L’azione collettiva risarcitoria: spunti di riflessione.
Ciò rende, di fatto, tali criteri difficilmente utilizzabili a fronte della diversa fattispecie sulla quale sono destinati a incidere, non occorrendo molta fantasia per la costituzione di un’associazione o di un comitato per la tutela di specifici interessi. La conseguente genericità della norma può determinare effetti distorsivi del mercato per effetto di fenomeni di forum shopping rivenienti da eventuali giustapposti orientamenti giurisprudenziali (agli estremi molto rigorosi o laschi) in ordine al riconoscimento della legittimazione ad agire, e così recare pregiudizio contemporaneamente a imprese e ad associazioni. Aggiungasi che i tempi lunghi della giustizia civile italiana non aiutano a definire in maniera efficace l’assetto della controversia ove solo si consideri, da un lato, che l’ordinanza sull’ammissibilità è reclamabile al collegio e, in quanto decisoria e definitiva, dovrebbe risultare anche ricorribile per cassazione; dall’altro che il giudice può differire la pronuncia se è in corso un’istruttoria davanti a un’autorità indipendente. Il differimento (che non può essere inteso come sospensione del giudizio per pregiudizialità o per litispendenza) non prevede un termine massimo decorso il quale l’azione può essere comunque utilmente esercitata. E questo, oltre a ritardare la decisione, corre il rischio di addossare indirettamente all’autorità procedente, chiamata a svolgere compiti diversi da quelli riconducibili all’esercizio dell’azione collettiva, sollecitazioni incompatibili con il suo ruolo. E se poi la decisione dell’autorità viene impugnata presso il giudice competente, cosa si fa, si attende l’esito definitivo di questo giudizio prima di riprendere quello sull’azione collettiva? Con quali riflessi sull’effettività degli artt. 24 e, soprattutto, 111, co. 2, Cost. (ragionevole durata del processo) è facile intuire. Ricordo solo, sotto questo versante, che – nel corso di un convegno organizzato da Codacons nella primavera del 2007 – ebbi modo di rappresentare l’importanza (purtroppo disattesa) delle regole con cui vengono allocati poteri e responsabilità tra i distinti soggetti che partecipano al procedimento, segnalando come indispensabile introdurre a tal fine adeguati sistemi di governance e di controllo interno che assicurino un effettivo allineamento degli interessi tra gli enti ai quali è riconosciuta la legittimazione all’azione collettiva e i soggetti nell’interesse dei quali la medesima è attribuita. Per queste ragioni ho poi prodotto, in un gruppo di lavoro del Consiglio Nazionale Forense, un possibile emendamento alla prima versione della norma, teso ad attribuire a un decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, sentite le competenti commissioni parlamentari, la predeterminazione delle associazioni legittimate.
c) Naturalmente occorrerà prima prendere posizione in ordine al problema di definire se gli enti legittimati ad esperire l’azione collettiva agiscano a tutela di un diritto proprio, ovvero esclusivamente a tutela di un interesse collettivo dei rappresentati o, infine, a tutela di un interesse pubblico. La norma non è certo chiara e ha prodotto posizioni dottrinali manifestamente divaricate. Appare tuttavia evidente che l’adesione all’azione collettiva regolata dall’art. 140 – bis non è un mandato, di guisa che “il tranquillo esercizio dell’azione collettiva in funzione del mero accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli nonché della determinazione dei criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti…può lasciare indifferenti i singoli consumatori o utenti e indurli ad instaurare o a coltivare le azioni individuali” (G. Costantino, L’azione collettiva risarcitoria, in Guida al diritto). Collegata alla scelta legislativa di adottare, quale modalità di accesso a questa nuova forma di tutela giurisdizionale, il sistema di opt – in (con conseguente limitazione dell’efficacia della pronuncia ai soli soggetti che abbiano espressamente manifestato la volontà di aderire al giudizio collettivo), questa considerazione disvela appieno, oltre alla superficialità della scelta, anche la sua ipocrisia. Ed invero: i) in assenza di meccanismi idonei a contenere, sospendere, neutralizzare azioni individuali o azioni collettive parallele; ii) a fronte di un’adesione all’azione collettiva garantita fino all’udienza di precisazione delle conclusioni nel processo d’appello, tale soluzione non soddisfa né le esigenze del consumatore né quelle dell’impresa (come sopra sinteticamente descritte) né quelle del sistema, potendo invece determinare un ulteriore rallentamento della macchina della giustizia. Coerentemente alle linee guida del “Libro Verde” U.E. del 2 aprile 2008, a ciò occorre porre urgente rimedio al fine di aggregare in una sola azione le richieste individuali di risarcimento del danno subito.