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Il rito “semplificato” di cognizione

di - 29 Luglio 2009
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E’, dunque, lo stesso legislatore del 2009 a dare una (prima) collocazione nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: tali non sono i procedimenti sommari (non cautelari), sia perché non compresi nella delega, sia perché l’esclusione di qualsiasi “conversione nel rito ordinario” impedisce di accomunare questo rito ai procedimenti di tutela sommaria, i quali, pur essendo autonomi rispetto alla tutela cognitiva ordinaria, possono fisiologicamente sfociare (come il più delle volte accade) in quest’ultima. In questo senso, l’esclusione di qualsiasi conversione nel processo ordinario sta a significare che l’autonomia del procedimento “sommario” è da intendere nel senso che gli atti e i relativi provvedimenti esauriscono il primo grado di giudizio e, al pari delle sentenze, sono sottoposti al controllo solo da parte del giudice d’appello (sia pure con alcune particolarità rispetto all’appello di diritto comune, che saranno in seguito segnalate).
In sostanza, i principi di delega, nella parte in cui richiamano i caratteri (prevalenti) di “semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa“, nonché l’esclusione di ogni possibilità di conversione di questi procedimenti nel rito ordinario, rendono evidente la volontà di introdurre un nuovo modello semplificato di procedimento, da utilizzare in alternativa al rito ordinario, per la trattazione di controversie su diritti soggettivi che presentino caratteristiche oggettive compatibili con un rito, appunto semplificato, da decidersi con provvedimento idoneo al giudicato sostanziale. La delega sulla revisione dei riti si colloca nel perimetro dei processi di cognizione idonei al giudicato sostanziale: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie.
L’indagine sul profilo funzionale sembra confermare l’estraneità alla tutela sommaria non cautelare, cioè alla finalità della formazione anticipata di un titolo esecutivo anche provvisorio (caratteristica che identifica, com’è noto, tutte le tutele sommarie non cautelari [3]). Posto che il rito “sommario” si pone come “alternativo” al rito ordinario e non può mai “convertirsi” in esso, funzione del procedimento sembra essere quella di consentire l’accelerazione dell’esercizio dei poteri cognitivi decisori, con la formazione di un accertamento idoneo al giudicato sostanziale, previa selezione, da parte del giudice, della singola controversia ritenuta, caso per caso, compatibile con la decisione semplificata. In questo senso, la formazione anticipata del titolo esecutivo (che ha lo stesso livello di provvisorietà della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva ex lege) appare una conseguenza della scelta selettiva e della equiparazione della decisione semplificata alla sentenza di primo grado.
Vi sono ancora due riflessioni da svolgere.
A venire in evidenza è l’espressa previsione, contenuta nell’art. 702-quater c.p.c, che il provvedimento decisorio, reso nella forma di ordinanza, produce gli effetti di cui all’art. 2909 del codice civile in mancanza di impugnazione con l’appello. Il legislatore ha qui voluto espressamente equiparare l’accertamento contenuto nella ordinanza resa all’esito del procedimento “semplificato” all’accertamento contenuto in una sentenza ai fini della produzione degli effetti di cui all’art. 2909 c.c. E’ ben vero che anche il decreto ingiuntivo non opposto (al pari degli altri provvedimenti sommari non cautelari) è in grado di produrre effetti di definitività che la giurisprudenza assimila al giudicato sostanziale, ma, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza, il regime di “giudicato” del decreto ingiuntivo non opposto si differenzia nettamente dal giudicato di cui all’art. 2909, anzitutto perché il primo non conosce il giudicato di rigetto, restando escluso con riguardo alle domande, o ai capi di domanda, non accolti [4]. Ed anche con riferimento agli effetti riflessi del giudicato (nei confronti delle stesse parti e nei confronti dei terzi), si deve escludere l’effettiva totale equiparazione tra i due regimi.
Il fatto che il legislatore del 2009 abbia voluto espressamente equiparare l’accertamento che si forma attorno all’ordinanza resa all’esito del procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo non può essere collocato nell’ambito delle tutele sommarie non cautelari e che il richiamo all’art. 2909 c.c. va interpretato come ulteriore elemento di estraneità del procedimento alla tutela sommaria, del quale l’interprete non può non tenere conto.
Vi è ancora da considerare che la fase introduttiva del nuovo procedimento è sottoposta a regole analoghe a quelle del rito a cognizione piena, nel senso che le parti sono chiamate a formulare le proprie domande con modalità e contenuti identici a quelli di ogni domanda giudiziale. Tanto è vero che, come si vedrà in seguito, le domande introdotte con il rito “sommario” sono idonee a consentire al giudice la possibile prosecuzione nelle forme del rito ordinario, con la fissazione dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. Se le parti, dando impulso al procedimento sommario, sono chiamate a formulare domande e a svolgere difese che rendono possibile la prosecuzione nelle forme del rito ordinario, la trattazione e la decisione pur nelle forme semplificate presuppongono l’esercizio di poteri cognitivi pieni in funzione di un accertamento comunque idoneo al giudicato sostanziale.
In conclusione, il procedimento sommario (rectius, semplificato) è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire identica tutela rispetto a quest’ultimo [5]. Per queste ragioni riteniamo che l’espressione “procedimento sommario” debba essere interpretato alla stregua di “procedimento semplificato”, appartenente all’area della cognizione piena, che si caratterizza per l’oggetto delle controversie che ivi sono trattate e decise, laddove il carattere semplificato del procedimento corrisponde al carattere semplificato della controversia che ne è oggetto.

Note

3.  V. arieta, Trattato di diritto processuale civile, III.1., Le tutele sommarie. Il rito cautelare uniforme. I procedimenti possessori, Padova, 2005, 8 e ss.

4.  Cass. sez. un. 1 marzo 2006, n. 4510, ha formulato il principio che il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata solo in relazione al diritto oggetto del provvedimento e non con riguardo a domande, o a capi di domanda, non accolti; la regola contenuta nell’art. 640, ultimo comma, c.p.c., infatti, trova applicazione sia in caso di rigetto totale che di rigetto parziale del ricorso. Il decreto monitorio, una volta divenuto definitivo per la mancata opposizione dell’intimato, ha, secondo le Sezioni Unite, un’efficacia assimilabile a quella della sentenza, per la parte con cui ha accolto la domanda: non l’ha per la parte con cui l’ha respinta, perché la reiezione non è una pronunzia di accertamento negativo a favore del convenuto, non presente nel procedimento.

5.  Nello stesso senso Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, in www.Judicium, 2; s. menchini, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in www.Judicium, 1. g.f. ricci, La riforma del processo civile. Legge 18 giugno 2009, n. 69, Torino, 2009, 104, parla di “ibrido” fra il processo del lavoro e quello cautelare.

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