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Crisi e istituzioni. Una “nuova” interpretazione della Grande Depressione

di - 6 Febbraio 2009
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Circa la sopravvivenza istituzionale, le normative bancarie citate, e così le istituzioni e le strutture del sistema bancario, tennero – come noto – a lungo. Con le leggi citate, le banche furono rese in parte assimilabili – non solo in America – a public utilities. Il sistema, anche se non immune dalle spinte recessive di settori dell’economia e dai propri “eccessi” (crisi energetica degli anni ’70, crisi immobiliare di fine anni ’80), o da aree geografiche in crisi (America Latina, anni ’80), sostanzialmente “resse”, e le correzioni della regolazione puntarono agli aspetti critici via, via emergenti. La deregulation di fine anni ’80 e degli anni ’90, ammettendo la banca polifunzionale “universale”, sia pure con limitazioni, e soprattutto la sussistenza di settori finanziari meno, o affatto, regolati, ha notevolmente cambiato quel quadro. Solo in tempi non lontani, quindi, affievolendosi la concezione della banca come public utility e guadagnando terreno quella della banca come market player, quella stretta regolazione del settore è stata vista come un “lacciolo”, da sciogliere.

La RFC nacque invero come portato delle necessità. Dopo un’attività di prestito, prevalentemente alle banche, l’ingresso nel loro capitale, consentito dall’Emergency Banking Act 1933 (presidenza Roosevelt), fu considerato, anche dal riluttante Hoover che da presidente lo aveva avversato, inevitabile [8]. Tuttavia, la passività dell’investimento era confermata dal carattere privilegiato (preferred shares) delle azioni che lo rappresentavano [9]. Restò, come appena detto, un sistema comunque fortemente regolato, e può qui venire a proposito l’osservazione di Temin, riferita a quel periodo, secondo cui il “socialismo” può consistere non in un formale titolo di proprietà pubblica, bensì in un effettivo controllo pubblico dell’oggetto della proprietà, che resta privata [10]. Anche oggi, l’intervento pubblico di ricapitalizzazione sta avvenendo, finora, con forme che sembrano precludere un intervento gestionale nelle banche.

Secondo Smiley, forti e immediate furono le conseguenze negative, per la crescita economica, di due altri pilastri rooseveltiani, la NRA e la WPA. Alla base della loro creazione fu – dice Smiley – la convinzione che le cause principali della crisi fossero il sottoconsumo o la sovraproduzione [11]; si ritenne che occorresse contenere la produzione e aumentare il reddito delle classi meno abbienti, con più elevata propensione al consumo. Occorrevano quindi da un lato un coordinamento della produzione, in vista di una fair – opposta a una free – competition , da attuare con codici di condotta per le imprese, e dall’altro lato una contrattazione collettiva, per il lavoro. Donde, accordi di cartello, barriere all’entrata nei mercati per i nuovi entranti, eliminazione di unfair price cuttings. A luglio 1933, poco dopo la legge istitutiva della NRA, 209 codici di condotta erano stati approvati. La NRA è vista dall’autore come un “massiccio esperimento di cartellizzazione dell’economia promosso dal governo”, volto a creare una “democrazia collettivistica e una pianificazione nazionale di controllo della produzione” [12]. Essa ebbe successo nell’alzare il livello dei salari reali, per combattere il sottoconsumo, ma gli stimoli all’incremento della produttività, che avrebbero effettivamente dato spazio alla crescita dei salari e dei profitti, furono soltanto una componente secondaria della NRA[13]. L’esperimento mancò di soddisfare sia i sostenitori della pianificazione sia gli avversari dei monopoli e la NRA, divenuta un “incubo burocratico” [14], fu infine dichiarata incostituzionale nel 1935.

Note

8.  Olson J.S., Saving Capitalism. The Reconstruction Finance Corporation and the New Deal, 1933-1940, PrincetonU.P.,1988,cap. II

9.  La RFC fu impiegata per operazioni di sostegno anche in altri settori, in particolare quello agricolo, e poi, durante la guerra, finanziò imprese industriali impegnate nello sforzo bellico. Cessò nel 1953.

10.  Temin, cit.

11.  Smiley, cit., p.87

12.  Smiley, p.99

13.  Smiley, pp. 99-104

14.  Olson, cit., p. 157

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