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Promesse e pericoli del federalismo: il caso dell’Italia

di - 2 Dicembre 2009
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Se guardiamo alla legge 42/2009 non è facile immaginare come prenderà forma il federalismo dato che essa si presenta piuttosto vaga anche rispetto a molte questioni essenziali. Il fatto che sia vaga potrebbe però essere un vantaggio qualora il legislatore fosse disposto a procedere ad aggiustamenti secondo le indicazioni che emergessero dall’esperienza. Ciononostante si possono sin da ora evidenziare alcuni aspetti poco promettenti, sia dal punto di vista economico che politico. Tra i primi menzioniamo: la scarsa autonomia fiscale, la fiscalità di vantaggio, l’individuazione dei servizi fondamentali generali.

1.  Un punto decisamente debole e preoccupante riguarda la limitata autonomia fiscale (tributaria) degli enti subnazionali. Come è arcinoto non ci può essere vero decentramento senza autonomia impositiva che sola è in grado di responsabilizzare gli amministratori locali. Accanto a questa debolezza fondamentale preoccupa poi una “peculiarità” introdotta nel sistema di finanziamento e cioè il “collegamento” tra la fonte di finanziamento e la “tipologia” di spesa. A nostra conoscenza, e certamente nei paesi simili al nostro e con i quali si usa confrontarci, questo legame non esiste mentre, ed ovviamente, esiste il legame tra tipologie di finanziamento e livelli di governo. La ratio che ha portato a tale prescrizione è per noi piuttosto oscura mentre ci sembra chiaro che essa complichi la stesura del bilancio da parte degli enti locali, comprometta il principio dell’unità di bilancio e impegni ad individuare, con estremo dettaglio, le tipologie di spesa per poter loro attribuire le tipologie di entrata. Insomma, anche al di là dei dubbi che tale peculiarità solleva (avremo modo di vedere se in pratica avrà una sua funzione, sebbene non riusciamo ad immaginare quale, tale da giustificare le complicazioni introdotte), essa indebolisce ancor più l’autonomia fiscale Nel caso infatti in cui la dinamica della spesa cui è stato attribuito un dato tipo di entrata, divergesse (com’è molto probabile) da quella della fonte di finanziamento, non vi sarebbe altra possibilità che aumentare i trasferimenti (veri o camuffati). E tale meccanismo, come tutti quelli che lasciano prevedere l’ampliarsi dello spazio dei trasferimenti, riducono la credibilità del no bail out (vedi sopra) e se così è il federalismo è sempre più apparente che reale e, come già detto, un federalismo apparente non ha promesse da offrire.

2.  La legge introduce la fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno perchè il legislatore “sa” che l’economia è dualistica e che il federalismo è un efficace motore di “ampliamento” dei divari. Pur prendendo atto che ciò dovrebbe rappresentare una risposta ad un problema vero e concreto come il divario Nord-Sud, e dubitando che ciò sia ammesso dalla comunità europea (ma questo lo si saprà presto), siamo perplessi sull’efficacia dello strumento. Se infatti l’idea è di attirare investimenti delle imprese nel Mezzogiorno grazie alla carota fiscale, ci domandiamo se e soprattutto quale tipo di imprese risponde a tale carota dal momento che , com’è noto, il Mezzogiorno soffre di carenze strutturali e di una produttività più bassa che nel resto del paese. Forse, come in passato, il tasso di natalità e mortalità delle imprese al Sud sarà elevato e/o numerose saranno le false localizzazioni.

3.  Infine, veniamo al problema di offrire a tutti i cittadini i servizi fondamentali. Per far ciò occorre definire con chiarezza quali siano tali servizi, cosa si intenda in pratica per  livello adeguato e come si debba calcolare il costo standard . Rispetto a queste tre questioni basilari per il tipo di federalismo non può dirsi molto allo stadio attuale (vaghezza della L.42) e bisogna aspettare la legislazione che verrà nei prossimi due anni.

Gli aspetti politici ugualmente poco promettenti che richiamiamo sono: la non rieleggibilità e il modo di attuare la cooperazione. Per quanto riguarda la “non rieleggibilità” dei governanti locali che si siano mostrati incapaci di perseguire l’efficienza, può dirsi che in prima battuta tale decisione possa apparire positiva o anche rafforzativa del federalismo, ma essa è invece una prova del fatto che il legislatore si aspetta che il federalismo non funzioni. Infatti, quando il federalismo funziona i governanti locali inefficienti non vengono rieletti e/o i cittadini cambiano giurisdizione (il voto con i piedi). Strano sistema il nostro nel quale è il governo centrale (!) a stabilire chi non è stato efficiente e che perciò non possa essere rieletto. Tutto ciò è davvero in aperto contrasto con le virt del federalismo che starebbero proprio nel recupero di efficienza tramite la selezione dei governanti efficienti da parte dei cittadini elettori (votanti). Il secondo aspetto riguarda la scarsissima attenzione che la legge pone nei confronti dei metodi/sistemi di coordinamento tra i diversi livelli di governo. Il coordinamento è necessario alle promesse politiche così come la responsabilità del finanziamento delle spese è necessaria a quelle economiche. Per quanto poco definito (speriamo dunque in miglioramenti sostanziali nei prossimi due anni) che il modo di affrontare la cooperazione tra livelli di governo sia quello dell’istituzione di comitati dove avverrebbero le “negoziazioni” tra centro e governi subnazionali, non apre buone prospettive. Forse non occorre sottolineare come la negoziazione avvantaggi gli enti locali politicamente più forti (ed economicamente più ricchi) mentre il ricorso a regole/formule sulla cui base regolare l’intervento del centro[19] e, più in generale, la disciplina fiscale degli enti locali, sarebbe necessario per le promesse del federalismo. Né ci sembra che l’organizzazione dei partiti politici sia tale da produrre la sperata cooperazione.

Note

19.  Si veda IMF, Manual on Fiscal Transparency, Washington D.C., 2005

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