Discorrendo di nullità del provvedimento amministrativo a margine di un recente lavoro di Alberto Romano

Sommario: 1. L’occasione dell’approfondimento e le ragioni di un’esposizione dialogica.- 2. Esiste davvero la nullità dei provvedimenti amministrativi?- 3.  Se la nullità esiste ed è stato di invalidità a sé stante, qual è il suo proprium?-  4. Quando è che un provvedimento invalido debba essere qualificato radicalmente nullo?- 5. E quali cause sostanziali giustificano tale più radicale invalidità del provvedimento?- 6. Nuove domande. e l’elemento distintivo risiede nel contrasto con norme appartenenti a specie diverse, come si distinguono le norme delle due specie?.- 7. Un’ultima domanda: è la risposta offerta realistica, assumendo che essa sia la risposta giusta?

1. L’occasione di questo dialogo con Alberto Romano su un tema di teoria generale di diritto amministrativo così complesso non è frutto della temeraria immaginazione di chi scrive ma l’esito di un generoso ed affettuoso invito, da parte di Vincenzo Caputi Jambrenghi ed Annamaria Angiuli e del loro Ateneo, nel contesto della presentazione presso l’Università di Bari del Volume a cura di Alberto Romano, L’azione amministrativa (Giappichelli, Torino 2016). La scelta è caduta sul tema della nullità perche si tratta del tema affidato proprio alla penna del Professor Romano nel ricordato lavoro collettaneo a sua cura.
Certo il compito è immane: parlare di un tema di teoria generale e per giunta confrontarsi con le pagine del volume scritte dal Maestro.
Tanto si dice in premessa perché il lettore possa giustificare chi scrive  per l’ardire dell’interlocuzione e per l’inadeguatezza del suo dire, ma anche perché  si possa comprendere la gratitudine per l’invito ricevuto a prender parte ad un incontro di studio pensato per festeggiare l’ultima fatica scientifica del prof. Romano e della sua “Scuola Romana”, e cioè degli altri Autori,  tutti allievi che il Prof. Romano ha fatto crescere nel vivaio de La Sapienza romana e della cui corale riflessione questo volume è espressione.
La vicinanza di Scuola, vicinanza non (sol)tanto geografica, quanto fondata sulla salda e piena condivisione del (vero) metodo giuridico, si unisce alla personale e profonda amicizia di chi scrive con gli allievi del prof. Romano ed alla condivisione del profondo affetto per il loro Maestro, straordinario modello d’uomo.
Parliamo quindi del Commento all’Art. 21 septies della legge n.241 del 1990, un commento che nel Volume in discorso è articolato in due Sezioni: la prima appunto curata dal prof. Romano (pp. 795-822) e la seconda sulle “Ipotesi tipiche di nullità” curata dalla Cons. Maria Laura Maddalena (pp. 823-837).
In realtà l’apparenza del Commento non deve ingannare il lettore, come del resto avverte il Curatore dell’opera nella Presentazione (p. XXIII), si tratta di veri e propri saggi, densi e problematici eppur non astratti né distanti dalle difficoltà quotidiane di applicazione nel reale, dal “diritto vivente”, un diritto che però non è né fluido, né soffice (soft), ma che ancora vive allo stato solido e di questo dobbiamo ringraziare gli Autori e con loro il prof. Romano.
Per semplificare il compito di un così arduo confronto ci si affiderà ad uno strumento di semplificazione per l’intelligenza dei problemi e per l’esposizione di temi complessi:  “la forma dialogica che riprende un antico genere letterario catechistico, fatto di domande e risposte” (così J. Ratzinger, all’epoca Cardinal prefetto nell’introdurre il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria editrice Vaticana, 2005 par. 4 dell’Introduzione). Si tratta di riproporre un dialogo ideale tra il maestro e il discepolo, mediante una sequenza di interrogazioni che inducono il lettore, così come chi ascolta a proseguire nella scoperta di sempre nuovi aspetti.
E non sembri irrispettoso l’accostamento ma cos’è, se non un vero e proprio catechismo dell’Azione Amministrativa, questo volume curato da Alberto Romano, nella selva sempre più fitta di vangeli apocrifi, vulgate scadenti, volumetti apologetici e valga la critica a cominciare dai miei scritti (del resto Sant’Aristide era un apologeta greco del II secolo).

2. Esiste davvero la nullità dei provvedimenti amministrativi?
E’ questa la prima domanda che occorrerà porre nell’approfondire questo delicato tema. Il dubbio è legittimo e l’interrogativo è il primo fra quelli da porsi (ed infatti lo stesso Alberto Romano se lo pone nell’incipit del suo lavoro (p. 797) perché come molto ben si dice, la giurisprudenza tende a negare, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 21 septies, la figura generale della nullità che resta confinata a “forma speciale, quasi derogatoria della invalidità”. E questa negazione è poi trasfusa sul piano normativo nelle previsioni processuali dell’art 31, comma 4, del Codice del processo amministrativo (di seguito anche CPA), norma scritta del resto con il massiccio concorso dei Giudici nell’ambito della Commissione governativa che ha elaborato il testo normativo.
Ebbene, la nullità esiste ci dice Alberto Romano, nonostante che come egli ben ricorda anche in dottrina sia “affiorato e affiora talvolta un orientamento secondo cui l’invalidità del provvedimento, quale che sia la gravità della sua carenza ed illegalità, non potrebbe trascendere la sua sola annullabilità; almeno quando non sconfina addirittura nella inesistenza” (p.796).

3. Ebbene il prof. Romano anticipa una prima risposta suggerendo un metodo empirico efficacissimo: “segnalare le connessioni della distinzione tra sola annullabilità e piena nullità del provvedimento” da un lato “e il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudici” giacché in astratto al primo spetterebbe il sindacato sui provvedimenti annullabili ed al secondo l’accertamento della loro nullità. Le norme del C.P.A. sembrano vanificare la utilità di questo criterio assegnando al giudice amministrativo un’azione di nullità, ma come si dirà più avanti si tratta solo di apparenza ed anzi il metodo suggerito dal professor Romano regge anche le prove del Codice e consente di giungere al vero cuore della nullità.
Ma continuiamo con il metodo, il prof. Romano prosegue la ricerca del proprium della nullità “se non come contrappunto rispetto alla nozione di annullabilità”, in questo riconoscendo come è lo studio dei civilisti dal quale pure non si può prescindere a segnalarci questa strada (p. 798).
E partendo dalla norma che fonda “la connessione tra la violazione e la sua annullabilità”, il prof. Romano definisce al contrario “a mo’ di contrappunto le disposizioni la cui violazione ne causerà viceversa la piena nullità”. Dall’analisi della matrice dei poteri unilateriali delle amministrazioni “emergeranno con grande evidenza le conclusioni: è dalla violazione di queste norme fondamentali da parte dei provvedimenti la causa della loro radicale nullità” (p. 801).
Cosicché – continua Alberto Romano – la soluzione del problema nella prospettiva di un confronto con le radici della piena nullità, deve essere cercata nell’analisi dei caratteri di tali norme, caratteri che le specificano e che le differenziano.
Ed alla luce di questi preziosi suggerimenti di metodo anche il prof. Romano nell’affrontare “i due fondamentali problemi che ogni ricostruzione della nullità deve affrontare”, li enuncia e li sintetizza in alcune “domande essenziali” (p. 804).

4. Quand’è che un provvedimento sicuramente invalido debba essere qualificato come radicalmente nullo? E’ questa la domanda che si pone il Prof. Romano (p. 804).
La formulazione dell’art 21 septies avrebbe dovuto offrire risposta a questa domanda ma in realtà da essa non emergono “dati sufficientemente significativi per la sua soluzione” che Romano segnala per le sue “evidenti inadeguatezze” (su cui con impietosa quanto eloquente critica si diffonde per tutta la p. 805).
Per essere chiari insomma: “nessuno dei dati sostanziali fondamentali per lo studio della nullità dei provvedimenti sono definiti dall’articolo che avrebbe dovuto disciplinarla” (p. 807). E del resto di questo suo vacuum si rende testimone lo stesso articolo: sia nel far riferimento agli “elementi essenziali”, sia nel rinviare agli “altri casi previsti dalla legge”, “fa emergere l’esigenza per un più esatto inquadramento della rilevazione di ulteriori dati normativi” (p.807). Ulteriori dati che consentono di individuare veri e propri requisiti, e di prendere  in considerazione anche gli eventuali spunti che possano esser desumibili  dalla disciplina dell’Autonomia privata.
E proprio con riguardo all’Autonomia privata si deve segnalare un vero e proprio cammeo dedicato dal prof. Romano alla Autonomia privata nel par. 1.8 pp. 808-812, nel ricordo dell’ insegnamento del suo papà Salvatore Romano. Ebbene, pur ben consapevole delle differenze, con sorpresa Alberto Romano, ricordati i tratti dei pubblici poteri unilaterali nell’ambito della loro autonomia, coglie tratti “delineabili come analoghi o quantomeno simmetrici” (p. 817) nel poter individuare la nullità nella violazione non di ogni generica norma sull’esercizio del pubblico potere ma solo nella violazione di quelle norme che posseggano una “particolare rilevanza per così dire ontologica” cioè norme che delimitano “l’autonomia del soggetto di amministrazione che lo ha emanato” e norme che fondano, giustificano e legittimano l’esercizio del potere e che Romano vede tutte legate nella “ricostruzione di una nozione (più) ampia di Autonomia Amministrativa” (p. 817).

5. E quali “cause sostanziali giustificano tale più radicale invalidità” del provvedimento?
Come si vede il criterio distintivo proposto offre immediata e autoevidente risposta anche al secondo dei due fondamentali interrogativi che Romano poneva: le ragioni di una più radicale ipotesi di invalidità. L’esigenza che l’ordinamento tuteli al massimo le norme che fondano e giustificano la stessa esistenza delle Istituzioni amministrative e quelle che tutelano la relativa autonomia.
Questa distinzione fra le norme porta alla memoria quella tutta Guicciardiana tra norme di azione e norme di relazione (pur impiegata dal professor Romano per ricostruire le situazioni giuridiche soggettive già nel Manuale Diritto Amministrativo, edito per i tipi della Monduzzi, sin dalla prima edizione del 1993) eppure rispetto ad essa molto più potente perché più difficilmente discutibile. Ed il solo rimpianto è che il professor Romano, per esigenze di coerenza e rispetto del tema della nullità, ritiene doveroso “rinviare ad altro studio questa ricostruzione” (p. 817), che pur per sommi capi tratteggia nelle pagine seguenti (pp.818-819).

6. Nuove domande: come si distinguono le norme delle due specie?
Ma il criterio distintivo proposto, così convincente forse anche perché così così elegante, genera immediatamente una ulteriore serie di domande ed una in particolare: come si distinguono le norme delle due specie?
Vi sarà mai a Berlino un giudice disposto a sobbarcarsi questo così oneroso compito? E sarà un giudice ordinario o amministrativo? E se per la previsione dell’art. 31, co 4, CPA e della enorme estensione della giurisdizione esclusiva e per la interpretazione estensiva dell’art. 7, co. 1, CPA si trattasse sempre del giudice amministrativo, le limitazioni all’azione di nullità (termine di decadenza, decorrenza ed effetti dell’accertamento, e così via) consentirebbero una effettiva rilevazione della forma più grave di invalidità provvedimentale? Cercando di dare una risposta a questi interrogativi affatto retorici, seguiamone l’ordine.
Come si distinguono le norme delle due specie: A pag. 822 il professor Romano riprendendo il tema del riparto della giurisdizione ricorda la sentenza della Corte di Cassazione, S.U. 4 luglio 1949, n. 1657, che distingue tra violazione di regole che riguardano la esistenza del potere e di regole che si limitano al suo esercizio. Se solo la violazione delle prime genera nullità tutti i quesiti successivi come per magia si sciolgono.
Vi sarà certamente un giudice ed un giudice ordinario che pronuncia su un vizio che sarà sempre proprio di un provvedimento “in carenza di potere”.
Le limitazioni dell’art. 31, co 4, CPA non opererebbero per il G. O.
E nelle stesse ipotesi di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo seguirebbe il traino del G. O.

7. Ultima domanda. Questa risposta è realistica, assumendo che essa sia la risposta giusta?
A me pare difficile, è in realtà proprio il legislatore a svilire e dequotare – dopo averlo inventato – lo stato invalidante della nullità o meglio a dequotarne gli effetti  e (fino a negarne) la tutela. Il CPA ne è un esempio ma non è l’unico. Si tratta di una dequotazione che colpisce anche l’azione di annullamento, sì pensi al 125 CPA (relativo all’aggiudicazione dei contratti di appalto per la realizzazione delle grandi infrastrutture i cui provvedimenti in sostanza non sono annullabili).
Solo la Cassazione potrebbe invertire la tendenza, ma con la riforma del processo di legittimità tutto teso snellire, ed eliminare udienze, a consolidare ipotesi di inammissibilità dei ricorsi troveremmo ancora in Cassazione un Presidente Ferrera, o un Mariano D’Amelio (perché certo il Romano non ci manca!).
Temo, con realismo, che la strada praticabile nell’oggi sia molto meno coraggiosa, meno raffinata, meno armonica di quella proposta da Alberto Romano ed è quella che porta il Giudice amministrativo a  concentrarsi sulle ipotesi tipiche di nullità provvedimentale, per renderle più chiare e per assicurare ad esse effettività nell’ oggi.
Di ciò si occupa nel volume proprio un’allieva del prof. Romano, Maria Laura Maddalena (che coniuga in sé le doti di studiosa con la consolidata professionalità del magistrato amministrativo) e forse se la giurisprudenza amministrativa tutta intera sarà capace di questo nel tempo breve, chissà che non arrivi una nuova stagione.