Poteri di iniziativa probatoria ufficiosa e possibili modelli di istruttoria e di processo civile.
1. Premessa.
L’individuazione del più corretto punto di equilibrio fra iniziativa delle parti ed iniziativa del giudice nell’ambito del processo incontra nella tematica dei poteri istruttori d’ufficio, anche con riferimento al processo civile, uno dei suoi più delicati e complessi profili, che da sempre, peraltro, divide gli studiosi del processo, anche sotto il profilo della natura (di ordine “politico” o meramente “tecnico”) delle scelte sottese ad una possibile attribuzione al giudice (civile) di poteri di iniziativa probatoria [1].
Le considerazioni che seguono mirano fondamentalmente a fornire un contributo a questo complesso ed articolato dibattito sotto lo specifico profilo dei differenti possibili modelli di istruttoria e di processo civile.
2. La costante attribuzione al giudice (civile) di poteri istruttori ufficiosi nel nostro (ed in altri) ordinamenti.
Il primo dato che emerge da un esame che non si limiti, in modo superficiale, a recepire acriticamente l’enunciato di cui all’art. 115 c.p.c., è che ci troviamo di fronte ad un numero estremamente significativo di ipotesi in cui si attribuiscono al giudice civile poteri ufficiosi in materia probatoria (latamente intesa), tanto da poter legittimamente dubitare, come pure una parte della dottrina ha fatto, che il processo civile possa dirsi effettivamente dominato, così come potrebbe sembrare dalla lettera della suddetta norma, dal principio della «disponibilità delle prove».
Si consideri, infatti, come il giudice civile dispone, anzitutto, di ampi poteri di iniziativa probatoria ufficiosa con riferimento al processo di cognizione ordinario.
E’ il caso, più in dettaglio:
1) dell’interrogatorio libero delle parti (art. 117 e 183 c.p.c.);
2) dell’ispezione di persone e cose (art. 118 c.p.c.);
3) dell’ordine di esibizione, rivolto ad un imprenditore che sia parte in causa, dei libri e delle scritture contabili (la cui tenuta è obbligatoria per le imprese soggette a registrazione), nonché di lettere, telegrammi e fatture (art. 2711 cod. civ.) [2];
4) della nomina di un consulente tecnico (artt. 61 e 191 ss c.p.c.) nei limiti in cui la consulenza tecnica sia mezzo di prova;
5) della richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione (art. 213 c.p.c.);
6) del giuramento suppletorio e quello d’estimazione (artt. 240 e 241 c.p.c.);
7) della prova testimoniale in talune specifiche ipotesi, quali il potere di:
– rivolgere al teste domande utili a chiarire i fatti intervenendo nell’assunzione della prova testimoniale al di là della capitolazione ammessa (art. 253, 1° comma c.p.c.);
– disporre l’audizione dei cd. testi di riferimento (art. 257 c.p.c.);
– disporre l’audizione di testi prima ritenuti superflui o a cui vi sia stata rituale rinuncia e la nuova audizione di testi già interrogati (art. 257, 2° comma);
– disporre d’ufficio la prova testimoniale quando le parti nella esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità (art. 281 ter c.p.c.);
8) dell’esperimento giudiziale (oltre che l’esecuzione di rilievi, calchi e riproduzioni anche fotografiche di oggetti, documenti e luoghi, nonché, quando occorre, rilevazioni cinematografiche o altre che richiedono l’impiego di mezzi, strumenti o procedimenti meccanici) (art. 261 c.p.c.).
Note
1. Rinvio per un esame e per ampi riferimento su tale dibattito, nonché per un tentativo di “superamento” dello stesso al mio recente contributo in materia e cioè a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile. I. Contributo al chiarimento del dibattito, Napoli, Esi, 2008, 228 ss e 693 ss.↑
2. Nonché, quanto meno secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, di ulteriori specifiche ipotesi di esibizione su cui cfr. da ultimo, anche per ulteriori riferimenti, E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 596 ss.↑