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Gli incerti confini dell’urbanistica consensuale

di - 26 Ottobre 2009
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A carico del costruttore sono stati posti gli oneri di urbanizzazione con soluzioni via via più articolate, che hanno visto il concorso dell’operatore sin dalla stessa progettazione esecutiva delle previsioni di piano; e si è posta l’alternativa fra la monetizzazione dell’apporto alle opere di urbanizzazione e la prestazione reale mediante realizzazione delle opere a scomputo, a compensazione, ecc.
Allorché il vincolo conformativo impresso dalla zonizzazione del territorio comunale secondo l’art. 7 della legge urbanistica incide in modo più penetrante, l’area è di pubblica utilità e si procede all’esproprio; tuttavia non è solo l’indennizzo di esproprio il mezzo che vale a neutralizzare gli effetti della previsione urbanistica per il proprietario; oltre al fatto che l’esproprio coattivo, persino ove l’indennizzo possa arrivare a corrispondere al valore di mercato dell’area, ha comunque un effetto che solo in parte riduce l’incidenza della previsione urbanistica che penalizza il proprietario espropriato e avvantaggia il vicino favorito dalla localizzazione dell’opera di pubblica utilità.
P. Stella Richter, che già nel 1968 ha trattato il tema della perequazione urbanistica nell’accezione con cui oggi è inteso l’istituto [8], muoveva le sue riflessioni a partire dalla considerazione della legge urbanistica del 1942 come legge che si era limitata a utilizzare lo strumento dell’esproprio per perseguire obbiettivi di governo dello sviluppo urbano e poi, più in generale, di governo del territorio, per giungere alla conclusione di una doppia incostituzionalità di quella normativa, per violazione congiunta dei due parametri di legittimità: uguaglianza (art. 3 Cost.) e imparzialità (art. 97 Cost.).
Per superare gli effetti sperequativi della legge urbanistica si era operato con l’indennizzo di esproprio e con la manovra fiscale sugli incrementi dei valori immobiliari, ma già allora l’Autore portava ad esempio prassi amministrative anticipatrici di quello che auspicava dovesse condurre al superamento legislativo dei limiti dell’ordinamento giuridico che denunciava arretrato rispetto allo sviluppo della tecnica urbanistica: e concludeva ammonendo che “sarebbe un grave errore fare ancora una volta nuove leggi senza tener conto dell’esperienza già acquisita” perché, osservava, “in nessun campo come in quello urbanistico si ravvisa forse un così grande distacco degli studi giuridici – ancorati sin’ora ad una normativa completamente superata – dalla realtà sociologica ed economica, dalla prassi amministrativa e dalle conquiste degli studi tecnici”.
Da allora sono passati quarant’anni. L’obiettivo della perequazione urbanistica ha avuto applicazioni non più soltanto pionieristiche. La cultura giuridica ne ha sviluppato i caratteri e i contenuti, di talché le forme più attuali inducono ad applicazioni anche più articolate dei metodi perequativi per un’urbanistica che si è indicata come urbanistica consensuale, fino a considerare possibile e auspicabile:
a) il superamento della zonizzazione rigida dell’art. 7 della legge urbanistica del ’42;
b) un alleggerimento del collegamento fisico che lega la proprietà a ciascun lotto delle aree d’ambito investite da processi di trasformazione territoriale;
c) una scissione dell’edificabilità dal diritto di proprietà di ciascun lotto, così aprendo accesso a meccanismi di mercato per la circolazione negoziata dell’incremento dei valori immobiliari.
Più in dettaglio, in particolare negli studi di P. Urbani e di E. Boscolo [9], il metodo della perequazione urbanistica per come adottato in alcune esperienze di programmazione comunale e in molte leggi regionali risulta connotato da questi caratteri:
a) l’obiettivo della perequazione opera in sede di attuazione delle previsioni di piano e agisce su aree omogenee, che non necessariamente coincidono con gli ambiti sui quali si operava con le vecchie regole del comparto; anche la disciplina del comparto aveva analoghi obiettivi perequativi, ma in mancanza di consenso del proprietario che non si adegui alla previsione pubblica il suolo va espropriato;
b) la novità consiste, invece, nel perseguire comunque una libera negoziazione: si attribuisce a ogni lotto un indice di edificabilità fondiaria parificata per tutte le aree ricomprese nell’ambito di intervento, partendo dall’indice astrattamente riferibile alla zona e decurtandolo di una quota che serve per la realizzazione delle opere pubbliche di urbanizzazione o di interesse sociale; in tal modo l’incidenza degli oneri urbanizzativi è ripartita equamente fra tutti i proprietari di lotti ricompresi nell’area d’ambito, indipendentemente dalla localizzazione fisica dell’opera pubblica;
c) per l’utilizzo in concreto dell’indice di edificabilità si apre una negoziazione che consente di trasferire su altra area libera l’indice fisicamente non utilizzabile sul lotto destinato all’esecuzione dell’opera pubblica;
d) vi sarà un mercato dell’edificabilità, una “borsa” che pone in circuito i valori dell’edificabilità, senza le rigidità degli effetti ablativi propri dell’espropriazione o dell’asservimento.

Note

8.  P. Stella Richter, Il potere di pianificazione nella legislazione urbanistica, in Riv. Giur. Ed. 1968, 103 ss.

9.  P. Urbani,Urbanistica consensuale, Torino 2000; E. Boscolo, La perequazione urbanistica: un tentativo di superare la intrinseca discriminatorietà della zonizzazione tra applicazioni pratiche ed innovazioni legislative regionali in attesa della riforma urbanistica, in AA.VV. (a cura E. Ferrari), L’uso delle aree urbane e la qualità dell’abitato, Milano, 1999 pp. 193 ss.; E. Boscolo, Una conferma giurisprudenziale (e qualche novità legislativa) in tema di perequazione urbanistica, in Riv. Giur. Ed., 2003.

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