Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Teoria economica e federalismo fiscale

di - 10 Marzo 2009
      Stampa Stampa      

4.3.Spesa e finanziamento nel Titolo V
La riforma del Titolo V della Costituzione ha ampliato le materie di competenza delle regioni a statuto ordinario, anche se fino ad oggi i dati di bilancio mostrano una spesa complessiva ferma su circa un terzo. Le indicazioni dell’art. 119 sul sistema di finanziamento sono molto generali. Regioni ed enti locali hanno tributi propri e compartecipazioni a tributi erariali; vi è un fondo perequativo per le zone a minore capacità fiscale, senza però vincoli di destinazione; tuttavia sono previste risorse aggiuntive ed interventi speciali per alcune zone, il che può configurare una parziale reintroduzione di trasferimenti destinati a spese specifiche.
In termini generali, il problema che si pone può essere sintetizzato in questi termini: da un lato è necessario trovare un equilibrio tra il rispetto dei livelli essenziali ed il riconoscimento di una autonomia di scelta circa il livello delle prestazione; dall’altro lato il finanziamento dei livelli essenziali richiede un ammontare di trasferimenti a scopo perequativo a favore delle regioni a minore capacità fiscale, ammontare tanto più rilevante quanta maggiore è la differenza nei livelli di reddito medi regionali. Inoltre tra le entrate diverse dai trasferimenti vanno distinte le imposte proprie, in cui l’ente subalterno ha un grado (più o meno grande) di autonomia, dalle semplici compartecipazioni, quote dei tributi erariali. Infatti solo le imposte proprie (o le tariffe) rispondono – entro certi limiti – al criterio del beneficio, per cui i cittadini che pagano questi tributi sono anche gli elettori che giudicano sull’operato degli amministratori.
Tuttavia un sistema di finanziamento basato in misura prevalente sulle imposte proprie implicherebbe per le regioni a reddito maggiore un surplus di entrate, ed al contrario per quelle a reddito minore un deficit. Lo stesso vale per le compartecipazioni a tributi erariali, a meno che la compartecipazione non venga delineata in modo tale da evitare il fenomeno. Questo ad esempio accade in Svezia, dove la compartecipazione all’imposta sul reddito si limita alla prima aliquota (cioè all’aliquota del primo scaglione, e quindi ai redditi che si collocano entro il limite del primo scaglione).

4.4. Il disegno di legge delega
Il ddl sul federalismo è all’esame del Senato. Non ne è possibile in questa sede una disamina particolareggiata. Nel testo è facile rinvenire un giudizio critico sull’esperienza passata dei trasferimenti agli enti locali, basati sulla spesa storica. Tra le righe si legge anche che le risorse sono usate in modo non efficiente, e che un uso efficiente delle risorse consentirebbe un minor livello di spesa pubblica complessiva, e quindi di prelievo fiscale.
In sintesi le spese vengono divise in due grandi categorie: quelle inerenti ai livelli essenziali (di cui all’art.119 della Costituzione) e le altre. Per le prime il finanziamento deve assicurare l’ammontare di risorse necessario (e sufficiente) al soddisfacimento delle prestazioni, valutando quest’ultime ad un livello di costo “standard“. Per le seconde invece si lascia spazio alla differenziazione nelle prestazioni, con un riferimento iniziale alla spesa storica.
Il finanziamento avviene con tributi propri, compartecipazioni e ovviamente trasferimenti dal fondo perequativo, come indicato dall’art. 117. Per quanto riguarda le regioni, i tributi propri vengono divisi in tre gruppi: i) i tributi derivati da leggi statali, ii) le aliquote riservate a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali, iii) i tributi propri istituiti dalle regioni su presupposti non assoggettati da tributi erariali. Per le spese connesse con i livelli essenziali viene specificato che il finanziamento avviene con i tributi propri, con la riserva di aliquota sull’Irpef oppure dell’addizionale regionale all’Irpef, e con la compartecipazione all’Iva. Infine vi sono quote specifiche del fondo perequativo.
La riserva di aliquota sull’Irpef non compariva nei primi testi della legge delega. Il suo inserimento si può spiegare tenendo presente che in una proposta di legge della regione Lombardia era prevista l’istituzione di un’imposta regionale sul reddito delle persone fisiche con aliquota del 15 per cento, e che le aliquote dell’Irpef scendevano tutte di quindici punti. Tuttavia definire tributo proprio una riserva di aliquota è molto curioso. I tributi propri sono prelievi che i cittadini di una regione versano senza che le entrate statali subiscano variazioni. Le addizionali all’Irpef certamente sono entrate proprie. D’altra parte se la riserva di aliquota fosse fissa, non sarebbe altro che una compartecipazione, a parte il problema di definire esattamente che cosa si intenda. Ma il testo parla della possibilità di modificare le aliquote (entro certi limiti) e disporre esenzioni, detrazioni, deduzioni e speciali agevolazioni.
Non è chiaro su chi ricade l’onere di queste variazioni. Se dovesse ricadere sul gettito erariale avremmo un elemento fortemente illogico nel sistema, oltre al rischio di avere tante Irpef diverse quante sono le regioni. Se si tiene presente che all’Irpef è demandato un ruolo importante nelle politiche redistributive – ed in particolare di attuare l’equità verticale in tema di imposizione fiscale – possiamo concludere che la presenza di una riserva di aliquota contraddice la divisione dei compiti fissata da Musgrave, tra obbiettivi allocativi e redistributivi.
Un altro aspetto problematico è il livello dei costi standard sulla base dei quali definire l’ammontare delle risorse – tributi propri, compartecipazioni o trasferimenti – che le regioni devono ricevere. Le indicazioni del testo di legge delega sono vaghe, si parla di “prestazioni da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale per assicurare l’adeguatezza nel livello delle prestazioni”; va notato che il termine “adeguatezza” ha preso il posto, per emendamento, dei due termini: “omogeneità e uniformità”. La modifica sembra mirare a rendere più elastica la valutazione delle prestazioni in materia di sanità, assistenza ed istruzione. Viene inoltre specificato che le aliquote dei tributi propri e delle compartecipazioni devono essere fissate “al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento….in una sola regione”. Questo punto è stato oggetto di successive modifiche. Nella prima versione si parlava di “almeno tre regioni”, poi di “1/3/6 regioni”, ed infine nel testo mandato alla Camera di “almeno una regione”; la dizione “una sola regione” è frutto di un emendamento.
Se i tributi propri e le compartecipazioni devono assicurare il finanziamento a più di una regione, avendo esse capacità fiscale diseguale, i livelli delle aliquote e delle quote di compartecipazione dovranno essere più elevati rispetto al caso in cui si tratti di assicurare il finanziamento ad una sola regione, se questa ha maggiore capacità fiscale (cioè la Lombardia). Ma allora perché non dire che il livello deve assicurare il finanziamento alla regione con maggiore capacità fiscale (o direttamente alla Lombardia)?

Pagine: 1 2 3 4 5 6


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy