Il soccorso in mare e la scelta del porto di sbarco

Nelle ultime settimane, in parallelo con l’intensificarsi degli sbarchi di migranti nei porti italiani si è intensificato anche il dibattito sulla destinazione di prima accoglienza dei migranti soccorsi sulle rotte del Mediterraneo meridionale e in particolare su quella libica. Gli elementi che seguono vogliono essere un contributo all’inquadramento del problema anche sotto il profilo del diritto internazionale.

1) Cominciamo col dire che nelle operazioni di salvataggio in mare non viene in evidenza la condizione di profugo, bensì quella di potenziale naufrago. Non si tratta di una distinzione solamente terminologica. Si tratta di due fattispecie diverse anche per quanto riguarda il diritto applicabile. Il fatto che nel caso specifico dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo le due condizioni tendano a coincidere nella/e stessa/e persona/e non toglie che i due status siano regolati diversamente. Per la condizione di potenziali profughi valgono le norme sull’asilo e sulle altre forme di protezione internazionale, e prima ancora i principî del “non refoulement” e del divieto di espulsioni collettive.[1] Per le persone in condizione di pericolo le Convenzioni relative al salvataggio ed al soccorso in mare…

 

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Note

1.  Art.33 della Convenzione di Vienna e art. 4 del Protocollo Addizionale n.4 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, oltre che art. 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.