Appalti pubblici ed intuitus personae

1. L’intuitus personae nell’esecuzione dei contratti pubblici e il principio di immutabilità dell’appaltatore. L’intuitus personae è stato per lungo tempo un principio fondamentale in materia di esecuzione dei contratti pubblici: costantemente affermato dalla giurisprudenza, portava ad escludere qualsiasi modificazione successiva alla individuazione del contraente attraverso procedure di gara.
Questo principio traeva origine, da un lato, dalla storica diffidenza del legislatore nei confronti delle amministrazioni – o meglio, dei loro funzionari -, per cui si cercava di confinarne l’operato in regole precise e puntuali che rendessero immutabili sia l’imprenditore selezionato che i termini del suo rapporto con la committenza; dall’altro, dal fatto che il mercato nazionale degli appalti e delle opere pubbliche della seconda metà del XIX secolo, e per lungo tempo ancora, attribuivano rilievo determinante all’impresa individuale concepita come entità tendenzialmente invariabile nel tempo.
Le più rilevanti manifestazioni del principio or detto erano certamente il divieto di cessione del contratto e l’obbligo di eseguirlo ‘personalmente’.
Non è possibile ripercorrere in questa sede la lunga e complessa evoluzione delle norme, che hanno disciplinato i molti aspetti del divieto di cessione del contratto e dell’obbligo di eseguirlo direttamente. E’ però opportuno ricordare che la disciplina di questa materia è stata influenzata, e per molti versi condizionata, anche dalla necessità di prevenire infiltrazioni criminali ed alterazioni patologiche del mercato delle commesse pubbliche: in breve, da preminenti ragioni lato sensu di ordine pubblico. Basti citare in questa sede i rigorosi limiti imposti al subappalto ed alla cessione del ramo di azienda, cui faceva capo il contratto: sembrava quasi che fosse preferibile fare continuare l’esecuzione di un contratto all’imprenditore che non disponeva ovvero si era privato dell’organizzazione necessaria, piuttosto che ammettere il subentro di nuovi soggetti.
Ancora oggi, nonostante le importanti innovazioni introdotte dal d.lgs. 163/2006, c.d. Codice degli appalti, e dai vari correttivi che si sono succeduti in questi anni, l’influenza di tale principio è fortissima: ad esso si ispira certamente la perentoria enunciazione dell’art. 118, per cui i “soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice sono tenuti ad eseguire in proprio le opere o i  lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. Il contratto non può essere ceduto a pena di nullità …” e la disciplina restrittiva del subappalto in esso contenuta.

2. L’influenza del diritto comunitario. – Il diritto comunitario ha esercitato un’influenza per molti versi determinante, imponendo l’affermazione di istituti caratterizzati da una flessibilità sconosciuta all’ordinamento nazionale. Anche in questo caso, sia consentito richiamare un esempio per tutti: la disciplina dei raggruppamenti temporanei di imprese, introdotta sin dalle prime direttive appalti degli anni ’70 e recepita nel nostro ordinamento con la l. 8 agosto 1977, n. 584, Norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunità economica europea. Grazie a tale disciplina, più soggetti singoli potevano partecipare alle gare stabilendo un vincolo reciproco tra loro, senza dare vita ad un nuovo soggetto giuridico; le amministrazioni potevano stipulare i contratti non con un singolo imprenditore, ma con una pluralità di imprenditori aggregatisi in occasione di una gara al fine di formulare un’offerta congiunta.
La disciplina comunitaria trovava giustificazione nella consapevolezza di un fenomeno sempre più frequente nella realtà industriale del momento: la crescente complessità del mondo economico rendeva sempre più difficile e pericoloso assumere in proprio l’onere di una grande commessa, perché ciò avrebbe richiesto, da un lato, una importante immobilizzazione di risorse a favore di un unico committente, con il rischio per l’imprenditore di trovarsi nell’impossibilità di partecipare a nuove gare per un lungo periodo di tempo; dall’altro, l’integrale concentrazione, in capo a quest’ultimo, dell’alea del corretto adempimento del contratto (anche nel caso di insolvenza o di contenzioso con l’amministrazione), mettendo potenzialmente a repentaglio le sorti aziendali.
Tutto ciò ha portato negli anni all’affermazione di realtà imprenditoriali estremamente complesse, sovente caratterizzate da un ricorso generalizzato all’outsourcing anche come fenomeno di aggregazione organizzativa e non strettamente giuridica di imprese; nonché all’emersione del fenomeno dei gruppi di imprese, specialmente nella forma della holding finanziaria capogruppo, cui fanno capo le piu’ disparate società operative.

3. L’avvalimento. – In questo contesto è nato altresì l’avvalimento, istituto che ha rappresentato una importante novità nel diritto degli appalti di questi ultimi anni e che appare particolarmente significativo per i fini che ci occupano. Creato nel 1994 dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea per consentire ad una holding di partecipare ad una gara spendendo i requisiti di capacità economica e tecnica appartenenti ad una società controllata non partecipante alla gara stessa, l’avvalimento è stato poi utilizzato dalla giurisprudenza anche al di là di tale ipotesi al fine di indurre la massima apertura nel mercato delle commesse pubbliche. La sua applicazione, infatti, è stata progressivamente estesa alle ipotesi in cui tra l’aspirante appaltatore e l’impresa ausiliaria non sussistano legami strutturali, all’unica condizione che l’appaltatore sia in grado di dimostrare l’effettiva disponibilità delle risorse per tutto il periodo necessario.
Non è questa la sede per analizzare nel dettaglio questo istituto. E’ però opportuno ricordare che esso consente di affidare appalti, di importo anche rilevante, ad operatori che non possiedano in proprio i requisiti minimi di partecipazione richiesti dal bando o dalla lettera di invito, purchè siano in grado di procurarsi le risorse corrispondenti da soggetti terzi, non importa se appartenenti o meno al medesimo gruppo imprenditoriale.
In questi termini, l’avvalimento è stato poi codificato nel diritto comunitario ad opera delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, che hanno introdotto una disciplina unitaria per appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, rispettivamente nei settori ‘speciali’ e in quelli ‘ordinari’.
Le direttive prevedono l’avvalimento in due ipotesi.
Innanzitutto, in relazione ad una singola gara d’appalto (avvalimento c.d. ordinario). In questo caso, l’avvalimento  rappresenta una facoltà, di cui il concorrente dispone a prescindere dalla natura dei legami esistenti con l’impresa che presta i propri requisiti – quindi, anche in assenza di un collegamento strutturale fra avvalente e impresa ausiliaria: è infatti ammesso nell’ambito dei raggruppamenti di operatori economici, fra i partecipanti al gruppo ovvero utilizzando le capacità di soggetti a questo estranei.
La seconda forma di avvalimento si realizza nell’ambito dei sistemi di qualificazione ed è stata definita permanente perché deve avere una durata pari almeno al periodo di validità del sistema di qualificazione e presuppone, dunque, una integrazione in qualche modo stabile fra avvalente e ausiliaria.
Nell’un caso e nell’altro, l’avvalimento appare incentrato su una integrazione aziendale fra diversi operatori – nulla vieta, infatti, che le imprese ausiliarie siano più di una –, che può assumere le forme più disparate. Caratteristica essenziale dell’istituto è la sua estrema flessibilità che, nell’ottica del legislatore comunitario non può essere compressa né dalle legislazioni nazionali, né dalle stazioni appaltanti, per consentirne l’adattamento alle più diverse esigenze imprenditoriali.

4. I riflessi sull’ordinamento nazionale. – Da quanto sin qui rilevato emerge chiaramente la tendenza dell’industria ad adottare forme organizzative e, addirittura, societarie nuove, capaci di meglio adattarsi alle esigenze del breve e medio periodo. Il fenomeno, che ha un chiaro fondamento economico, produce due conseguenze.
La prima, è che l’impresa lato sensu individuale è divenuta una figura recessiva di fronte a forme infinitamente più articolate e complesse. In esse coesistono, senza necessariamente fondersi, profili finanziari e di ingegneria, di controllo di gestione esterna (sulle imprese collegate in outsourcing) e di gestione industriale propria, il cui nucleo centrale sembra essere il decentramento di  molte attività in società controllate o correlate, ma comunque dotate di una loro autonomia pur nella dipendenza funzionale.
L’ulteriore conseguenza è che ragioni ancora una volta economiche inducono frequenti riassetti delle organizzazioni societarie.
In termini generali, la rilevanza di questi fenomeni viene riconosciuta in prima battuta dall’ordinamento comunitario.
Anche il legislatore nazionale ha però cercato di adeguarsi ad essi: si pensi alle numerose novità introdotte in questi anni nel diritto societario, ovvero ai non infrequenti casi in cui il legislatore attribuisce rilevanza a fenomeni di aggregazione fra imprese più o meno stabili. A tale ultimo proposito, ad esempio, è all’esame del Parlamento il disegno di legge avente ad oggetto Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, recante fra l’altro delega al Governo per la configurazione giuridica delle reti di imprese, correlate da legami contrattuali stabili e rispondenti a requisiti di stabilità, coordinamento e direzione da individuare nel decreto delegato (si veda Disegno di legge n. 1441 in Atti Senato n. 1195, collegato alla manovra di finanza pubblica).
In questo quadro si collocano anche alcuni importanti istituti disciplinati via via dalle leggi che si sono succedute in materia di appalti pubblici, ed ora recepiti nel Codice degli appalti: essi introducono elementi di flessibilità nella esecuzione dei contratti sia attraverso il riconoscimento di nuove figure soggettive od oggettive, sia grazie ad una nuova disciplina delle vicende soggettive che colpiscono l’esecutore del contratto (od aspirante tale).
Sotto il primo profilo, accanto agli istituti più tradizionali, da tempo entrati nel nostro ordinamento – come i raggruppamenti temporanei di imprese, di cui si è detto, ovvero i consorzi – si deve ricordare il promotore nella finanza di progetto, il contraente generale e, da ultimo, la locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità, introdotta dal secondo correttivo al Codice degli appalti (d.lgs. 113/2007) e modificata dal recentissimo terzo correttivo (d.lgs. 152/2008). Sotto il secondo profilo, il Codice ha attribuito rilevanza alle vicende soggettive (ad es., cessioni di azienda, atti di fusione o trasformazione e scissione societarie) che riguardano il concorrente o l’esecutore del contratto, a seconda del momento in cui intervengono. Nel primo caso, la stazione appaltante deve prendere atto dell’evento e ammettere alla gara – o, addirittura, a stipulare il contratto – il nuovo soggetto, salva la verifica dei requisiti (art. 51 Cod.); nel caso di esecuzione in corso, gli eventi societari non determinano la risoluzione del contratto, ma entro 60 gg. l’amministrazione può opporsi al subentro del nuovo soggetto per ragioni di prevenzione dell’infiltrazione mafiosa (art. 116 Cod.).
Infine, nel nostro ordinamento è stato introdotto l’avvalimento, che rappresenta una delle principali novità del Codice. In estrema sintesi, si può dire che la disciplina contenuta negli artt. 49 e 50 del Codice riprende quella delle direttive, estendendone l’applicazione ai contratti di valore inferiore alla soglia comunitaria. Presenta tuttavia una differenza di non poco rilievo: rispetto alla normativa comunitaria, infatti, quella nazionale appare molto più analitica e restrittiva, rivelando una chiara diffidenza del legislatore nazionale nei confronti di questo istituto, alimentata con ogni probabilità dalla preoccupazione che esso possa diminuire le garanzie delle stazioni appaltanti relativamente ad una corretta e trasparente esecuzione del contratto.

5. Le conseguenze sul principio dell’intuitus personae. – In conclusione, la legislazione nel corso degli anni si è andata adeguando alla naturale evoluzione degli assetti organizzativi e giuridici imposta dalle esigenze produttive e di competizione sui mercati.
Sotto questo profilo, l’ordinamento ha senza dubbio supportato le esigenze delle imprese anche nei loro rapporti con l’amministrazione, introducendo una flessibilità sconosciuta sino a trenta anni or sono.
Fra le conseguenze di tale flessibilità, vi è certamente una diversa percezione dell’intuitus personae nell’esecuzione del contratto. Questo principio, come si è visto interpretato per decenni in maniera estremamente rigida, si è in qualche modo attenuato in favore di forme complesse come quella del contraente generale o dell’appaltatore che si avvale delle capacità di soggetti terzi, alla sola condizione che lo dichiari durante la gara e che l’impresa ausiliaria possieda i necessari requisiti; ovvero, nel riconoscimento della rilevanza degli accadimenti che interessano l’appaltatore e la sua organizzazione aziendale.
Il principio non è stato però abbandonato e riemerge chiaramente in alcuni istituti, cui si è in parte accennato all’inizio di questo articolo: nell’obbligo per l’appaltatore di eseguire in proprio il contratto, nel divieto di cederlo al di fuori dei casi previsti dalla legge, nei limiti imposti ad istituti che possono prestarsi ad abusi e favorire intenti collusivi – quali avvalimento, subappalto e, in qualche misura, raggruppamenti temporanei di imprese (per quanto riguarda i requisiti minimi che debbono essere posseduti dai singoli partecipanti e la ripartizione percentuale delle prestazioni fra di essi; i possibili abusi cui si presta questo istituto che, specie in mercati caratterizzati dalla presenza di pochi operatori, può favorire accordi collusivi fra di essi, sono stati più volte segnalati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a partire dalla segnalazione AS 187 del 28 09 1999).
Si può dire che il principio rimane fermo laddove appare preordinato a salvaguardare la fase di esecuzione del contratto, preservandola da vicende anomale sintomatiche di una gestione non trasparente delle commesse pubbliche, se non di vere e proprie infiltrazioni criminali, ovvero che potrebbero indurre la creazione di un mercato parallelo degli appalti pubblici.
Vi è però da chiedersi se detto principio possa offrire ancora oggi una risposta coerente con il sistema: a tutela delle amministrazioni, infatti, introduce limitazioni che, per un verso, non trovano riscontro nelle direttive europee in materia di appalti pubblici e, per altro verso, rischiano di rivelarsi inadeguate – perché fondate su meccanismi necessariamente formali – ad approntare una garanzia effettiva a fronte di realtà economiche ed imprenditoriali estremamente complesse.
Tutto ciò rappresenta un’anomalia dell’ordinamento nazionale, se pure giustificata dalle sue peculiarità, che potrebbe risultare incompatibile con il diritto comunitario per la semplice ragione che limitazioni, non esplicitamente previste dalle direttive, devono intendersi da queste non consentite (così la Commissione a proposito della disciplina nazionale dell’avvalimento, nel dare avvio con decisione C(2008) del 30 gennaio 2008 alla procedura di infrazione n, 2007/2309).
Ne deriva che l’apertura del mercato degli appalti pubblici impressa dalle direttive comunitarie presuppone una ridefinizione di requisiti, garanzie e controlli, in modo da assicurare che la elasticità nella ammissione alle gare e nella gestione delle fasi preliminari alla sottoscrizione del contratto non vada a scapito della verifica sui requisiti sostanziali di idoneità tecnica ed economica, e venga a sua volta accompagnata da un rigoroso controllo della progettazione e dell’esecuzione. Questo pare, in definitiva, l’unico modo per assicurare alle amministrazioni il risultato finale, vale a dire la corretta esecuzione del contratto.