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Un libro che mira a spiegare cause, conseguenze e rimedi della crisi finanziaria del 2008: “A Failure of Capitalism” di Richard A. Posner, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 2009

di - 28 Settembre 2009
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Il punto di partenza del ragionamento di Posner è rappresentato dal riconoscimento dell’esistenza di bassi tassi di interesse a partire dagli anni 2000. L’autore non imputa alla Federal Reserve tale situazione, anche se in interviste successive modifica tale impostazione ed individua il colpevole di tali tassi nella Banca Centrale. I bassi tassi di interesse degli anni 2000, causati anche dall’affluenza di capitale straniero disponibile a basso costo, portarono gli intermediari finanziari ad incrementare il loro leverage, cioè il loro rapporto del debito sul capitale. Si immagini un intermediario finanziario che ha un capitale proprio di 1 milione di dollari e che decida di prestarlo al 5%. Alla fine dell’anno avrà un profitto di 50.000 dollari e quindi in termini percentuali, come è chiaro, del 5%. Si supponga ora che quell’intermediario prenda a prestito 5 milioni di dollari ad un tasso del 3% e li conceda a titolo di mutuo ad un tasso del 5%. In questo modo egli dovrà rimborsare interessi per una somma di 150.000 dollari, ma avrà introiti pari a 300.000 dollari. In questa ipotesi il suo profitto sarà pari al 15% (150.000 dollari di profitto a fronte di un capitale proprio di un milione). Il leverage quindi permette di aumentare notevolmente i profitti degli intermediari finanziari. L’altra faccia della medaglia sta in ciò che il rischio per ciascun intermediario è aumentato: se per l’intermediario che deteneva un milione e non aveva preso nulla in prestito il mancato pagamento degli interessi non comporta una perdita che erode il capitale proprio, per l’imprenditore che aveva ottenuto 5 milioni di prestito e che non vede restituiti gli interessi vi è una perdita di 150.000 dollari. Le imprese finanziarie, negli anni 2000 raggiunsero un livello di leverage pari a 30 se non a 50, per cui il rischio di insolvenza divenne realmente concreto.

Ma vi è una irrazionalità nel far ciò? Vi è da ravvisare un comportamento irrazionale nel portare il leverage di un intermediario finanziario ad un livello molto elevato?

La risposta di Posner è negativa. Il comportamenti degli amministratori degli intermediari finanziari può essere ricondotto sotto i canoni della razionalità. Il rischio di fallimento, infatti, è uno di quei rischi che l’impresa può ben correre, se vi sono in cambio alti profitti, e ciò in particolare quando i proprietari dell’impresa hanno un portafoglio ben diversificato. Correre un rischio di fallimento è privatamente razionale e socialmente ottimale, per cui la razionalità individuale coincide con quella collettiva.

I problemi peraltro sorgono quando si ha riguardo agli intermediari finanziari e ai rapporti che intercorrono fra di loro.

Ma prima di affrontare tale problema si deve preliminarmente andare ad identificare l’uso che le imprese finanziarie facevano dei soldi ottenuti in prestito. Nel corso di questi ultimi anni vi è stata una gran richiesta di mutui per l’acquisto di immobili e gli intermediari finanziari hanno soddisfatto tale domanda. I mutui venivano garantiti da ipoteche sugli immobili ma, dato che i prezzi delle case si mostravano continuamente in crescita, le imprese finanziarie finirono per prestare anche a soggetti che non offrivano forti garanzie. L’idea di fondo era che, anche qualora il mutuatario non fosse riuscito a pagare una o più rate, dato l’aumento di valore dell’immobile si poteva prevedere un’ipoteca più ampia sull’immobile stesso. Le imprese finanziarie cominciarono inoltre a compiere le operazioni di cartolarizzazione dei mutui ipotecari, offrendo così un bene finanziario anche agli stranieri che non avevano interesse a seguire un singolo mutuo ipotecario negli Stati Uniti. Con la cartolarizzazione si potevano cedere quote di un fondo molto ampio di mutui ipotecari ai soggetti più disparati. Tali crediti cartolarizzati finirono anche nei capitali propri delle imprese finanziarie.

Ad un certo punto la bolla immobiliare scoppiò, e i valori degli immobili scesero ben al di sotto del valore coperto dalle ipoteche. Inoltre i crediti cartolarizzati persero di valore e gli intermediari finanziari si trovarono sotto un duplice fuoco. Da una parte erano creditori di mutui ipotecari incagliati, dall’altro avevano crediti cartolarizzati nel loro capitale. Una tale situazione portò gli intermediari finanziari fino al limite dell’insolvenza ed in tali condizioni essi non offrirono più denaro a prestito. Vi fu il congelamento del mercato del credito.

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