Joseph Conrad e l’accordo di Copenhagen

Incredulità. Questa è la prima reazione che si prova leggendo le tre pagine del Copenhagen Accord e scoprendo i due allegati in bianco (format). Il feeling iniziale, certamente non positivo, diventa valutazione severa nel ricordo delle promettenti dichiarazioni dei Grandi della Terra nel corso dei Summit 2009 di L’Aquila, di New York e di Pittsburgh. Le ragioni di tale incredulità (e della successiva severità) sono tutte collegate a ciò che nell’Accordo non c’è:

  1. Non sono previsti obiettivi di riduzione delle emissioni nocive.
  2. Non sono previsti impegni per contenere l’incremento della temperatura al di sotto dei 2 gradi Celsius.
  3. Non sono previsti impegni finanziari chiari. Il “Funding Commitment” dei paesi sviluppati per le azioni di “adaptation and mitigation” nei paesi in via di sviluppo è quantitativamente limitato  e, comunque, estremamente vago per quanto riguarda il “sourcing”. Il testo prevede in particolare “wide variety of sources, public and private, bilateral and multilateral, including alternative sources of finance”( la inconsueta genericità della clausola è di tutta evidenza).
  4. Non sono previsti i contenuti specifici dei due allegati. In realtà in allegato all’Accordo si trovano due Annex, assolutamente in bianco, da “riempire” (ovviamente su base volontaria) in conformità a quanto previsto dall’articolo 4 del Paper (“Annex I Parties commit to implement individually or jointly the quantified economy-wide emissions targets for 2020, to be submitted in the format given in Appendix I by Annex I Parties to the secretariat by 31 January 2010 (…). Annex I Parties that are Party to the Kyoto Protocol will thereby further strengthen the emissions reductions initiated by the Kyoto Protocol (…). Non-Annex I Parties to the Convention will implement mitigation actions, including those to be submitted to the secretariat by non-Annex I Parties in the format given in Appendix II by 31 January 2010 …”).
  5. Non sono previsti elementi di novità per lo sviluppo e il trasferimento delle tecnologie necessarie per contrastare il global warming. Al riguardo il testo è, ancora una volta, di sconfortante genericità: “In order to enhance action on development and transfer of technology we decide to establish a Technology Mechanism to accelerate technology development and transfer in support of action on adaptation and mitigation that will be guided by a country-driven approach and be based on national circumstances and priorities”.
  6. Non sono previsti tempi certi per la “effective date” del presunto Accordo. Infatti il paper contiene la seguente disposizione che nulla chiarisce al riguardo: “We call for an assessment of the implementation of this Accord to be completed by 2015, including in light of the Convention’s ultimate objective”. Resta in particolare misterioso il rapporto tra questa scadenza temporale e le altre tempistiche di formalizzazione (eventuale) degli impegni negoziali.
  7. Non sembrano sussistere i requisiti giuridici necessari per considerare il testo un vero Accordo. Infatti il paper distribuito dagli Organismi ufficiali della Conferenza di Copenhagen è privo di qualsiasi sottoscrizione negoziale e contiene il seguente incipit “The Conference of the Parties takes note of the Copenhagen Accord of 18 december 2009”. In realtà il testo, allo stato, potrebbe essere considerato un Accordo senza parti contraenti e, conseguentemente, giuridicamente irrilevante. In tale contesto non sembrano sussistere i presupposti per l’annuncio alla Comunità internazionale della definizione di un Accordo.

Le reazioni della stampa internazionale sono state tutte caratterizzate dalla consapevolezza della disperante limitatezza dei risultati della Conferenza anche se non sono mancate sfumature diverse nella valutazione complessiva della situazione. “UN averts climate collapse by ‘noting‘ new deal” titola il giornale inglese “The Independent”. Il New York Times sottolinea che l’accordo è stentato ed avaro (A Grudgind Accord in Climate Talks). “The Economist” sintetizza: “Better than nothing”. Il francese Le Monde ha titolato “Les affaires du monde soumises au tandem Chine-Etas-Unis”. Lo spagnolo  El Pais ha definito il paper di Copenhagen “pacto de minimos”.
In realtà la situazione che si è venuta a creare è lontanissima da ciò che il nuovo scenario climatico e  ambientale imporrebbe (ed impone) per la difesa del nostro Sistema produttivo e sociale e delle chances di vita individuali. Il magistero di Hans Jonas non è stato ricordato e non è stato seguito: ” Il futuro dell’umanità costituisce il primo dovere del comportamento umano collettivo (…). In esso è evidentemente incluso il futuro della natura in quanto condizione sine-qua-non[1].
In questa situazione – per diversi aspetti veramente paradossale, anche alla luce della gravità delle criticità climatiche – il ricordo va  a Conrad [2] e al “grido sussurrato” di Kurtz  (“The horror! The horror!”):  ma nel nostro caso non si tratta della morte dell’agente dei mercanti d’avorio ma di un colpo, potenzialmente letale, alla nostra Terra-Patria, per usare una espressione cara a Edgar Morin. All’orrore si unisce lo stupore per la miopia strategica e politica che ha governato la chiusura al ribasso della Conferenza a fronte di preoccupazioni crescenti manifestate, anche di recente, in sedi ufficiali proprio da coloro che poi hanno messo la COP 15 di fronte al fatto compiuto. Ma sorprendono anche alcune dichiarazioni utilizzate nei confronti della stampa e, in generale, della opinione pubblica internazionale per descrivere i risultati raggiunti dalla Conferenza : si fa riferimento ad un Copenhagen Accord ma, in realtà, non sembra sussistere nessun reale Accordo (binding o not-binding)per ragioni connesse sia alla forma che ai contenuti.

Nessuno può negare la grande  complessità e la estrema difficoltà del negoziato sul clima. Questo dato inconfutabile non esime però dall’obbligo di rappresentare esattamente all’ opinione pubblica la situazione venutasi a creare in una Conferenza così importante per le sorti del genere umano. Se non è possibile giungere ad un Accordo, ciò deve essere rappresentato alla comunità internazionale in modo chiaro e senza esitazioni. Se è necessario altro tempo per definire gli impegni di ciascuno, si deve rappresentare apertamente la necessità di un “postponing” della chiusura del negoziato senza annunciare al Mondo la definizione di accordi che, ad attento esame, potrebbero risultare addirittura privi dei necessari presupposti giuridici. Nelle nostre Società aperte  una Governance coerente con la serietà dei problemi climatici impone una chiarezza totale nella comunicazione: questo è un principio  irrinunciabile perché ci consente di conoscere la realtà, il limite, l’errore  e la sua possibile correzione, e di porre in essere, anche a livello di Società civile, tutte le azioni necessarie per tentare di  gestire e modificare la situazione venutasi a creare difendendo concretamente la nostra Terra, la nostra “casa comune” (come amava dire Aldo Leopold).
E mentre ciascuno di noi già pensa positivamente ai possibili rimedi per consentire nel futuro la difesa del nostro Pianeta, del nostro Sistema e delle chances di vita individuali, una parte della nostra mente indugia sugli eventi negativi e sulle preoccupazioni che abbiamo descritto. Il ricordo torna a Conrad: “Il mare aperto era sbarrato da un nero banco di nubi, e la tranquilla via d’acqua che porta agli estremi confini della terra scorreva sotto un cielo plumbeo; sembrava condurre nel cuore di un’immensa tenebra”[3].

Note

1.  Hans Jonas – Il principio responsabilità – Einaudi, pg. 175

2.  Joseph Conrad – Cuore di tenebra – RCS libri S.P.A.

3.    Joseph Conrad – Cuore di tenebra – RCS libri S.P.A.