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Note a margine del convegno del 10 marzo 2017

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9. I Project bond
Sui Project Bond stenderei un pietoso velo. Non hanno mai funzionato. Perché? Ma anche qui è semplice, perché se non ci sono i progetti (quelli buoni) non ci possono essere i bond. Finito.

10. Un esempio paradigmatico
Vorrei portare, alla fine di questo mio contributo, una esperienza personale, che racchiude in sé tutti, dico tutti, gli ingredienti che ho in precedenza richiamato.
a. la Nuvola
se qualcuno si fosse dato la pena, come il sottoscritto, di indagare sul lunghissimo (18 anni! Il Colosseo è stato realizzato in 5 anni, dice, sì, ma c’erano gli schiavi, e allora i giapponesi che in 5 mesi hanno ricostruito l’autostrada distrutta dal terremoto?) iter che ha seguito la Nuvola per essere realizzata, capirebbe che tutto il sistema del coinvolgimento del capitale privato nelle infrastrutture ha, in nuce, qualcosa di profondamente sbagliato, nonostante la bravura e l’impegno dei tecnici responsabili dell’ente aggiudicatore.
Limitandomi ad un elenco:
strategia di partire come Project financing (seppur con una buona fetta di finanziamento pubblico in conto capitale) e finire con un appalto tradizionale;
scelta del progetto attraverso concorso internazionale con esito quantomeno opinabile;
scelta sbagliata del primo contraente concessionario;
nessun coordinamento preventivo con una “seria” istituzione finanziaria in grado di leggere e “partecipare” al progetto;
rescissione del contratto di concessione con il primo contraente con relativa escussione della fidejussione;
decisione di abbandonare la formula del PF e di trasformare il tutto in appalto tradizionale completamente finanziato dal pubblico (!!!);
vicende varie di controversie tra l’ente aggiudicatore ed il nuovo contraente;
problemi con la commissione di collaudo in corso d’opera;
mancanza di standard urbanistici (leggi parcheggi);
progetto sbagliato dell’albergo, concepito a 4 stelle e non modificabile, per cui nessuna catena di gestione vuole accollarselo (si consideri che, sin dall’inizio, si sapeva benissimo che il Centro Congressi, in sé, non avrebbe mai consentito l’equilibrio economico, che, viceversa, doveva essere garantito dal successo dell’albergo).

Risultato? Un’opera che nasce obsoleta ancora prima di cominciare a funzionare, con quattro aggravanti:
è una presenza quanto mai ingombrante all’interno di un quartiere ormai considerato ufficialmente “Roma Centro Storico”
il vecchio Palazzo dei Congressi del 1938 di Adalberto Libera continua ad essere non solo molto più bello e discreto, ma anche più funzionale;
è costato 2,5 volte il prezzo preventivato nel 2000;
dulcis in fundo, l’albergo affaccia su “Beirut Nord”, come ormai viene chiamata un’altra perla del sistema immobiliare pubblico italiano: i ruderi delle le torri del vecchio Ministero delle Finanze che, grazie all’inefficienza della CDP, sono ancora al palo dopo anni dall’assorbimento di Fintecna. Ma questo è un altro capitolo, insieme a quello del Poligrafico di Piazza Verdi.

11. il tema dei temi: il patrimonio pubblico e quello culturale
Ora, se in tutto questo poco edificante scenario complessivo si inserisce un comparto decisivo per lo sviluppo di questo Paese e delle nostre future generazioni, ci si rende conto di quanto sia impellente ed improcrastinabile una “politica”, perché di questo si tratta, che sottragga alla mediocrità burocratica ed imprenditoriale il grande tema dell’intervento del capitale privato nelle opere pubbliche, smettendola di mettere pannicelli caldi a norme sbagliate concettualmente già in partenza.
Questo comparto è il patrimonio storico, artistico, paesaggistico e culturale dell’Italia, di gran lunga il più ricco del mondo, che, se ben gestito, potrebbe affrancare l’Italia dalle oscillazioni globali dei mercati, consentendogli di prosperare con una rendita di posizione che nessun altro paese al mondo possiede.
Il capitale privato potrebbe, se ben incanalato, sorreggere questa politica invece di scontrarsi, ogni qual volta prova a cimentarvisi, con dei frontali devastanti con la demagogia, la miopia e la burocrazia, le grandi armi in mano ai “mandarini del vincolo”.

12. Conclusioni
C’è un unico sistema per far sì che questa politica si realizzi. Il sistema non è riunirsi per l’ennesimo convegno di speziali osservando le urine al capezzale del paziente e prescrivendo salassi o come le prefiche dell’antica Grecia e del nostro Mezzogiorno a strapparsi i capelli ululando di finto dolore davanti al letto del morto.
Il sistema è fare incontrare il brain power col capitale privato. Di entrambe le risorse abbonda il mondo, e anche il nostro Paese non fa eccezione. Ma se non si rimuovono a monte pregiudizi e pastoie, spesso strumentali ad un gattopardesco immobilismo, questa sintesi clorofilliana, l’unica capace di risollevare la nostra Italia, non si verificherà mai.

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