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Giuristi di impresa nel terzo millennio:
Appunti per una (nuova?) comprensione del ruolo.

di - 2 Novembre 2009
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4. L’impulso allo sviluppo degli affari portato: dall’abbattimento delle frontiere, che ha immesso nell’arena un numero significativamente maggiore di agguerriti concorrenti; dal più ordinato accesso al mercato del capitale (di rischio e di debito); dalla regolamentazione dei diversi aspetti del facere imprenditoriale, ha indirettamente modificato la struttura del capitalismo nostrano, da statica a dinamica, costringendo i relativi attori ad attrezzarsi anche con il ricorso ad operazioni straordinarie per la difesa e l’espansione delle quote di mercato, la provvista dei mezzi finanziari per sostenere lo sviluppo, l’adeguamento dei processi operativi e commerciali, e persino delle strutture organizzative, alle mutate e mutevoli frontiere dei requisiti regolamentari.
Conseguentemente diverso è stato il ruolo assegnato al legale interno: che, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ha dovuto attrezzarsi per la gestione delle operazioni societarie di acquisizione, fusione, joint venturing, magari in chiave internazionale, prima come spettatore qualificato di rappresentazioni portate in scena dai consulenti, poi – anche, ma non solo, per tenere sotto controllo i costi – acquisendo ruoli da comprimario e persino da protagonista nella gestione di queste attività.
Allo stesso tempo le imprese hanno imparato a diversificare le forme tecniche di finanziamento, hanno emesso obbligazioni, anche su mercati esteri o sovranazionali, si sono quotate in borsa, hanno societarizzato divisioni e rami d’azienda, modificando così sostanzialmente il ruolo assegnato e le competenze richieste al giurista di impresa. Che ha persino maturato profili di specializzazione, e corrispondenti articolazioni organizzative, nelle proprie strutture: chi si occupa di societario, chi di bancario e finanziario, chi di proprietà industriale.
5. Gli sconvolgimenti finanziari del XXI Secolo, unitamente all’accresciuta sensibilità del Legislatore verso la tutela dei contraenti deboli, ha prodotto un imponente intensificarsi delle disposizioni normative e regolamentari per la disciplina dei mercati finanziari, la gestione del mandato fiduciario fra azionisti ed amministratori, la disciplina della concorrenza, il governo di attività economiche a largo impatto sociale, etc. Autori di elevato prestigio hanno parlato al riguardo, con elegante perifrasi, di “gioco delle regole” per stigmatizzare il sovrapporsi, inorganico e talora confuso, di norme che spesso hanno un effetto più formale, o formalistico, che non sostanziale. Tutto questo, per quanto qui interessa, si traduce in una nuova evoluzione dei compiti del giurista di impresa: che sempre più assomiglia al compliance officer, al controllore del rispetto delle diverse prescrizioni, quasi come un vigile che convogli il traffico giuridico economico nelle ramificazioni delle norme e procedure, pur senza una particolare attenzione ai fondamentali elementi del business sottostante.
6. Queste sfumature, peraltro, ancorché invasive, non sembrano incidere nel profondo del ruolo come sopra preliminarmente delineato, che è quello di garantire che l’azienda possa far sviluppare i propri affari nel rispetto della legalità ed assicurandosi la miglior tutela giuridica dei propri interessi.
È difficile ipotizzare che l’atto giuridico in cui si incarna una scelta imprenditoriale possa configurarsi come “sbagliato” dal punto di vista tecnico, e quindi non conforme alle norme di diritto sostanziale che vi presiedono; più facile è riscontrare che le pattuizioni riflesse nello strumento possono non soddisfare gli interessi, e conseguire i risultati, per cui sono state redatte. La misura di questa efficacia delle tutele contrattuali, che pure spetta al legale di azienda, che ne affina la portata aggiungendo, limando, togliendo clausole e pattuizioni, è un controllo che attiene al factum, meglio ancora al negotium, più che allo ius.
Le competenze legali all’interno dell’azienda sono utili in quanto capaci di tradurre in linguaggio giuridico gli elementi del business, conoscendone i punti di forza e debolezza e, conseguentemente, individuando i mezzi tecnici per valorizzarli e proteggerli, rispettivamente.
Il legale interno, alla medesima stregua dei suoi colleghi delle strutture di linea (le funzioni commerciali ed operative dell’azienda) deve conoscere intimamente le dinamiche del settore d’affari in cui si trova ad operare, le condizioni del contesto competitivo, le regole di batteria oltre le quali l’affare perde di convenienza. E deve essere portato a conoscenza di tutti i dettagli dello specifico affare in margine al quale si richiede la sua attenzione. A queste condizioni, manager fra i manager, egli potrà prestare il proprio contributo per la tutela degli interessi aziendali e rafforzare la probabilità che gli obiettivi vengano conseguiti.
7. È un rapporto, quello con gli altri dipartimenti dell’impresa, non facile da costruire, soprattutto nelle realtà societarie che hanno lungamente lasciato germogliare la sensazione che il legale fosse lì per “bloccare gli affari”, dove i vertici non trovano il tempo per ascoltarne le indicazioni e presso la quale tecnici e commerciali si sentono legittimati a scavalcarne le attribuzioni, redigendo e negoziando da soli i contratti e/o impostando autonomamente le operazioni straordinarie, salvo poi chiedere una “benedizione” in extremis a poche ore dalla stipula. La credibilità del ruolo – ci pare – si acquisisce con l’umiltà di mettersi a servizio delle strutture aziendali, ascoltandole; e reagendo con semplicità ed immediatezza alle loro risposte, sempre in termini costruttivi, per la conclusione degli affari prospettati. Non si dice “non si può fare”, ma “per farlo, bisogna fare in quest’altro modo”. La contiguità alla gestione quotidiana dei problemi renderà accettabili anche le risposte istintive, poco riflettute, e qualche diniego.
Lavorare a fianco delle funzioni operative renderà, nel medio periodo, più efficaci le vie di comunicazione: e faciliterà il radicarsi dell’idea che al collega-legale ci si possa rivolgere per un consiglio, un punto di vista, anche fuori dalle sue specifiche competenze, sulla base di un’oggettiva parità.
Certo, il responsabile del servizio legale deve anche avere il modo di far filtrare le proprie considerazioni sui tavoli intorno ai quali si assumono le decisioni vincolanti per il futuro dell’impresa: per essere ascoltato con pari dignità dovrà aver dimostrato ai propri peers di poter essere loro utile, e non solo di costituire un costo che parassitariamente vive alle spalle dei profitti che loro procurano, e di saper gestire le risorse che gli sono affidate alla medesima stregua degli altri, in termini di pianificazione, controllo, sviluppo; nella comprensione della strategia complessiva.
Un po’ più degli altri, per essere come gli altri.

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