Il sonno delle marmotte
Non sappiamo se e quante marmotte siano sfuggite ai sinistri “abbattimenti tecnici” decisi dalla Provincia di Bolzano nei loro confronti. Se ve ne sono, prima di immergersi nel loro lungo sonno invernale dovrebbero rapidamente leggere Darwin, evolversi, e ringraziare il Consiglio di Stato: il quale, per salvare loro la vita, non ha fatto niente di meno che colmare una lacuna del processo amministrativo.
I fatti sono semplicissimi: ordinanza di abbattimento, ricorso al TAR di un’associazione ambientalista con richiesta di misura cautelare di estrema urgenza (decreto presidenziale), rigetto dell’istanza, e contestuale fissazione della camera di consiglio per la trattazione della sospensiva dopo la scadenza del termine fissato per completare la mattanza. Insomma, condanna a morte da eseguire, con le ignare marmotte nell’omonimo braccio.
L’associazione ed il suo coraggioso difensore non demordono. E propongono un appello che non esiste nella legge. Fanno appello al Consiglio di Stato contro il decreto presidenziale. L’appello arriva sul tavolo di un presidente (di un suo delegato, per l’esattezza) il quale fa un ragionamento semplicissimo. È vero che l’appello contro il decreto cautelare del presidente del TAR non esiste; ma se la camera di consiglio per la trattazione della sospensiva viene fissata a termine per l’abbattimento già scaduto, addio marmotte, addio giustizia. In omaggio all’una e alle altre ha ammesso l’appello ed ha sospeso il provvedimento impugnato [1].
Due sono gli insegnamenti che si devono trarre. Il primo, di carattere generale, è che il decreto presidenziale adottato inaudita altera parte è per sua struttura pericoloso. Di solito questo si dice perché viene accolto e poi non confermato. Forse le cose non stanno così. Il decreto presidenziale, tranne casi di manifesta irrazionalità e pretestuosità, probabilmente deve essere accolto, perché lascia il mondo immutato fino alla valutazione del collegio. Che certo non è infallibile, ma è collegio, e decide dopo il contraddittorio – quello vero, come si dice.
Il secondo è che di fronte ad una condanna a morte in corso di esecuzione non è dato comprendere come l’atto che la dispone possa non essere sospeso. Certo, se gli abbattimenti sono motivati con la necessità di prevenire disastri incalcolabili alla specie umana (si pensi alla “mucca pazza”) e di questo si dà la prova, non si potrebbe fare altrimenti. Ma non sembra che così fosse. Non è stato evocato il principio di precauzione. La situazione era dunque proprio quella qui sopra tracciata: sospensiva presidenziale negata sull’ordinanza di abbattimento; sospensiva fissata a data successiva al completamento delle esecuzioni. Situazione dunque senza rimedio secondo il rito ordinario.
La giustizia era divenuta oggettivamente impossibile, priva di ogni contenuto.
Di fronte a questo, bene ha fatto il Consiglio di Stato a ritenere il decreto presidenziale un provvedimento definitivo, equivalente ad un’ordinanza del collegio, e ad ammetterne quindi l’appello. Non si poteva fare altro.
Extra ordinem, certo. Ma in nome della giustizia.
Buon sonno alle marmotte sfuggite all’esecuzione. Devono proprio ringraziare il Consiglio di Stato.
Note