Le criticità ambientali come questione istituzionale

L’ipotesi di lavoro da cui muoviamo vede – dopo un lungo processo evolutivo – il consolidarsi delle problematiche connesse con le criticità ambientali come questione istituzionale. L’ipotesi è basata sui seguenti elementi:

1.    La gravità delle problematiche ambientali emerge ormai da tempo, costantemente, in atti e sedi istituzionali internazionali del massimo livello. Un importante momento di analisi e di proposta è costituito dalla risoluzione ONU 43/53 del 1988 e dalla successiva conferenza di Rio de Janeiro del 1992 nell’ambito della quale venne adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UN Framework Convention on Climate Change – UNFCCC).

2.    L’UNFCCC all’articolo 2 indica come obiettivo ultimo da raggiungere “La stabilizzazione delle concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello tale che escluda qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. Tale livello deve essere raggiunto entro un periodo di tempo sufficiente per permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente ai cambiamenti di clima e per garantire che la produzione alimentare non sia minacciata e lo sviluppo economico possa continuare a un ritmo sostenibile”.

3.    Successivamente  le problematiche ambientali hanno trovato costante attenzione da parte di altre sedi istituzionali internazionali quali l’UNEP (United Nations Environment Programme), IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change)[1], le conferenze internazionali post UNFCCC (protocollo di Kyoto, accordi di Marrakesh, conferenza di Montreal, conferenza di Nairobi, conferenza di Bali). A tali momenti di incontro internazionale si aggiungono la conferenza di Poznan (che ha avuto avvio il 1° dicembre 2008 e terminerà il prossimo 12 dicembre 2008) e la conferenza di Copenaghen che si terrà nel dicembre del 2009.

4.    I più recenti lavori delle istituzioni internazionali preposte all’analisi degli effetti del “Global Warming” e in particolare le analisi dell’IPCC confermano la gravità delle criticità ambientali con riferimento sia alla crescente velocità dei mutamenti climatici, e la conseguente accelerazione dei relativi impatti negativi, sia ai crescenti pericoli in ordine alle disponibilità nel tempo di riserve idriche utilizzabili dall’uomo per le necessità vitali e di produzione. In tali lavori, e in particolare nei report dell’IPCC pubblicati nel settembre 2007 e nel giugno 2008, vengono individuati più punti di attenzione: a) presenza di crescenti quantità di anidride carbonica nell’atmosfera; b) innalzamento delle temperature medie;  c) scioglimento dei ghiacci e minor quantità di neve e di ghiacciai; d) innalzamento del livello dei mari; e) riscaldamento crescente delle acque dei mari e dei fiumi; f) diffondersi di fenomeni di siccità e desertificazione; g) decremento delle risorse idriche e maggiori rischi di inquinamento idrico; h) minore frequenza di giorni freddi e gelate e maggiore frequenza di giorni con ondate di calore; i) precipitazioni violente; l) diffusione di tempeste, tifoni e tornado; m) pericoli per le varie specie animali a causa dell’aumento delle temperature; n) conseguenze negative derivanti dall’incremento delle temperature per la gestione del settore agricolo e forestale; o) impatti severi dei cambiamenti climatici sui livelli di produzione agricola globale e conseguentemente sulla disponibilità di cibo per la popolazione mondiale; p) ripercussioni negative sulla funzionalità delle infrastrutture idriche; q) rischi per il mantenimento dei vari livelli esistenti di biodiversità.

5.    Le risultanze delle analisi effettuate dall’IPCC hanno trovato ufficiale riscontro nell’ambito del lavoro dei G8 del luglio 2008 svoltosi a Osaka. Nella dichiarazione finale dei leaders delle maggiori economie[2]  è stato ribadito quanto segue:

“1. Climate change is one of the great global challenges of our time. Conscious of our leadership role in meeting such challenges, we, the leaders of the world’s major economies, both developed and developing, commit to combat climate change in accordance with our common but differentiated responsibilities and respective capabilities and confront the interlinked challenges of sustainable development, including energy and food security, and human health. We have come together to contribute to efforts under the U.N. Framework Convention on Climate Change, the global forum for climate negotiations. Our contribution and cooperation are rooted in the objective, provisions, and principles of the Convention.

2. We welcome decisions taken by the international community in Bali, including to launch a comprehensive process to enable the full, effective, and sustained implementation of the Convention through long-term cooperative action, now, up to, and beyond 2012, in order to reach an agreed outcome in December 2009. (…)

(…)

4. We support a shared vision for long-term cooperative action, including a long-term global goal for emission reductions, that assures growth, prosperity, and other aspects of sustainable development, including major efforts towards sustainable consumption and production, all aimed at achieving a low carbon society. Taking  account of the science, we recognize that deep cuts in global emissions will be necessary to achieve the Convention’s ultimate objective, and that adaptation will play a correspondingly vital role. We believe that it would be desirable for the Parties to adopt in the negotiations under the Convention a long-term global goal for reducing global emissions, taking into account the principle of equity. We urge that serious consideration be given in particular to ambitious IPCC scenarios. Significant progress toward a long-term global goal will be made by increasing financing of the broad deployment of existing technologies and best practices that reduce greenhouse gas emissions and build climate resilience. However, our ability ultimately to achieve a long-term global goal will also depend on affordable, new, more advanced, and innovative technologies, infrastructure, and practices that transform the way we live, produce and use energy, and manage land.

5. Taking into account assessments of science, technology, and economics, we recognize the essential importance of enhanced greenhouse gas mitigation that is ambitious, realistic, and achievable. (…)

6. We recognize that actions to reduce emissions, including from deforestation and forest degradation, and to increase removals by sinks in the land use, land use change, and forestry sector, including cooperation on tackling forest fires, can make a contribution to stabilizing greenhouse gases in the atmosphere. These actions also reduce climate change impacts and can have significant co-benefits by maintaining multiple economic goods and ecological services. Our nations will continue to cooperate on capacity-building and demonstration activities; on innovative solutions, including financing, to reduce emissions and increase removals by sinks; and on methodological issues. We also stress the need to improve forest-related governance and cooperative actions at all levels.

(…)

8. We affirm the critical role of technology and the need for technological breakthroughs in meeting the interlinked global challenges of energy security and climate change. In the near term, broader deployment of many existing technologies will be vital for both mitigation and adaptation. In particular, energy conservation, energy efficiency, disaster reduction, and water and natural resource management technologies are important. We will promote the uptake and use of such technologies including renewables, cleaner and low-carbon technologies, and, for those of us interested, nuclear power. Technology cooperation with and transfer to developing countries are also vital in this effort, as is promoting capacity building. For the longer term, research, development, demonstration, deployment, and transfer of innovative technologies will be crucial, and we acknowledge the need to enhance our investment and collaboration in these areas. Mindful of the important role of a range of alternative energy technologies, we recognize, in particular, the need for research, development, and large-scale demonstration of and cooperation on carbon capture and storage. We also note the value of technology roadmaps as tools to promote continuous investment and cooperation in clean energy research, development, demonstration, and deployment. (…)”

Tale importante dichiarazione assume particolare significato perché è stata condivisa anche dagli Stati Uniti che, come noto, non hanno a suo tempo ratificato il protocollo di Kyoto già sottoscritto.

6.    La centralità e la peculiarità delle problematiche vanno sempre più caratterizzando il “Global Warming” come questione istituzionale. Ciò trova conferma nel percorso che è stato concordato per giungere nel Dicembre 2009 alla conferenza di Copenaghen che riunirà gli Stati facenti parte delle Nazioni Unite nella XV conferenza sull’ambiente. Gli allarmi, le preoccupazioni, sono giunti a un livello tale per cui i governi si sono impegnati in varie sedi a seguire un percorso a breve termine che tenti di fornire alla comunità internazionale una risposta credibile e complessiva agli elementi di debolezza del sistema.
Gli scenari che vengono prefigurati dagli studi istituzionali effettuati a livello internazionale fanno intravedere criticità in ordine alla stabilità del sistema produttivo e alla sua riproducibilità nel tempo, nonché rischi per gli attuali livelli di tutela dell’individuo, anche con riferimento al suo diritto alla vita, alla salute, al lavoro, alla felicità: in una parola rischi gravi per i livelli di convivenza civile e democratica nelle società aperte.

7.    Il percorso sino ad oggi effettuato dalla comunità internazionale per dare risposte alla complessa tematica delle criticità ambientali è stato, come noto, molto articolato ed impegnativo con risultati sino ad ora parziali e comunque insufficienti. La riduzione delle emissioni di gas serra del 5,2% nel periodo 2008-2012 prevista dal protocollo di Kyoto è stata considerata da numerosi commentatori  un target molto limitato da un punto di vista  quantitativo. Infatti è stato autorevolmente evidenziato che, se si considera l’andamento globale delle emissioni  di gas serra allo stato attuale, si prefigura un balance finale di riduzione di meno del 2% dei livelli  di riferimento di emissione globale. E’ stato calcolato che la riduzione delle emissioni del 5,2% nel periodo 2008-2012 significa per la UE l’8%, per il Giappone il 6% , per gli USA (che, come noto, non hanno ratificato il protocollo di Kyoto e che non hanno conseguentemente assunto alcuna obbligazione) un teorico 7%, per l’Italia il 6,5%. Si aggiunga che non sono sottoposti a vincoli di riduzione delle emissioni dei giganti quali la Cina e l’India che, soprattutto nella fase attuale, contribuiscono ampiamente al degrado ambientale. Probabilmente è giusto considerare il protocollo di Kyoto come un risultato con molti limiti sia sotto il profilo quantitativo sia sotto il profilo del mix qualitativo dei soggetti obbligati a realizzare il programma di riduzione delle emissioni. Non devono però sfuggire due aspetti fondamentali a livello di metodo e di definizione/qualificazione della fase attuale della vicenda del “ Global Warming”.
In primo luogo dobbiamo essere consapevoli che il processo internazionale di gestione globale delle criticità ambientali sarà di lungo periodo, di “lunga durata” per utilizzare una espressione cara a Braudel, dove il percorso conoscitivo e  decisionale in ordine al grave problema ambientale si incrocerà con i processi socio-economici, con i “destini collettivi” che lo stesso Braudel  ha ricordato nelle sue opere.
Avremo un processo denso di inerzie, di ripensamenti, di “stop and go”, di incertezze, di processi di maturazione a volte non veloci, ma tale scenario non deve portare ad una visione pessimistica  della situazione,  perchè questa è la realtà del procedere della storia e in questo specifico fluire occorre impegnarsi nella ricerca di soluzioni. Non deve peraltro essere sottovalutato l’altro aspetto costituito dalla progressiva accelerazione dei fenomeni negativi derivanti dal “Global Warming”. Da un lato, quindi, la “lunga durata”, dall’altro la velocità inaspettata delle evoluzioni negative delle malattie del nostro Sistema-Pianeta.
Rispetto a tale situazione, per certi versi drammatica,  si impongono ulteriori riflessioni. La prima porta ad individuare, in via generale, una evoluzione positiva. In realtà si sta passando, tra tante difficoltà, dalla fase della presa di coscienza alla fase della produzione normativa, si sta passando dal “cognitivo” al “normativo”. Ed in  questo processo evolutivo il protocollo di Kyoto ha rappresentato un momento importante. Tutte le sedi internazionali competenti non discutono più sulla esistenza o meno delle criticità ambientali ma stanno preparando accuratamente i passi negoziali e formali che porteranno, come previsto, alla fondamentale Conferenza di Copenhagen. Una conferma di tale tendenza al cambiamento di fase è costituita dalle citate dichiarazioni dei rappresentanti delle maggiori economie mondiali rese in occasione del G8 tenutosi ad Osaka nel Luglio 2008.

La seconda considerazione si fonda sul convincimento che la battaglia contro le conseguenze negative del “Global Warming” si combatte anche sul fronte teorico-istituzionale. In realtà, alla luce di tali fenomeni ambientali, possiamo intravedere pericoli per i fondamenti del “Rule of Law”, dello Stato di Diritto. Infatti:

– i diritti individuali e del cittadino costituiscono uno dei cardini dello Stato di Diritto;

– ciò è ancora più valido nell’ambito del contemporaneo Stato Costituzionale di Diritto;

– “life, liberty, the pursuit of happiness”  sono i fondamenti  – così cari a Thomas Jefferson –  delle nostre società aperte ;

– il diritto alla libertà, alla vita, al lavoro, alla libertà di impresa sono le espressioni più alte dello Stato Costituzionale di Diritto europeo (ne è esemplare testimonianza  la Carta dei  Diritti Fondamentali dell’Unione Europea);

– la possibilità – in assenza di risposte adeguate al “Global Warming” – di vanificazione e svuotamento sostanziale dei suddetti diritti individuali pone gravi problemi di disequilibrio nell’ambito della articolata struttura dello Stato Costituzionale di Diritto;

– è necessario far convergere la tutela degli individui e le tutele del Sistema-Pianeta in un quadro di sempre maggiore consapevolezza culturale e istituzionale della profonda interrelazione e complementarietà delle due sfere di protezione giuridica, e ciò ai fini, in particolare, di un rinnovato equilibrio nell’ambito dello Stato Costituzionale di Diritto contemporaneo;

– è necessario proseguire l’analisi giuridica delle evoluzioni  di contesto che seguiranno ai grandi appuntamenti internazionali che ci attendono con riferimento ai cambiamenti climatici per verificare la possibilità di costruire nel tempo – in un quadro di auspicate risposte globali e cogenti alle criticità ambientali – un nuovo Stato Internazionale di Diritto, figura già presente nel dibattito dottrinario che andrà arricchita anche attraverso il formarsi graduale di una organica convergenza tra tutele dell’individuo e tutele globali del Sistema- Pianeta.

Ricordando la lezione di Spinoza possiamo, in conclusione, affermare che – al fine di porre in essere tutte le necessarie difese dei fondamenti dello Stato di Diritto  e delle libertà individuali – dobbiamo considerare, nel nostro pensare e nel nostro agire, la “natura naturata” come sostanza perché essa è effettivamente base e sostanza per l’individuo, per la difesa dei suoi diritti inalienabili, per la tutela delle sue chances di vita.

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Gli interventi che saranno pubblicati su ApertaContrada in merito alle criticità ambientali forniranno aggiornamenti sulla situazione complessiva, sui percorsi istituzionali che si concretizzeranno a livello internazionale, sul dibattito. Particolare attenzione verrà rivolta alle analisi, alle riflessioni e alle proposte volte a migliorare la capacità di risposta istituzionale sotto il profilo della tutela complessiva del Sistema-Pianeta, del sistema produttivo, dell’individuo. Si seguirà un approccio metodologico di verifica continua degli elementi evolutivi che a mano a mano emergeranno. La complessità delle problematiche impone un processo di analisi e di proposta per approssimazioni successive, sottoposte a continui momenti di aggiornamento e riesame.

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Una idea del modello operativo che seguiremo fino alla conferenza di Copenaghen ed al perfezionamento dei relativi strumenti di ratifica che gli Stati vorranno adottare, emerge da brevi report relativi a recenti lavori e studi che forniscono ulteriore conferma alle risultanze delle analisi effettuate a livello istituzionale e sopra sintetizzate.

A.    Tra i lavori effettuati dalla comunità scientifica statunitense che confermano le preoccupazioni emerse in sede internazionale con riferimento al fenomeno del “Global Worming” si segnala il libro del Professor Kerry Emanuel del MIT che può essere, in estrema sintesi, riepilogato come segue[3]:

“(…) La terra continuerà a riscaldarsi ulteriormente da 2 a 4° C. (…)
(…) Si prevede inoltre che il riscaldamento delle regioni già calde – i tropici – sarà leggermente più ridotto, mentre quello delle regioni fredde, come quelle artiche, sarà più consistente. (…)
(…) Le temperature notturne aumenteranno peraltro più rapidamente di quelle diurne.
(…) Le ondate di caldo saranno più frequenti e intense. (…)
(…) I costi del condizionamento dell’aria saliranno. (…)
(…) Le zone fertili subtropicali potrebbero diventare incoltivabili. (…)
(…) E’ possibile che con l’aumento della temperatura delle regioni polari grandi porzioni di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide si sciolgano innalzando il livello del mare. (…)
(…) Attualmente disponiamo di conoscenze ancora troppo limitate della fisica del ghiaccio sotto pressione per prevedere come esso reagirà all’aumento della temperatura, ma se l’intera calotta glaciale della Groenlandia dovesse sciogliersi, il livello del mare salirebbe di 6,5 m circa – sommergendo numerose regioni costiere come la Florida meridionale e la parte bassa di Manhattan. (…)
(…) Gli uragani reagiscono all’innalzamento della temperatura della superficie marina più rapidamente di quanto ci aspettassimo, in particolare nell’Atlantico settentrionale, dove la quantità totale di potenza immessa dai cicloni tropicali è aumentata di circa il 60% dagli anni ’70. (…)
(…) La quantità di vapore acqueo nell’aria cresce esponenzialmente con la temperatura, per cui una variazione di 4 ° C produce un aumento del vapore acqueo del 25% circa (…). I modelli [climatici] risolvono questo dilemma prevedendo piogge più abbondanti nelle zone già piovose e allo stesso tempo siccità di maggior intensità, durata o estensione geografica. In un mondo più caldo, quindi, sia il pericolo di inondazioni che di siccità sembrano aumentare considerevolmente. (…)”

B.    Il WWF ha recentemente pubblicato un report dal titolo significativo “Cambiamento climatico: più veloce, più forte, più vicino”. Il contenuto del Report del WWF può essere sintetizzato[4] come segue:

“(…) L’Oceano Artico sta perdendo i suoi ghiacci 30 anni prima o anche più rispetto alle proiezioni presentate nel Quarto Rapporto dell’IPCC (…). La comunità scientifica che studia l’Artico conviene che i principali aspetti di questa accelerazione siano causati da meccanismi di  feedback, i cui effetti sono stati seriamente sottovalutati nel Rapporto. Per esempio, a causa della riduzione dei ghiacci artici le acque oceaniche sono state riscaldate di più dal sole, il che renderà ancora più difficile il riformarsi dei ghiacci l’inverno prossimo. Non a caso autorevoli scienziati affermano che siamo arrivati – se non l’abbiamo già superato – al punto di non ritorno del sistema di ghiacci in Artico. Questo significa che l’Oceano Artico molto presto potrebbe essere libero dai ghiacci nei periodi estivi. E si prevede che i ghiacci estivi potrebbero completamente scomparire in alcune aree tra il 2013 e 2040 – una condizione mai vista sulla Terra da più di un milione di anni. Tra l’altro, un Oceano Artico senza ghiacci d’estate amplificherà ulteriormente il riscaldamento globale, attraverso il maggiore assorbimento di calore a causa della superficie oceanica scura (rispetto alla superficie chiara dei ghiacci) e attraverso cambiamenti nelle correnti oceaniche. Tutto ciò può verosimilmente aprire le porte a un cambiamento climatico ancora più rapido e brusco di quanto sia stato previsto finora (…). I ghiacciai costieri nella Penisola Antartica stanno perdendo ghiaccio più velocemente e stanno contribuendo in misura maggiore all’innalzamento del livello del mare rispetto a quanto riportato nel Quarto Rapporto IPCC (…).
Dal 1990, il livello globale del mare si sta innalzando di una volta e mezzo più velocemente di quanto previsto nel Terzo Rapporto dell’IPCC (…). Oltre a questo, nuovi studi hanno previsto che l’innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo sarà più del doppio del valore massimo stimato (0,59 m) nel Quarto Rapporto (…). Un aumento del livello del mare di oltre 1,2 m metterebbe a rischio vaste aree costiere, in Europa e nel resto del mondo.
Le emissioni globali di CO2 rilasciate come conseguenza dell’attività umana hanno subito un’accelerazione da una percentuale di crescita dal 1,1% all’anno tra il 1990 e il 1999, a più del 3% l’anno tra il 2000 e il 2004. La percentuale attuale di crescita delle emissioni rispetto al 2000 è stata maggiore di qualunque scenario indicato dall’IPCC sia nel Terzo che nel Quarto Rapporto (…). Negli ultimi 15 anni, circa  la metà delle emissioni di CO2 derivate dall’attività umana è stata assorbita dalle terre e dagli oceani. Ma la capacità di questi “serbatoi” naturali sta diminuendo (…) a ritmi più alti di quelli previsti negli studi precedenti. Vale a dire che una maggiore percentuale della CO2 emessa dalle attività umane rimarrà nell’atmosfera e contribuirà al riscaldamento globale (…). Un riesame degli impatti climatici riportati nel Quarto Rapporto IPCC indica che servono tagli dell’80% nelle emissioni globali di gas serra entro il 2050 per mantenere l’aumento medio delle temperature globali sotto i 2° C – e per limitare gli impatti climatici a livelli più “accettabili”. Un taglio di questo genere farebbe stabilizzare la concentrazione atmosferica di gas a effetto serra a 400-470 parti per milione di CO2 equivalenti. Tuttavia, anche con un taglio dell’80% alle emissioni, i danni sarebbero significativi, e sarebbero richiesti molti più sforzi di quelli attualmente pianificati per evitare i più gravi (…). Il benessere della società dipende dalla disponibilità e dalla distribuzione del cibo. Lobell e Field (2007) hanno dimostrato che il trend di aumento delle temperature mondiali dal 1981 ha già portato una riduzione dei raccolti globali di mais, frumento e orzo. La perdita annuale dei raccolti si può quantificare in circa 40 milioni di tonnellate o 5 miliardi di dollari (3,2 miliardi di euro). Con le temperature in continuo aumento Lobell (…) [ed altri n.d.r.] (…) hanno predetto che le due regioni che più patiranno le riduzioni dei raccolti saranno l’Asia e l’Africa meridionale. (…) Brander (…) ha concluso che la produttività della pesca potrebbe soffrire un declino locale e anche globale come risultato del riscaldamento globale, e che questo declino potrebbe essere già cominciato. (…)

Gli impatti dei cambiamenti climatici vanno al di là delle società umane, e coinvolgono anche gli ecosistemi di tutto il mondo. Rosenzweig (…) [ed altri n.d.r.] (…) hanno confermato che i cambiamenti climatici stanno impattando in maniera significativa sulla biofisica di tutti gli ecosistemi mondiali. Si stanno sciogliendo i ghiacciai di tutti i continenti, i laghi e i fiumi si stanno scaldando, l’erosione delle coste è in aumento, la primavera sempre più anticipata sta avendo gravi conseguenze sulle piante che fioriscono sempre più in anticipo, e sui periodi di migrazione e di riproduzione di alcune specie e, soprattutto negli oceani, alcune specie stanno migrando sempre più a nord a causa dell’aumento della temperatura dell’acqua. Williams (…) [ed altri n.d.r.] (…) sostengono che a causa dei cambiamenti climatici, nelle zone tropicali e subtropicali si rileveranno condizioni climatiche sempre più calde, mentre le condizioni climatiche tipiche di regioni tropicali montane e di regioni polari molto probabilmente scompariranno. La scomparsa così rapida di questi climi fa aumentare la probabilità che le specie non riescano ad adattarsi; per esempio, ai tropici sono molte le specie che non riusciranno a farlo. Williams (…) [ed altri n.d.r.] (…) avvertono che il rischio più grande di estinzione di massa risiede nei tropici, dove la biodiversità è anche maggiore. Questi allarmi si aggiungono a quelli avanzati dal quarto rapporto dell’IPCC, che aveva già stabilito che oltre il 30% delle specie sarà a rischio estinzione con un aumento della temperatura di 1,5-2,5 gradi rispetto alle temperature attuali. (…)”

C.    L’economista William Nordhaus nel suo recente lavoro “A question of balance” (Yale University Press 2008) ha sottolineato la complessità delle problematiche connesse con il “Global Warming” e la necessità di assumere decisioni rapide ed efficienti evitando di costruire progetti troppo ambiziosi che con ogni probabilità porterebbero a compromessi politici/diplomatici con conseguenti eccezioni, scappatoie, esenzioni. Nel suo libro si legge:

“The summary message of this book is that climate change is a complex phenomenon, subject to great uncertainty, and changes in our knowledge occur virtually daily. Climate change is unlikely to be catastrophic in the near term, but it has the potential for serious damages in the long run. There are big economic stakes in designing efficient approaches. The total discounted economic damages with no abatement are on the order of $23 trillion. These damages can be significantly reduced by well-designed policies, but poorly designed ones, like the current Kyoto Protocol, are unlikely to make a dent in the damages, will have substantial costs, and may cool enthusiasm for more efficient approaches. Similarly, overly ambitious projects are likely to be full of exemptions, loopholes, and compromises and may cause more economic damage than benefit.
In the author’s view, the best approach is one that gradually introduces restraints on carbon emissions. One particularly efficient approach is internationally harmonized carbon taxes – ones that quickly become global and universal in scope and harmonized in effect. A sure and steady increase in harmonized carbon taxes may not have the swashbuckling romance of crash program, but it is also less likely to be smashed on the rocks of political opposition and compromise. Slow, steady, universal, predictable, and boring – these are probably the secrets for successful policies to combat global warming.”

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Con l’avvio della conferenza di Poznan[5] ha avuto inizio un cammino decisivo per le sorti del Sistema-Pianeta.
Sarà un percorso istituzionale e diplomatico complesso e difficile che andrà seguito con la massima attenzione perché i suoi risultati avranno impatto sulla stabilità del sistema produttivo, sulla sua riproducibilità nel tempo, sulla tutela degli individui e sul mantenimento/miglioramento delle chanches di vita e delle libertà individuali che costituiscono uno dei fondamenti delle nostre società aperte.
E’ altamente auspicabile che tale percorso possa condurre – ai vari livelli della comunità internazionale – ad una produzione nel tempo di normative coerenti, efficaci e vincolanti volte a dare risposte globali alle gravi e complesse problematiche dell’ambiente.
Seguiremo questi eventi cercando di fornire ai nostri lettori elementi informativi, di riflessione e di sintesi nella consapevolezza della rilevanza cruciale delle problematiche connesse alle criticità ambientali e ricordando costantemente a noi stessi l’importanza degli spazi di libertà da assicurare in via di principio a ciascun individuo perché possa esprimersi in tutte le sue potenzialità e quindi anche in ambito lavorativo e produttivo.

Note

1. La IPCC ha vinto, insieme Al Gore, il Premio Nobel per la pace nel 2007 con la seguente motivazione “For their efforts to build up and disseminate greater knowledge about man-made climate change, and to lay the foundations for the measures that are needed to counteract such change”

2. Australia, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Messico, Russia, Sud Africa, Regno Unito, Stati Uniti.

3. Nel seguito vengono riprodotti alcuni brani del lavoro del Prof. Kerry Emanuel titolato What We Know About Climate Change – The Mit Press / Boston Review Books 2007 – Edito nel 2008 in Italia da Il Mulino

4. Per ragioni di sintesi abbiamo estrapolato i brani citati dal Report WWF titolato Cambiamento climatico: più veloce, più forte, più vicino – Un aggiornamento europeo della scienza del clima – Una panoramica della scienza del clima pubblicata dopo il Quarto Rapporto dell’IPCC. Il testo completo del Report WWF – redatto a cura della Dottoressa Tina Tin – è disponibile su Internet.

5. Sui risultati della conferenza di Poznan, che terminerà il prossimo 12 Dicembre 2008, sarà pubblicato su ApertaContrada uno specifico articolo di analisi e valutazioni.