causa, perché tutti gli altri fattori naturali (tranne uno, di cui tratteremo a breve) si sono ridotti, la conclusione “è colpa nostra” è una conclusione che non ha lo stesso grado di certezze rispetto alla conclusione che la nostra Terra si sia riscaldata (affermazione che non si può negare, si può discutere se sia grave o meno ma non sul fatto che si sia riscaldata).
La colpa è nostra? Quasi sicuramente la risposta è sì.

La domanda successiva è: cosa ci aspetta?
Questo è difficile da dire perché ha a che fare con i modelli, sino ad ora con i nuovi modelli siamo in grado di ricostruire con discreta fedeltà il clima della Terra nel passato, ma dato che tali modelli non sono così perfetti ovviamente getta un’ombra sulla credibilità delle proiezioni per il futuro: dato che non sappiamo ricostruire fedelmente il passato non siamo nemmeno capaci di fare previsioni totalmente attendibili per il futuro.
Vi posso dire che i modelli prevedono, ammettendo che le nostre emissioni di gas serra continuino al ritmo presente, ma includendo in più l’aumento del tenore di vita dei paesi economicamente emergenti come Cina, India e Brasile, che entro il 2100 la temperatura aumenterà di 6 gradi.
Vi rendete conto di cosa ciò voglia dire?
C’è qualcuno del Sud fra di voi? Quanto diventerà la temperatura media di Reggio Calabria o di Palermo durante l’estate? Oltrepasserà i 40 gradi. Se aggiungiamo 6 gradi alla media presente, la temperatura massima media raggiungerà i 40 gradi. I 40 gradi saranno allora una costante quotidiana, non solo un evento eccezionale durante un’ondata di calore.
Ci sono già posti sulla Terra in cui in estate la temperatura supera i 40 gradi: ma chi di voi vuole andarci in vacanza? Andate a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti? Si muore di caldo in estate, ci si può andare in marzo, quando la temperatura media è di 30-35 gradi.
Questo è l’ordine di grandezza di quello che ci si può aspettare.
Ripeto: il cambiamento dall’inizio del 1900 ad oggi è di 0,7 gradi, l’ulteriore cambiamento è 6 gradi.
6 gradi vuol dire lo scioglimento di tutte le calotte artiche, completamente, dopodiché bisogna avere la pazienza di attendere alcune migliaia di anni perché si possano riformare, ammettendo che la temperatura ritorni ai valori odierni.

Vorrei ora brevemente svolgere alcune riflessioni sul riscaldamento globale.
Il primo punto è che, di per sé, l’idea che la Terra possa diventare più calda, non è un’idea automaticamente spaventosa: se la Terra è stata più calda in passato, molto più calda di com’è oggi, allora perché ci dobbiamo preoccupare? Incominciamo con il dire che rischiamo di perdere buona parte delle specie animali e delle piante, perché i cambiamenti climatici normalmente avvengono su lunghe scale di migliaia di anni, mentre oggi noi rischiamo di causare questo tipo di cambiamenti in meno di 100 anni.

Quando causiamo l’estinzione di alcune specie le conseguenze possono essere immense. Per fare un esempio concreto ve ne dico una che vi sorprenderà: le api, la cui popolazione sulla Terra è diminuita di un terzo rispetto agli anni ‘70, sono fondamentali per il 90% delle impollinazioni, se perdiamo le api noi rischiamo di perdere le specie vegetali, e coloro che si nutrono di queste, cosa mangeranno? Potreste forse pensare che, poiché noi siamo in parte carnivori, potremmo cavarcela mangiando animali, ma questi (che sono ovviamente erbivori) di cosa si nutriranno? Questo punto delicato illustra bene i rischi del causare estinzioni di massa nel nostro ambiente.
La verità è che non siamo ancora in grado di prevedere quello che succederà in conseguenza di cambiamenti così epocali. Le conseguenze dal punto di vista biologico possono essere disastrose.
Un grave pericolo viene dalla riduzione della biodiversità: all’interno di una popolazione, la biodiversità agisce così da poter porre rimedio a cambiamenti radicali dell’ambiente e ridurre il rischio di estinzione di ciascuna specie.  Un esempio classico: con il DDT non abbiamo sterminato tutti gli insetti perché nel loro make-up genetico c’era sufficiente variabilità. Ora la quasi totalità degli insetti è insensibile al DDT, perché discendono da genitori che sono i soli sopravvissuti al nostro uso su larga scala del DDT. Questo incidentalmente è il motivo per cui i medici ora sono contrari all’abuso degli antibiotici: sono già state trovate molte specie di batteri che sono ormai immuni all’utilizzo degli antibiotici più comuni, e rispondono solo ai trattamenti con pochi (talvolta uno solo!) antibiotici più moderni.
Questi esempi trattano forse specie che non tutti amano (insetti e batteri) ma, a parte il fatto che essi svolgono funzioni fondamentali per la nostra sopravvivenza (si pensi alle api), i due esempi illustrano l’importanza della biodiversità intraspecifica.

La seconda riflessione riguarda la vastità e difficoltà del problema presentato dal riscaldamento globale. Si potrebbe pensare che si tratta di un problema facile come quello del cosiddetto “buco” nella distribuzione circumpolare dell’ozono … ma non è così.
Il buco nell’ozono è causato esclusivamente da un componente chimico, il tetracloruro di carbonio, che viene utilizzato in una sola industria, quella dei refrigeratori: condizionatori e frigoriferi. È stato dunque facilissimo metterlo al bando in tutti i paesi e ridurne drasticamente le immissioni nell’atmosfera. Come conseguenza, la protezione dell’ozono si sta ripristinando.
(Per chi non lo sapesse: l’ozono blocca le radiazioni X e gamma provenienti dal cielo, in massima parte dal Sole, e ci permette di non morire tutti di tumore). Oggi noi consideriamo quello dell’ozono un problema risolto.
Purtroppo i gas serra sono tanti con origine diversissime: per esempio, uno dei gas serra è il metano, che viene prodotto in massima parte dal bestiame: le vacche producono una quantità di metano spaventosa, per questo spesso muoiono di meteorismo.
La nostra esperienza è che una dieta ricca di proteine, altamente proteica, è un classico attributo delle società affluenti occidentali.
Un miliardo e mezzo di cinesi e un miliardo di indiani prima o poi svilupperanno stili di vita occidentali: poiché una dieta altamente proteica fa parte di questi modi di vivere, ci aspettiamo che il consumo di proteine sotto forma di carne bovina aumenterà, e con esso le emissioni di metano.
Le automobili sono ovviamente fra i principali inquinatori, ma si parla più raramente delle auto diesel: secondo voi questo succede perché inquinano meno?
La risposta è no, se ne parla meno perché il 97% dell’inquinamento del diesel non viene dalle automobili ma dalle grande navi (i freighters) che trasportano le merci da un paese all’altro.
Si può anche sopprimere il 3% delle automobili ma resta il 97% delle emissioni che sono dovute al nostro bisogno di scambi economici. Mentre si può pensare a sistemi alternativi per la mobilità individuale, non possediamo ancora una tecnologia alternativa per la propulsione delle navi.
C’è una dunque una enorme eterogeneità degli agenti inquinanti.

Infine vorrei concludere con una nota vagamente ottimista.
Ed è: in uno scenario realistico in cui la temperatura della terra aumenta di 6 gradi, noi ovviamente perdiamo le coltivazioni dei paesi classici, il Medio Oriente, Spagna, Grecia, Italia. Ma questo non vuol dire che siamo destinati a morire di fame perché divengono coltivabili terre come la Siberia e il Canada, che attualmente non lo sono. Si tratta di superfici gigantesche, nelle quali si trasferiranno gran parte delle coltivazioni (vi saranno le melanzane della Siberia e il Canada diverrà la terra della vite e dell’ulivo!); in linea di principio non è una situazione disperata.

Aggiungiamo a questo il dato rassicurante che la Siberia ha un consumo di 50 miliardi di tonnellate di acqua dolce all’anno a fronte di una raccolta di 4500 miliardi di tonnellate, c’è un margine così ampio che permetterà di irrigare non solo le coltivazioni ma anche di esportare l’acqua proprio come ora viene esportato il gas. Desidero ripeterlo: la Siberia ha 4500 miliardi di tonnellate di acqua e ne usa solo 50, non è una situazione senza speranze.
Nonostante questo, sorgono spontanee altre preoccupazioni: chi andrà a coltivare la Siberia?
Se immaginate la penisola indiana desertificata e una Cina in buona parte desertificata, 2 miliardi e mezzo di cinesi ed indiani dove andranno?
Ci si aspettano nei prossimi 100 anni cambiamenti che dal punto di vista scientifico sono drammatici ma non sono meno drammatici da un punto di vista sociale. E per esemplificarlo, concludo dicendo che i Cinesi hanno un piano (fortunatamente allo stato solo un piano) per deviare il corso dei grandi fiumi indiani che hanno origine sull’Himalaya, che si trova in territorio cinese, rifornendosi così d’acqua a spese degli indiani. Immagino sia inutile sottolineare la gravità di un conflitto su una risorsa così fondamentale, fra due potenze entrambe dotate di armi atomiche.