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Promesse e pericoli del federalismo: il caso dell’Italia

di - 2 Dicembre 2009
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In questo contesto ci sembra molto difficile che scaturisca disciplina fiscale. Perchè ciò si realizzi occorre o vera autonomia fiscale dei governi locali o un governo centrale politicamente forte rispetto a quelli subnazionali. Nel nostro caso nessuna delle due condizioni è soddisfatta. Ad una limitata autonomia fiscale, limitatissima a livello comunale[20], si associa un centro politicamente debole che cerca di soddisfare le richieste di federalismo provenienti dalle regioni più ricche del nord che, senza meraviglia, sono anche politicamente forti. In queste condizioni, il risultato del giuoco tra centro e governi locali è, a nostro parere, e purtroppo, prevedibile ma siamo “curiosi” di vedere quale sarà il giudizio delle agenzie di rating, cioè del mercato. Difficile aspettarsi un “p” prossimo all’unità.

Conclusione
Le condizioni economiche e politiche affinché il federalismo possa mantenere le sue “promesse”, in un quadro di istituzioni coerente, sono note; non manca che disporre di un indicatore sintetico per sapere se, nei diversi paesi, prevarranno le promesse o i pericoli, incluso il nostro nell’attuale fase di riforma. Un tale indicatore sintetico può essere la probabilità di salvataggio dei governi locali da parte del centro e il cui valore viene fornito dal mercato tramite le agenzie di rating. Utilizzando questo indicatore, il politologo Rodden ha ripercorso la storia economica di molti paesi formalmente federali ed ha trovato che ben pochi lo sono veramente (in tutto tre). Se ne deduce che la diffusione del federalismo cui assistiamo, probabilmente porterà più pains  than gains. E questo sembra il caso italiano. Le condizioni economiche non sono favorevoli, né lo sono quelle politiche mentre quelle istituzionali (L. 42) sono ancora (fortunatamente?) poco precise/chiare. In sintesi, la riforma federalista è probabilmente necessaria ma dobbiamo sapere che avrà un costo economico al quale ci si augura si accompagni il dividendo politico in termini di “peace and stability”. Ciò che dovremmo evitare è la situazione che Rodden definisce “miscela esplosiva” caratterizzata da un centro fiscalmente forte ma politicamente debole rispetto alle regioni. Segnali che stiamo andando verso questa miscela purtroppo ce ne sono nella L. n. 42, ma molte questioni fondamentali devono ancora essere definite. Nei due anni di attuazione che ci aspettano, potremmo pragmaticamente delineare istituzioni necessarie a consentire la realizzazione delle promesse o, almeno, ad allontanare i rischi di miscele esplosive. Non sappiamo se il mercato valuti molto le doti di pragmatismo degli italiani, ma, arrivati a questo punto, noi ci speriamo.

Referimenti bibliografici

  • Alto commissariato Anticorruzione, Rapporto 2007 e sito http://www.anticorruzione.it
  • Bentivoglio Chiara, Cullino Roberto, Del Colle Diana Marina, Regolamentazione ed efficienza del trasporto pubblico locale: i divari regionali, B.I., Occasional Papers n.20, 2009.
  • Buchanan J.M. and Tullock  G., The Calculus of Consent, Ann Arbor, MI: the University of Michigan Press, (62) 
  • Bovi-Castellucci, Cosa sappiamo dell’economia sommersa in Italia al di là dei luoghi comuni? Alcune proposizioni empiricamente fondate, in Economia Pubblica, n.6, 2001.
  • Carmignani Amanda, Giacomelli Silvia, La giustizia civile in Italia: i divari territoriali, B.I., Occasional Papers, n.40, 2009.
  • IMF, Manual on Fiscal Transparency, Washington, 2005
  • Proud’homme Remy, The dangers of decentralization, World Bank research observer, vol.10, n. 2 august, 1995
  • Putman R.D., Making Democracy work: Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press,1994.
  • Rodden J. A., Hamilton’s Paradox. The Promise and Peril of Fiscal Federalism, Cambridge University Press, 2006.
  • Tanzi Vito, Fiscal Federalism and decentralization: a review of some efficiency and macroeconomic aspects, Proceedings of the World Bank Annual Conference on Development Economics, 1995, World Bank, W D.C.,1996, p.295-316
  • Tanzi V., Pitfalls on the Road to Fiscal Decentralization, Carnegie Endowement Working Paper, 2001, n. 19.
  • Tiebout C.M., A Pure Theory of local Public Expenditures, Journal of Political Economy, 64, 1956, october, p. 416-424.

Note

20.  Senza entrare nel dettaglio vogliamo richiamare due questioni non trascurabili. Precisato che la riforma federale che discutiamo è in realtà una riforma regionale, rispetto all’autonomia fiscale locale essa fa “arretrare” il decentramento di una quindicina di anni grazie all’abolizione dell’ICI sulla prima casa, fondamentale imposta comunale. L’introduzione di questa tassa aveva richiesto un lunghissimo processo perchè si era dovuta superare la ritrosia del contribuente italiano alle imposte sulla proprietà. Al momento della sua abolizione, per una ventata elettorale, stava dando buoni risultati, era stata accettata dal contribuente e aveva finalmente raggiunto una sua efficienza e “personalizzazione”. Con il suo venir meno, ma speriamo in un provvidenziale “ravvedimento”, i Comuni non hanno praticamente entrate autonome rilevanti. Oltre a ciò i Comuni, che a nostro parere dovrebbero giuocare un ruolo ben più importante nel decentramento data la loro rilevanza nella cultura italiana (si veda per esempio Putman), vengono penalizzati anche nel tipo di coordinamento previsto. La riforma li obbliga a contatti diretti con il livello di governo regionale piuttosto che con quello centrale come invece storicamente preferiscono e la cooperazione tra livelli di governo è cruciale per le promesse politiche. Insomma nell’Italia dei molti campanili, effettivamente ancora radicati nella sua tradizione socio-culturale, proprio i Comuni sembra debbano essere messi da parte.

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