Produzione di energia da fonti rinnovabili in Italia, analisi delle attuali problematiche normative e sostanziali per un concreto sviluppo del settore

La produzione di energia da fonti rinnovabili, il cui obiettivo vincolante per l’Italia al 2020, ai sensi della Direttiva 28/2009/CE, è fissato al 17% sui consumi finali di energia, è ormai uno strumento fondamentale per il rispetto degli impegni assunti in sede internazionale per la protezione dell’ambiente.  Il rispetto di questo target, attraverso l’investimento in energie da fonti rinnovabili, rappresenta così una grande opportunità, non solo per l’effetto benefico sul clima e sull’ambiente, ma anche in termini sociali e occupazionali.

Secondo lo studio dello IEFE, il centro di ricerca in energia e ambiente della Bocconi, pubblicato nel maggio 2009 per il GSE (Gestore Servizio Elettrico), è stato infatti rilevato che le politiche energetiche del pacchetto europeo ‘Clima-Energia’ potranno garantire notevoli possibilità di sviluppo occupazionale. Lo studio prevede che, attraverso un valore medio di investimenti di 8 miliardi di euro all’anno fino al 2020, il potenziale occupazionale raggiungibile nel settore delle rinnovabili in Italia è di 250 mila posti di lavoro al 2020 nel solo settore elettrico. La capacità di trattenere in Italia il valore degli investimenti e quindi il potenziale occupazionale disponibile, dipenderà dalla capacità dell’industria italiana di rispondere alla domanda degli sviluppatori di impianti, di diversificare la produzione verso le nuove tecnologie rinnovabili, di valorizzare la filiera produttiva e di reggere la sfida dei produttori internazionali. Evidente come, a tale scopo, la politica pubblica nazionale dovrebbe svolgere un ruolo primario nel creare un sistema nazionale per le fonti rinnovabili sempre più competitivo a livello internazionale.
L’investimento nelle rinnovabili avrebbe anche un importante effetto sociale, essendo una parte consistente della nuova occupazione localizzabile nelle regioni meridionali. Uno studio dell’Anev (Associazione Nazionale Energia dal Vento), pubblicato nel 2008 e frutto di un protocollo di intesa con UIL, ha spiegato come realizzando il potenziale eolico di 16 GW al 2020, potrebbero essere creati oltre 66 mila nuovi posti di lavoro nel settore dell’energia eolica, di cui un terzo nell’occupazione diretta e due terzi nell’indotto. Dalla simulazione effettuata risulta che, attraverso un incremento medio annuo di potenza installata pari a 1.100 MW, si creerebbero oltre 5.000 posti di lavoro all’anno. Il potenziale di occupazione delle regioni italiane tradizionalmente con maggiori problemi di disoccupazione sarebbe molto alto. Per queste regioni, in particolare per le regioni dell’Italia meridionale come Puglia, Campania e Sicilia, l’investimento in energia eolica può significare così un’importante occasione di rilancio e sviluppo. Importanti opportunità occupazionali sono presenti anche nel solare: secondo l’ISES (International Solar Energy Society) nel solare fotovoltaico, installando 7,5 GW al 2020, si possono ottenere 87mila posti di lavoro entro il 2020, mentre secondo l’Estif (European Solar Thermal Industry), con 12 GW installati nel solare termico si otterrebbero alla stessa data almeno 66 mila nuovi posti di lavoro.

Si comprende, dunque, come le prospettive di investimento nelle rinnovabili siano molto interessanti e rappresentino per l’Italia un’opzione molto valida proprio dal punto di vista occupazionale oltre che per l’ambiente.

Tuttavia non può non rilevarsi come notevoli siano ancora oggi gli ostacoli, sia normativi che sostanziali, ad un suo serio sviluppo.
Il quadro delle competenze delineato dalla giurisprudenza costituzionale sui principi della sussidiarietà e sul modello cooperativo della leale collaborazione[1] si staglia oggi su di un assetto problematico delle relazioni tra Stato e Regione in relazione alle procedure energetico ambientali. Tali sovrapposizioni, associate talvolta ad un’arbitraria e poco efficiente gestione delle procedure autorizzative da parte delle pubbliche amministrazioni competenti, nonché ad un’inerzia dello stesso legislatore per la corretta implementazione della disciplina vigente, ivi compresa la mancata definizione del burden-sharing regionale, comportano seri ostacoli per lo sviluppo effettivo del settore, con forti danni per la tutela ambientale ed inesorabili ed ingenti perdite di opportunità da un punto di vista economico.

Per quanto riguarda il quadro delle competenze in materia di politica energetica, si delinea attualmente uno scenario sempre più confuso. Il decreto legislativo n. 112/1998[2], ha infatti individuato la riserva statale della definizione degli indirizzi di politica energetica nazionale, del coordinamento della politica energetica regionale, della determinazione dei criteri tecnico-costruttivi e delle norme tecniche essenziali degli impianti di produzione, conservazione e distribuzione dell’energia, nonché di tutte le funzioni legate alla sicurezza energetica nazionale, attribuendo espressamente alle regioni le competenze sulla concessione di contributi per progetti di impianti che utilizzano fonti alternative e per la costruzione o la riattivazione di impianti idroelettrici, e l’adozione di norme per la certificazione energetica degli edifici. A tale competenza regionale si sommano le attribuzioni di cui le regioni risultano provvisoriamente attributarie, finché non delegate con legge regionale agli enti locali, in base al principio di sussidiarietà[3]. Un primo problematico conflitto può così essere individuato in caso di co-programmazione degli strumenti da utilizzare in ambito energetico, tra il piano regionale (cfr PEAR) ed il  programma provinciale, in particolare in materia di utilizzo e promozione delle fonti rinnovabili, per cui ovviamente sarebbe auspicabile il massimo coordinamento in proposito tra gli Enti coinvolti.

Inoltre, ai sensi delle modifiche introdotte al titolo V della Costituzione, la materia relativa a «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» è stata trasferita nell’ambito della potestà concorrenti delle regioni (art. 117, comma 3), causando forti difficoltà nel quadro delle competenze tra i vari livelli di governo. Infatti, se ai sensi dell’art. 117 Cost. spetta allo Stato la competenza legislativa concorrente, che ha il compito di dettare i «principi fondamentali» della materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, la potestà regolamentare spetta alle regioni. La presenza di materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, di natura «trasversale» rispetto all’energia, come il tema della tutela della concorrenza, della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici, o della tutela dell’ambiente, crea così gravi conflitti, con reciproche invasioni di competenze ed eccessiva difformità delle legislazioni regionali.

A tale scenario devono poi sommarsi talune problematiche in termini sostanziali che non possono che aggravare la già delicata situazione sin’ora descritta.
In Italia, è importante precisare, la disciplina vigente (art. 12 del D.lgs. 387/03[4] attuativo della Direttiva 2001/77/CE) stabilisce come principio fondamentale la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure autorizzative, disponendo che la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili siano soggetti ad unaautorizzazione unica (che costituisce, anzi dovrebbe costituire in termini brevi e ben definiti,  il titolo a costruire l’impianto in linea con il progetto approvato), rilasciata dalla regione o da altro soggetto da essa delegato su istanza dell’interessato, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico.
Come precedentemente riferito, frequenti ritardi nelle procedure da parte della pubblica amministrazione procedente comportano spesso profonde incertezze negli investitori anche a causa dei costi che sono costretti a sostenere per far valere le proprie istanze, fenomeno ampiamente analizzato e censurato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in ossequio ‘all’intento del legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione[5]’ per cui ‘l’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile è propriamente considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità e le opere relative sono dichiarate indifferibili ed urgenti proprio ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.lgs. 387/2003, anche in considerazione del fatto che la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra attraverso la ricerca, la promozione, lo sviluppo e la maggior utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie avanzate e compatibili con l’ambiente costituisce un impegno internazionale assunto dall’Italia con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997 .’
In questo senso la Corte Costituzionale già nel 2006[6], chiamata a pronunciarsi sull’attuale quanto riprovevole tema delle c.d. moratorie dei procedimenti che riguardano gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, interveniva a dichiarare l’illegittimità costituzionale della prassi delle Regioni di rinviare, a volte anche sine die e con grave danno per gli interessati, i procedimenti di autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel caso di specie veniva censurata la legge regionale Puglia nella parte in cui sospendeva, nelle more della approvazione del Piano Energetico Regionale, e comunque fino al 30 giugno 2006, sia le procedure di VIA che le procedure autorizzatorie ex art.12, D.Lgs. n. 387/2003, riguardanti parchi eolici. Ai sensi della pronuncia citata e come disposto dalla legge ‘il termine massimo per la conclusione del procedimento amministrativo di verifica e controllo delle condizioni necessarie al rilascio dell’atto non può comunque essere superiore a centottanta giorni e l’indicazione di questo termine non è una semplice indicazione di massima, bensì un principio fondamentale nella materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’.
Tali principi venivano da ultimo ribaditi nella recente sentenza n. 282/2009 in relazione alla legge regionale Molise n. 15 del 2008, per cui la Corte,  dopo aver ribadito ancora una volta come “la normativa internazionale, quella comunitaria e quella nazionale manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni per una adeguata diffusione dei relativi impianti ‘’ ha censurato con fermezza gli art.li 3 e 5 della suddetta legge, in quanto avrebbero determinato «di fatto», la sospensione delle autorizzazioni di determinati impianti sino alla ripartizione degli obiettivi tra le Regioni[7], attraverso una “sorta di moratoria sino alla definizione degli obiettivi indicativi regionali”.
Tale costante orientamento giurisprudenziale conferma così come la prassi di sospendere le procedure autorizzative sia da considerarsi pacificamente illegittima, per cui come confermato da una recente sentenza del Tar Palermo[8] il silenzio della pubblica amministrazione sull’istanza di autorizzazione unica per impianti da fonti rinnovabili (anche in materia di procedura di VIA[9], valutazione impatto ambientale)[10] ha natura inequivocabile di silenzio inadempimento.

E così, accertata l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione Regionale sulle istanza formulate dall’interessato oltre i 180 giorni, su ricorso dell’interessato potrà ottenersi (non senza ingenti aggravi di costi e tempi) un’eventuale declaratoria del Tar dell’obbligo del competente Assessorato di provvedere sulla stessa, adottando la determinazione conclusiva del procedimento nel termine di 90 giorni dalla comunicazione, ovviamente quando non sarà necessario ai sensi dell’art. 21 bis legge 1034/1971 la nomina di un commissario ad acta in caso di perdurante inadempimento a seguito dell’obbligo di provvedere da parte dell’Autorità giudiziaria.
Per gli operatori di settore non c’ è dubbio che, in una situazione in cui il frazionamento del quadro normativo aveva già prodotto seri danni, le moratorie ed i ritardi citati vi si sommano, contribuendo così a creare un fenomeno di fortedisorientamento e sfiducia, che la giurisprudenza più attenta, anche costituzionale, non ha mancato di censurare. Il riconoscimento formale del principio del rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti non deve infatti essere letto soltanto come un mero tecnicismo, una formale applicazione della legge dello Stato, ma piuttosto, sotto il profilo sostanziale, esso esprime in tutta la sua forza il riconoscimento delle ragioni economiche ad esso sottese, cui la pubblica amministrazione, per il bene comune dovrebbe indiscutibilmente attenersi.

Inoltre, a ciò si aggiunga il fatto che le linee guida, che ai sensi dell’art 12 comma 10 del Decreto[11] il Governo avrebbe dovuto approvare per lo svolgimento del procedimento autorizzativo, sono rimaste ancora inattuate, comportando così notevoli ritardi e difficoltà nello sviluppo degli impianti, ed una forte confusione tra gli operatori del settore a seconda delle Regioni in cui operano.
Infatti nell’attesa alcune Regioni, nonostante l’inerzia statale, hanno tentato di darsi degli indirizzi e delle procedure specifiche affinché l’esercizio delle proprie competenze avvenisse in maniera coordinata, determinando diversità di comportamenti fra le varie regioni e in qualche caso fra le varie province della singola regione. Può così rilevarsi come ad esempio Lombardia e Puglia abbiano seguito in modo corretto le raccomandazioni del DLgs 387/2003, mentre secondo l’Anie (Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche) le Regioni Sicilia e Basilicata sono da considerarsi fra le più limitanti per lo sviluppo del fotovoltaico[12], ed ovviamente tale disparità di trattamento non è stata esente da critiche da parte della Corte Costituzionale.
Una recentissima sentenza della Corte, la numero 282  del  2 novembre 2009 già citata in premessa,  è infatti intervenuta sul punto, rilevando l’illegittimità della Legge regionale Molise[13] per violazione dell’art. 117, terzo comma della Costituzione, nella parte in cui, in mancanza di linee guida nazionali, si individuavano una serie di aree territoriali ritenute non idonee all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, in assenza di previsioni statali sul punto, che come è noto rinviano alle linee guida di cui all’art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003  il compito di «assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio’’. La Corte ha dunque ribadito come, in assenza delle linee guida (e nonostante quindi l’inerzia del legislatore in  merito) non sia comunque consentito alle Regioni  di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa» (cfr sentenza n. 166 del 2009), poiché  ‘Il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi, variamente modulati, rilevanti in questo ambito impone, infatti, una prima ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, al fine di consentire alle Regioni ed agli enti locali di contribuire alla compiuta definizione di adeguate forme di contemperamento di tali esigenze.’’ In termini analoghi si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza n. 166/09, provvedendo a censurare l’art. 6 della legge regionale Basilicata n. 9/2007 per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nella parte in cui veniva disposta la necessità di valutazione di sostenibilità ambientale e paesaggistica in base all’atto di indirizzo di cui alla delibera G.R. 13 dicembre 2004, n. 2920, delle procedure autorizzative in atto che non avessero concluso il procedimento per l’autorizzazione unica.

Alla luce di quanto esposto, ed in particolare alla luce delle problematiche accennate in termini pratici per l’ottenimento in tempi brevi dell’autorizzazione unica, dovranno essere lette le future innovazioni contenute nella nuova bozza di decreto governativo Linee Guida per la semplificazione dell’iter autorizzativo richiesto per la costruzione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili presentate lo scorso giugno agli operatori di settore, complici le pressioni dell’UE ed il recente appello del G.i.f.i (Gruppo imprese fotovoltaiche italiane) ed A.n.i.e., e di cui però si è tutt’oggi in attesa dell’approvazione.
Le nuove procedure previste, saranno la previsione della semplice DIA (dichiarazione inizio attività) per avviare la realizzazione di impianti eolici fino a 60 kilowatt, fotovoltaici fino a 20 kW, idroelettrici fino a 100 kW, da biomasse fino a 200 kW e da gas di discarica e biogas fino a 250 kW, per cuientro 15 giorni dalla presentazione dell’istanza gli amministratori locali dovranno in ogni caso verificare la documentazione presentata, comunicando o il via libera all’opera o le eventuali contestazioni sulla documentazione, trascorso tale  termine il via libera sarà considerato automaticamente acquisito. Inoltre, si legge nella bozza del decreto, “non possono essere posti in via generale divieti o restrizioni di tipo programmatico per l’utilizzo di determinate fonti rinnovabili”.
Un primo timido segnale da parte del legislatore atto a ristabilire in termini concreti il favor per lo sviluppo di tali impianti, cui si auspica gli enti competenti si allineino presto, considerati gli indiscutibili benefici sia in termini economici che ambientali che ne derivano.

Note

1.  Sentenza della Corte Costituzionale n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004.

2.  In attuazione della delega prevista dalla legge n. 59 del 1997 (cd. legge Bassanini sul decentramento amministrativo).

3.  cfr d.lgs. n. 112/98 per cui gli enti locali sono competenti in materia di controllo sul risparmio energetico e sull’uso razionale dell’energia, mentre alle province è affidata la redazione di programmi di intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico, il rilascio delle autorizzazioni per l’istallazione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia ed il controllo sul rendimento energetico degli impianti termici.

4.  D.Lgs. 387/03Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.

5.  Tar Puglia Bari del 22 aprile 2009 Sez. III n 983/09.

6.  Corte Costituzionale sentenza n. 364 del 2006. Nella specie, ci si riferisce alla legge regionale Puglia n. 9 del 2005, art.1 comma1 (‘Moratoria per le procedure di valutazione di impatto ambientale e per le procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica’).

7.  L’art. 3 della legge regionale Molise n. 15 del 2008 dispone che sino alla definizione degli obiettivi indicativi regionali di cui all’art. 10 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il rilascio delle autorizzazioni è subordinato al rispetto dei limiti ivi previsti (in particolare, l’art. 3 fissa un numero massimo di pali e di parchi eolici, e una potenza massima complessiva, per l’intero territorio regionale, degli impianti fotovoltaici), mentre l’art. 5, estende l’operatività di tali limiti anche ai procedimenti amministrativi in corso, «relativamente alle fasi istruttorie non ancora esaurite».

8.  Tar Palermo sentenza Sez. II, 6 aprile 2009, n. 642.

9.  Tar Puglia sentenza del 7 gennaio 2009 n. 1.

10.  Consiglio di Stato sentenza della Sez. V n. 4058 del 25 agosto 2008.

11.  Art. 12 comma 10 del D.lgs. 387/03 “In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti’’.

12.  La situazione si è concretamente riflessa nel numero di impianti installati, che a fine 2008 vedeva il 25% di questi concentrarsi per l’appunto in Lombardia (con 49 MW di potenza installata) e Puglia (51,6 MW) mentre Sicilia (17 MW) e Basilicata (4,5 MW) si trovano nelle ultime posizioni della classifica della potenza installata per regione.

13.  Le disposizioni censurate: art. 2, comma 1, lettere e), g), h), i), j), k), l) e n) della Legge regionale Molise[13] n. 15/2008.