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“Potere imperiale e giurisprudenza in Pomponio e in Giustiniano”: l’autopresentazione di un libro

di - 21 Ottobre 2009
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Le pur poche costituzioni si rivelano una ricca ‘miniera’ da cui apprendere: non tanto sui volumi della compilazione come si è sempre saputo, ma sul nuovo diritto che con essa l’imperatore vuole creare. L’indagine così ancora una volta si scinde, per poter meglio padroneggiarla senza perderne l’unità. La seconda monografia, dedicata a “L’Imperatore”, esce in due volumi: l’uno sulla fase di progettazione; l’altro, più corposo, sulla fase di realizzazione, che è stato appunto segnalato.
Da ultimo, in qualche libro recente, ho notato che si parla direttamente di “costituzioni programmatiche”. Una piccola spia linguistica, ma forse si è cominciato a riguardarle con altro valore che di mera “introduzione” a Istituzioni, Digesto e Codice.

Mi fermo. Non intendo addentrarmi nei contenuti specifici del volume, discutere qui risultati che spero di aver raggiunto. Sarebbe antitetico al senso della iniziativa: questi “libri segnalati” la commissione invita a leggerli, non a farseli raccontare. Bastino dunque tema e obiettivi, qualche chiarimento necessario, casomai (se si riesce) qualche ‘esca’ alla lettura. E poi un libro, si sa, è diverso a seconda di chi lo legga. Avendolo invece scritto, mi sento invitata a dire non cosa vi sia ma piuttosto cosa è stato per me.

Dicevo prima della difficoltà di mantenere “il bandolo della matassa”, di non perdere di vista il filo conduttore della ricerca; non sempre ci sono riuscita. Se per Pomponio credo di essermi attenuta ai propositi (‘farlo parlare’ del potere imperiale), il tentativo di ‘far parlare Giustiniano’ è andato (talvolta o spesso) al di là della giurisprudenza. I testi, come a volte succede, mi hanno forzato la mano; mi sono necessariamente venuta a misurare con il valore di manifesto programmatico che queste costituzioni hanno.
Ripeto la giustificazione già data (ovvia, del resto): che in Giustiniano la «visione della giurisprudenza si inserisce in una determinata visione del diritto che a sua volta è strettamente legata al disegno compilatorio, insieme determinandolo ed essendone determinata»; che la posizione in questione non è pertanto isolabile e non può essere considerata e valutata se non «nell’ambito di tutte le altre che l’imperatore è venuto assumendo». Il che ha comportato darne conto. Obiettivi perseguiti per la compilazione e tramite essa: completezza, coerenza, sistematicità, carattere esaustivo, valore esclusivo, con sullo sfondo l’idea stessa di certezza del diritto. Regole di trasmissione e regole di lettura. Aspirazione a un diritto per cui non si preveda termine e insieme consapevolezza della sua ineliminabile storicità (il suo in infinitum decurrere); tentativo di trovarvi soluzione tramite la ‘compilazione aperta’ che vorrebbero essere le Novelle (al divenire gestito dal giurista si sostituisce il divenire gestito dall’imperatore). Orgoglio di aver creato un ‘diritto nuovo’ e perciò stesso ambizione di creare nuovi modi di trasmissione del suo sapere, anch’essa gestita dall’imperatore. E altro ancora.
Tanto che oggi, conclusa finalmente la ricerca, potrebbe venir voglia di cominciare da capo: accantonando le singole ‘prove testuali’ che hanno sostanziato la ricostruzione, tentare una visione d’assieme (una sintesi non può che esser preceduta dalle minuzie di una revisione dei dati), affrontare direttamente il tema della concezione del diritto. Per Pomponio, forse è non è pienamente recuperabile: quella centralità del giurista nel diritto – che si riallaccia al passato, che forse non è già più storicamente vera – non si è mai più avuta in esperienze successive, tanto da render difficile coglierla nella complessità originaria. Quella concezione è stata mutata definitivamente dalla matrice normativa, meglio autoritativa che viene a collegarsi al diritto, a connaturarsi con esso (qualunque sia la forma che l’autorità assuma). Invece, il fulcro di un tal lavoro potrebbe trovarsi in Giustiniano: che questa visione autoritativa teorizza; che la rafforza tramite il disegno compilatorio, connotando ulteriormente il diritto in tal senso; che tramite la sua opera verrà a incidere a lungo su quanto seguirà.
Tranquilli, però: un tale libro non ho intenzione di scriverlo.

Un altro libro invece mi tenterebbe: una sorta di versione ‘alleggerita’ di quanto pubblicato. Userei termini come semplificazione o divulgazione, se non temessi il fraintendimento di una “serie b”, da cui sono lungi.
L’idea non è mia. Me l’hanno suggerita (ci metto un po’ di pompa) i miei lettori. Temo proprio di non arrivare ai famosi venticinque, ma su tre so con certezza di poter contare, perché sono valutatori attenti e discutono puntualmente: uno specialista di relazioni internazionali, una psicanalista di scuola freudiana, una antropologa. Tre amici, ovviamente (generosi e affettuosi, ça va sans dire), che talvolta colgono pieghe nascoste, questioni sottese: la psicoanalista, in particolare! Per quest’ultimo volume, ai tre se ne è aggiunto, con una lettura più ‘a saggio’, un quarto (sempre per generosa amicizia, ma mi inorgoglisce lo stesso): udite udite, un grande amministrativista. Bene, da tutti e quattro – che per motivi diversi, troppo lunghi da spiegare, o hanno avuto una formazione giuridica o almeno hanno fatto letture scientifiche di diritto – la richiesta è di semplificazione, chiarimenti, precisazioni, il consiglio è di non dare per scontate certe informazioni. Digesto, Codice, Istituzioni di Giustiniano, va bene, ma se ne parla senza dire con esattezza cosa siano. E poi il latino, che pure mi sembra di rendere brano per brano attraverso la discussione; anche per chi ha una preparazione umanistica, a distanza di anni lunghe citazioni possono essere di qualche ostacolo. A parer loro occorrerebbe – non invece, ma anche – un libro un po’ diverso: per il pubblico colto, si diceva una volta.

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