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Contraddittorio e partecipazione nel procedimento amministrativo

di - 12 Gennaio 2010
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6. La legge sul procedimento amministrativo del 1990. Solo all’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso venne approvata una legge[8] che dettava “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di accesso ai documenti amministra­tivi”. Senza che alcun dibattito ad ampio spettro la avesse preceduta, il capo III di questa legge introduceva il concetto (ed in realtà il principio) della parte­cipazione al procedimento amministrativo, disponendo che di tutti i procedimenti amministrativi dovesse essere comunicato l’avvio, che sostanzialmente chiunque vi avesse interesse poteva presentare documenti e osservazioni e che il procedimento potesse essere chiuso anziché con provvedimento formale, con un accordo. La legge n. 241/1990 è molto più nota per un altro suo capo, quello dedicato all’accesso: salve alcune eccezioni, fondate su serie ragioni di merito, tutti i documenti dell’amministrazione erano divenuti accessibili a chi avesse un interesse giuridicamente significativo a conoscerli.
La normativa sulla partecipazione non venne accolta dalla dottrina con l’entusiasmo che avrebbe meritato. Da molti venne ritenuta fonte di rallentamento dell’azione amministrativa, anziché strumento per amministrare seguendo un metodo ispirato all’idea della condivisione, e non dell’imposizione autoritaria di una scelta. La legge ebbe però subito un riconoscimento di grande significato da parte della giurisprudenza, da cui sarebbe potuto nascere l’ordo novus dei rapporti tra cittadini ed amministrazione. Si disse immediatamente che i provvedimenti, adottati senza previa comunicazione dell’avvio del procedimento, erano illegittimi per questa sola ragione, e dovevano quindi essere annullati.

7. Due colpi di freno. Sennonché, come tutti sanno, nei primissimi anni del nuovo millennio, con il d. l.vo n. 15/2005 vi sono state rilevanti battute d’arresto nell’evoluzione della disciplina dei procedimenti amministrativi. È tornato in auge il silenzio, di cui sono state create forme nuove, fino a quella, incredibile, del silenzio che in via ordinaria ha valore di provvedimento espresso. Si è dilatata la dichiarazione di inizio di attività, senza aver il coraggio di sopprimere la necessità di un intervento delle amministrazioni in mille casi minori; ma si è parimenti dilatata la possibilità di “pentimenti” dell’amministrazione, che può revocare o annullare gli effetti di autorizzazione implicita, propri della dichiarazione di inizio di attività e del silenzio – cioè, delle più rilevanti, anche se non pienamente condivisibili, misure acceleratorie introdotte. Soprattutto, per quanto qui rileva, si è introdotta la regola che, se l’amministrazione dimostra in giudizio che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, il provvedimento stesso non può essere annullato per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 21 octies introdotto nella legge sul procedimento amministrativo, 7 agosto 1990, n. 241).
Quest’ultima norma è molto grave, perché relega il contraddittorio – tipica garanzia ex ante – ad  un ruolo puramente eventuale. Il giudice è stato reso arbitro della necessità del contrad­dittorio ex ante: compete a lui dire ex post se per caso si sarebbe potuto decidere diversamente da quel che aveva fatto l’amministrazione. Ma il contraddittorio è ex ante o non è. Basti pensare al caso, non certo impossibile, dell’esecuzione immediata di un provvedimento non preceduto da comunicazione di avvio del procedimento: si può dunque arrivare al paradosso dell’esecuzione consumata e del provvedimento annullato.  Ogni commento è inutile.
Infine, in una recentissima sentenza delle Sezioni Unite relativa all’irrogazione di una sanzione in materia finanziaria[9] si legge (p. 35 del testo ufficiale) che il principio del contraddittorio “deve pur sempre modellarsi in concreto (enfasi nell’originale), in funzione cioè dello stato in cui si trova la procedura al momento dell’acquisizione delle ulteriori prove, e non implica af­fatto, di per sé, la necessità della relativa assunzione alla costante presenza dell’interessato”. In concreto, dice la Corte, il ricorrente “non pare prospettare alcun reale e pertinente argo­mento idoneo a dimostrare una concreta lesione del diritto di difesa” vista l’ampiezza e la consistenza delle sue difese anche in relazione a certa documentazione “sopravvenuta alla scadenza del termine così come diacronicamente e intempestivamente acquisita dalla Divi­sione …” dell’Autorità di vigilanza. La sentenza prosegue con l’enunciazione del principio che il contraddittorio costituisce diritto inviolabile nel processo – civile, amministrativo, penale, contabile, tributario –, ma non nel procedimento amministrativo.

8. Contraddittorio e partecipazione. Nelle pagine che precedono si sono indistintamente utilizzate le parole “contraddittorio” e “partecipazione”. Lo si è fatto seguendo la prassi corrente, che, con riguardo al procedimento amministrativo, attribuisce loro sostanzialmente le stesso significato.
Contraddittorio e partecipazione non sono però la stessa cosa. Il contraddittorio è nato e cresciuto nel processo. Il principio del contraddittorio dice che nessuno può essere soggetto alla decisione di un giudice, se non ha avuto la possibilità di rappresentare i fatti, addurre prove, esprimere la propria opinione, contro dedurre, contrattaccare etc. Esso è dunque una fondamentale espressione del diritto di difesa, divenuto principio generale che presiede allo svolgimento di ogni processo, sancito in Italia dall’art. 24 della Costituzione (“La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”). La sua forza è tale da aver condotto alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di un gran numero di norme dei codici di procedura civile e penale e di altre leggi speciali che in qualche modo impedivano o gravemente ostacolavano l’esercizio del diritto di difesa (ad es., per la eccessività brevità dei tempi concessi per la difesa o per l’esistenza di improprie presunzioni di conoscenza di determinati atti del giudizio), fino a giungere alla radicale riforma del processo penale del 1988, trasformato dal nuovo codice da inquisitorio in accusatorio.

Note

8.  È la l. 17 agosto 1990, n. 241.

9.  Cass. 30 settembre 2009, n. 20935.

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