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La cornice istituzionale della Public Company negli Stati Uniti e nel Regno Unito

di - 21 Febbraio 2009
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2.1 Esercizio del controllo

Quanto al primo aspetto, negli Stati Uniti gli amministratori hanno quasi tutti i poteri di gestione della società; solo alcune decisioni richiedono il voto assembleare e tali risoluzioni possono essere proposte esclusivamente dagli amministratori stessi. Esse sono costituite, in primo luogo, dalle modifiche allo statuto, le cessioni di asset importanti, lo scioglimento o la fusione della società (Bebchuk, 2007). I soci non hanno un potere di iniziativa, cioè di promozione di questioni da portare dinanzi l’assemblea – se si escludono le precatory resolutions. Queste ultime sono deliberazioni assembleari che non vincolano gli amministratori, i quali possono disattenderle senza andare incontro a sanzioni civili o di altra sorta. L’amministratore può peraltro essere non più nominato dall’assemblea, e ciò potrebbe rappresentare una conseguenza tale da allineare la volontà degli azionisti con quella del management.

La legislazione nel Regno Unito riconosce agli azionisti poteri di controllo penetranti nei confronti degli amministratori. (Becht, Franks, Mayer e Rossi, 2007). Gli azionisti hanno il diritto di proporre risoluzioni all’assemblea annuale. Inoltre, gli investitori che detengono almeno il 10% del capitale azionario hanno il potere di chiedere la convocazione di un’assemblea straordinaria. Il consiglio di amministrazione è poi soggetto ad ogni indirizzo preso con risoluzione dagli azionisti. Sulla base di una norma inderogabile gli azionisti possono in ogni momento sostituire i consiglieri di amministrazione per mezzo del voto in assemblea straordinaria convocata per tale scopo. Il diritto del Regno Unito non considera la moderna corporation come una “democrazia puramente rappresentativa” (Bebchuk, 2005). Alcuni autori ravvisano peraltro nei fatti una forte passività degli investitori nei confronti degli amministratori, per cui tale passività lascerebbe l’esercizio del controllo in capo agli amministratori (Black e Coffee, 1994; Goergen e Renneboog, 2001; Pacces 2008; ma vedi in senso contrario, Santella, Baffi Drago e Lattuca, 2008).

2.2 Conservazione del controllo

Gli amministratori negli Stati Uniti hanno anche poteri di conservazione del controllo. In primo luogo, essi possono ricorrere alla sollecitazione di deleghe per concentrare i voti sui candidati da loro scelti in occasione del rinnovo del consiglio di amministrazione. Anche un soggetto diverso dal management può ricorrere ad una proxy solicitation, ma vi è una asimmetria nella disciplina delle raccolte di deleghe compiute dagli amministratori e quelle attuate da soggetti esterni: mentre per quanto concerne gli amministratori le spese sono a carico della società, anche nel caso in cui risulti che la richiesta non abbia prodotto il risultato desiderato, cioè la nomina dei consiglieri di amministrazione indicati dall’incumbent board of director, per quanto concerne i soggetti esterni le spese sono a loro carico, tranne nel caso in cui risultino vincitori nella contesa. Forse anche per tale motivo le proxy fights sono così rare nelle società quotate (Bebchuk 2005; Bebchuk, 2007). In questo modo di fatto il board of directors si autoperpetua o quanto meno si caratterizza per il fatto che l’ingresso in esso avviene per cooptazione. La difesa del controllo si realizza anche attraverso l’istituto dello staggered board, in forza del quale nell’elezione dei consiglieri di amministrazione solo un terzo di essi può essere sostituito. In società che adottano tale caratteristica statutaria, per ottenere il controllo del consiglio di amministrazione un soggetto esterno dovrebbe compiere due proxy solicitations in due anni successivi. Infine la conservazione del controllo si esprime anche in atti che gli amministratori possono compiere in caso di takeover ostili: lo strumentario di poison pills e tecniche difensive che si possono utilizzare per contrastare un takeover, senza bisogno del voto assembleare, sono tali per cui si sostiene che valga la regola del “just say no” (Pinto e Branson, 2004).

Nel Regno Unito la conservazione del controllo da parte degli amministratori appare più difficile dato il bilanciamento di poteri a favore dell’assemblea degli azionisti. Deve inoltre tenersi presente che le misure difensive in caso di takeover ostili sono vietate dalla legislazione.

Vi sono, peraltro, alcuni elementi che sembrano indicare che la conservazione del controllo sia in parte possibile anche per i managers nel Regno Unito, sia pure con modalità diverse dagli Stati Uniti. La conservazione del controllo si fonderebbe sulla possibilità di raccogliere deleghe a spese della società; tale attività può essere compiuta da un soggetto esterno solo a proprie spese (Goergen e Renneboog, 2001). Alcuni studiosi fanno poi notare che la corporate governance britannica “penalizza anche il mero esercizio del controllo attraverso la concentrazione stabile della proprietà azionaria, imponendo in tal caso il riconoscimento di cospicui poteri di governance alla minoranza (…): ad esempio la necessità di far approvare le operazioni infragruppo dalla minoranza della società controllata, l’obbligo di riservare alla minoranza l’elezione della maggior parte dei membri del consiglio, il diritto di veto su qualunque operazione sul capitale che possa diluire il peso percentuale degli azionisti non controllanti” (Bianchi, Bianco et. al., 2005, pp. 177-178; vedi inoltre Becht a Mayer, 2001). Infine deve rilevarsi come l’acquisizione del controllo totalitario risulti particolarmente costosa, richiedendo la corresponsione dell’intero premio di controllo a tutti gli azionisti. La nostra conclusione è che la conservazione del controllo per il management nel Regno Unito sembra essere possibile ma in misura ridotta rispetto agli Stati Uniti.

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